
“GLI CONSIGLIO DI SMETTERE ADESSO” – IL SUGGERIMENTO DI FLAVIA PENNETTA AL MARITO FABIO FOGNINI, DOPO LA PARTITA DELLA VITA A WIMBLEDON CONTRO ALCARAZ – “PER ME È COME SE AVESSE VINTO. SE ANDASSE AVANTI RISCHIEREBBE DI SCIUPARE QUEL MOMENTO. NON È FACILE USCIRE DI SCENA” – “LA FAMA DA BAD BOY? SEMBRA STRANO MA È UN UOMO PAZIENTE, GLI UOMINI SPESSO SONO IMMATURI” - IL TENNISTA LIGURE: “SOGNAVO DI CHIUDERE DAVANTI AI MIEI FIGLI, IN SPOGLIATOIO HO PIANTO". PS: CI SARA' ALTRO TENNIS (DA MANAGER)
Articolo di Gaia Piccardi per corriere.it - Estratti
Adesso che Flavia è tornata in tv nel suo ruolo di commentatrice per Sky Sport e Fabio è rimasto a Londra con la tribù (Federico, 8 anni, Farah, 5, e Flaminia, 3), il vezzo delle effe è un filo d’Arianna da seguire per ripercorrere la storia della famiglia Fognini, finita in mondovisione da Wimbledon nel pomeriggio in cui il padrone di casa ha tenuto inchiodato sull’erba per quattro ore e mezza un certo Carlos Alcaraz, l’Harry Potter del tennis contemporaneo, facendo brillare gli occhi a moglie, figli e agli dei del tennis.
Spoiler. Il cimelio che Fabio ha chiesto al campione spagnolo a fine match è arrivato a destinazione: una maglia sudata per il primogenito Federico, ultrà di Alcaraz, che mai Flavia riuscirà a infilare in lavatrice.
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Le reliquie si conservano intatte, che diamine. E il fatto che l’epopea sul centrale di Wimbledon possa essere stata l’ultima partita del veterano, 38 anni di cui ventuno di carriera, ha diffuso nell’aria un’emozione speciale, che Flavia Pennetta in Fognini, regina dell’Open Usa 2015, riassume così: «La decisione di smettere è molto personale, lo dico per esperienza: dopo tanti anni ti ritrovi solo nella veste di tennista, non è facile uscire di scena». Eppure lei ci riuscì benissimo.
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«Gli auguro di chiudere con le meravigliose sensazioni addosso del match con Alcaraz.
È stato bravissimo, sono orgogliosa: per me è come se avesse vinto. Se andasse avanti rischierebbe di sciupare quel momento». Chiede consiglio? «Alla sua maniera. Io sono il suo specchio: non gli mento. Ma la scelta è sua».
Per lo sport italiano, Flavia Pennetta, 43 anni, fieramente pugliese, figlia di Oronzo presidente del tennis club di Brindisi e Concetta (bella come lei), nipote di Elvy prima giocatrice e poi maestra, ha rappresentato esattamente tutto ciò che è stata per Fabio Fognini: oggetto del desiderio, fidanzata, moglie, madre.
L’abbiamo vista dimagrire drasticamente per una love story finita male — con lo spagnolo Carlos Moya, di cui scoprì il tradimento da una rivista di gossip —, e poi prendersi tutto con gli interessi all’età in cui le altre sfogliano l’album dei ricordi. È bello, oggi che l’infatuazione per l’ex bad boy azzurro è diventata la famiglia più solare del circuito professionistico, ricordarne le tappe. «È stato un innamoramento dopo anni di amicizia, durante i quali abbiamo avuto altri partner. Fabio è un buon compagno di vita, il marito che mi aspettavo. Sembrerà strano che io lo dica, ma è un uomo paziente. La pazienza che non ha avuto in campo, la tiene per la famiglia. Gli uomini spesso sono immaturi, tendono a rimanere sempre nel ruolo di figli, faticano ad affrancarsi dalle famiglie d’origine.
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Senza sfuggire alla regola, Fabio è migliorato e cresciuto tanto». Fabio Fognini da Arma di Taggia (Imperia), classe 1987, il braccio destro più veloce a ovest del torrente Argentina, non è cattivo. È che lo disegnano così. Sebbene in campo, in quattro lustri abbondanti di corse a perdifiato all’inseguimento dei Big Three (Federer, Nadal e Djokovic, la Santissima Trinità del tennis), abbia lasciato più cuori — la sua generosità, soprattutto con la maglia azzurra, è leggendaria — che sfuriate (un paio, però, rimaste proverbiali), ai posteri è passata la narrazione di un giocatore irascibile tanto quanto talentuoso, a volte ingestibile. «In ognuno di noi ci sono due facce, nel bene e nel male — spiega —. Quando appenderò la racchetta al chiodo potrò dire di essere stato me stesso sotto tutti i punti di vista. Gli errori fanno parte della vita: non me ne vanto, non ne vado fiero. E, quando ho sbagliato, ne ho sempre pagato le conseguenze. Mai avuto sconti».
Sconti non gliene ha fatti nemmeno Flavia: «Mi dice che non capisce: è come se in campo a volte avessi smesso di esistere e al mio posto fosse arrivato all’improvviso un altro tizio, totalmente fuori controllo. Un nemico che mi sono portato dentro e che, a volte, non ho saputo tenere a bada».
Il primo bacio a Barcellona, dove entrambi vivevano per esigenze di lavoro, nel febbraio 2014. La follia più fiabesca a Montecarlo: quando lei, atterrata a Nizza, ha trovato lui, e un elicottero con le pale roteanti, pronto a prendere il volo verso i campi del Country Club che oggi è casa di Jannik Sinner. Di indizi, come i templari di una setta, ne avevano seminati ai quattro angoli del mondo. Quella sigla, «BN», disegnata con la racchetta da Fabio sulla terra rossa di Viña del Mar, terzo titolo Atp annesso da Fognini ai suoi possedimenti (nove in totale), era diventata parte integrante dell’autografo di Flavia, mentre al collo spuntava un ciondolo nuovo: «NMM», non mollare mai, il motto dell’ex n°9 del mondo. Cosa ti piace di Flavia? «La complicità, il capirsi con uno sguardo». Lei: «Ci siamo sempre detti le cose in faccia. È stato Fabio a darmi la notizia più brutta della mia vita: la morte del nostro amico Federico Luzzi, per leucemia, nel 2008».
La bellezza dei Fognini’s, nota nell’ambiente, è esplosa lunedì sul centrale di Wimbledon, il posto delle fragole in cui Fabio è diventato grande quasi fuori tempo massimo, lasciando sul prato l’impressione di un uomo finalmente risolto. «Finire qui... Sognavo di chiudere davanti ai miei figli, in spogliatoio ho pianto: posso dire di essere felice». Spoiler bis: ci sarà altro tennis (da manager).