“JOHN ELKANN VENDERÀ ANCHE LA JUVE” - L'EX DIRIGENTE DEI BIANCONERI LUCIANO MOGGI AL "FOGLIO": “È IMPRESSIONANTE CHE LA FIAT ABBIA ABBANDONATO TORINO, PRIMA ANCORA DELLA SQUADRA. LA JUVENTUS CONTA, CERTO. MA LA FIAT ERA UN SISTEMA. E QUANDO UN SISTEMA SI RITIRA, LA SQUADRA SEGUE" – LE BORDATE A ELKANN: “EREDITARE NON BASTA. ANCHE L’AVVOCATO AGNELLI AVEVA EREDITATO, MA AVEVA ATTRAVERSATO UN APPRENDISTATO LUNGO. QUI NO: TUTTO INSIEME, TUTTO SUBITO..." - ANCHE L'EX DG COBOLLI GIGLI NON CREDE A JAKI: "LA JUVE NON IN VENDITA? DICEVA LO STESSO DI GEDI"
COBOLLI GIGLI PUNGE ELKANN
john elkann cobolli gigli foto mezzelani gmt 158
(ANSA) "Ho ascoltato le parole di John Elkann. Se potessi fare un po' di ironia, vorrei sapere se queste parole sono state dette col cuore o col gobbo. Leggeva mentre parlava e questo non depone molto a favore della sua convinzione di quello che ha detto".
Così Giovanni Cobolli Gigli, ex presidente della Juventus, ospite di Radio Anch'io Sport su Rai Radio 1, commentando il messaggio di John Elkann per respingere l'offerta di Tether da oltre un miliardo per la quota di controllo della Juventus. "Il contenuto delle sue parole ha messo, per ora, un punto fermo a quello che può essere il tentativo di nuovi soci di entrare nella Juventus - ha sottolineato -. Questa mi sembra una cosa positiva. Dopodiché bisogna costruire. la Juve ha una cda appena nominato che non deve essere assente come quelli precedenti.
john e lapo elkann cobolli gigli foto mezzelani gmt 223
Certe dichiarazioni spettano all'amministratore delegato": Elkann ha detto che i valori non sono in vendita: "Due mesi fa ha fatto delle dichiarazioni su Gedi e poi sono volate via con il vento dell'inverno. Prendiamo atto delle sue parole. Sono un po' meno convinto della solidità della Juventus, a questo punto vediamo cosa succede. La Juve deve prendere posizione, far capire che c'è un corpo dirigente sopra la società calcistica e che sta portando avanti un lavoro ben fatto. La Juve ha perso un miliardo negli ultimi anni delle gestioni precedenti.
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MOGGI
Salvatore Merlo per il Foglio - Estratti
John Elkann visto da Luciano Moggi: “Ereditare non basta” Il punto, allora, non è più soltanto la Juventus. La domanda vera riguarda l’eredità Agnelli e il modo in cui John Elkann l’ha attraversata: non consolidandola, ma impoverendola e poi dismettendola. Un pezzo alla volta. L’industria, prima. I giornali, poi.
La squadra, forse, adesso. Tutto prima immediocrito, e poi venduto. Torino sullo sfondo, come una città che assiste senza poter votare. “E’ impressionante che la Fiat abbia abbandonato Torino, prima ancora della squadra. La Juventus conta, certo.
Ma la Fiat era un sistema”. E quando un sistema si ritira? “La squadra segue”.
Ma perché la Juventus va così male? “E’ finita nella mediocrità perché non ha una società all’altezza della situazione”. Allenatori che passano e vengono delegittimati, dirigenti scelti e poi rimossi nel giro di poco, ruoli chiave che cambiano continuamente. “Se prendi un direttore e dopo due anni lo mandi via, vuol dire che hai sbagliato a prenderlo oppure a non sostenerlo. Una delle due. Ma comunque hai sbagliato”.
Chi sono i dirigenti della Juve? “Adesso sono tutti francesi”. Come nella ex Fiat.
“Non li conosco nemmeno. So che ce n’è stato uno che prima si occupava di tennis”. Ecco. Ce n’è stato anche uno, ma italiano, che si occupava contemporaneamente della Juve e dei giornali. “E’ una cosa che non si sa bene se ridere o piangere”. Dicono che anche Elkann non abbia mai davvero capito il calcio. Michel Platini, ad alcuni amici, racconta spesso un episodio minimo, ma rivelatore. Una partita di beneficenza. Elkann in campo.
Dopo pochi minuti è senza fiato, chiede il cambio, si siede in panchina accanto a Platini, recupera, poi chiede di rientrare. Platini lo guarda e gli dice: “Guarda che non è basket”. Una battuta, certo. Ma anche una diagnosi: l’idea che si possa entrare, uscire, rientrare. Nel calcio – e forse non solo nel calcio – non funziona così. Moggi ride. “E’ una battuta alla Platini. Plausibile”.
Con Gianni Agnelli, dice Moggi, il calcio non era mai un hobby. Era un linguaggio. “Mi chiamava alle 5 del mattino: ‘Comandante, ci sono novità?’. Poi mi chiamava suo fratello, il dottor Agnelli, cioè Umberto. Bastavano poche parole, spesso nessuna.
L’Avvocato non spiegava: capiva.
Aveva l’istinto degli uomini, prima ancora che delle partite”.
Umberto invece, era un manager vero, uno che sapeva tenere insieme i conti e il campo. “Quando decise di prendere in mano la Juventus, lo fece perché aveva capito che la gestione del grande Boniperti non funzionava più. Si era chiuso un ciclo”. E chiamò Moggi-Bettega-Giraudo. “La triade. Vincemmo ogni cosa”.
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E qui infatti arriva il nome che Moggi pronuncia con cautela, quasi sottovoce: Giovannino Agnelli. L’erede mancato. Morto troppo presto.
Quello che, secondo lui, avrebbe garantito una continuità naturale con l’Avvocato. “Aveva già responsabilità importanti, nonostante l’età, e un attaccamento diverso alla Juventus”. Con lui, dice Moggi, “la piega sarebbe stata un’altra. Forse non migliore per definizione, ma di sicuro coerente”.
E’ qui che il confronto con Elkann diventa inevitabile. Non come giudizio personale, ma come questione di metodo. “Anche l’Avvocato Agnelli aveva ereditato, certo. Ma aveva attraversato un apprendistato lungo, aveva sbagliato, aveva imparato. Qui no: tutto insieme, tutto subito”. L’impero trasformato in portafoglio, la dinastia in holding. “E quando l’eredità non viene abitata, ma solo amministrata, i simboli diventano intercambiabili”.
La Juventus, allora, non è un’eccezione. “E’ l’ultimo anello di una catena che si è spezzata prima”. E per capirlo, dice Moggi, non serve prendersela con il presente. Basta ricordarsi com’era costruito il passato.
E Andrea Agnelli? “Può darsi avesse fatto degli errori, delle spese eccessive. Non so giudicare. Ma nove scudetti consecutivi non sono un dettaglio”. Elkann lo ha allontanato, e poi sono stati soltanto fallimenti. “Ha pettinato per il verso giusto il giustizialismo sportivo. E’ la stessa cosa che accadde a me, Bettega e Giraudo”. Cos’è la riconoscenza? “Un sentimento del giorno prima”.
E forse è con Andrea Agnelli che è finita definitivamente l’idea che la Juventus fosse un luogo da abitare e non solo da gestire, come dice Moggi. Da quel momento in poi, è restata una proprietà senza padrone simbolico.
Chiedete a un tifoso della Juventus chi è l’attuale presidente (Gianluca Ferrero), in molti non sapranno rispondere. E questo spiega, chissà, perché oggi la crisi della Juventus, dentro la crisi della Fiat, dentro il declino di tutto ciò che viene toccato da John Elkann non sembri più un incidente, ma una sindrome.
andrea abodi e john elkann foto mezzelani gmt 95
umberto agnelli john elkann foto mezzelani gmt 195
famiglia umberto agnelli foto mezzelani gmt18







