dario franceschini

L'ANNO IN CUI LA POLITICA SI PRESE I BENI CULTURALI - LA RIFORMA FRANCESCHINI E UN CODICILLO DELLA FINANZIARIA TRASFORMANO I GRANDI MUSEI PUBBLICI IN FONDAZIONI DI PARTECIPAZIONE, CON ENTI LOCALI E PRIVATI ALLA GUIDA. UNA BALCANIZZAZIONE CHE AMMAZZA L'UNITÀ CULTURALE, UNICO COLLANTE ITALIANO

Tomaso Montanari per “la Repubblica

 

massimiliano carpentieri  dario franceschini  ninetto davolimassimiliano carpentieri dario franceschini ninetto davoli

Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale sono state rigidamente separate dalla riforma Franceschini. Ad unirle, ormai, è un orizzonte egualmente nero. Pochi giorni fa un emendamento (il 174bis) alla legge di stabilità ha attribuito al ministro per i Beni culturali la facoltà di accorpare con un suo decreto le soprintendenze archeologiche a quelle già miste per le belle arti e il paesaggio, e di fare altrettanto con le direzioni centrali. Potenzialmente questa facoltà riguarda anche gli archivi e le biblioteche.

 

enzo de caro ninetto davoli col ministro franceschinienzo de caro ninetto davoli col ministro franceschini

Sconcertante è innanzitutto il metodo: all’indomani di una riforma radicale, si torna ad intervenire, ma non lo si fa con un dibattito nel Paese e nel Parlamento, bensì con poche righe infilate in corsa. Siamo al limite della costituzionalità, visto che ad essere investita è una funzione (la tutela) garantita dalla Carta al rango più alto, quello dei principi fondamentali. Nel merito, infatti, si va verso una compressione estrema della componente essenziale della tutela, quella tecnica. Ed è un passo funzionale alla sottomissione delle soprintendenze, così unificate, alle prefetture: l’obiettivo indicato dalla legge delega Madia.

dario franceschini foto lapressedario franceschini foto lapresse

 

Sul fronte della valorizzazione la notizia è che la politica prende direttamente il controllo dei musei, procedendo verso un modello che inizia ad assomigliare a quello del cda della Rai.

 

La riforma ha coinvolto direttamente gli enti locali: Comuni e Regioni nominano ora parte dei comitati scientifici dei musei nazionali. Un federalismo museale evidentemente incostituzionale: perché l’articolo 9 parla di patrimonio «della nazione» proprio per evitare quella che, in Costituente, Concetto Marchesi bollò come una pericolosa «raffica regionalista».

 

MUSEO  CAPODIMONTE  MUSEO CAPODIMONTE

Perché il sindaco di Firenze e il presidente della Toscana devono mettere bocca nella conduzione scientifica degli Uffizi? Che d’ora in poi Maroni abbia il diritto di influenzare la politica culturale di Brera, Brugnaro quella dell’Accademia di Venezia, De Luca quella di Capodimonte non è una buona notizia: è un altro passo verso la balcanizzazione di quell’unità culturale che è il più importante collante della nazione.

 

pinacoteca brerapinacoteca brera

Se a questo si somma l’appello con cui Dario Franceschini ha supplicato le grandi imprese di «adottare» i venti supermusei (evidentemente orfani dello Stato), promettendo esplicitamente un posto nella governance, è chiaro che stiamo andando verso la trasformazione dei grandi musei pubblici in fondazioni di partecipazione, con enti locali e privati alla guida. È facile prevedere che questo aumenterà la mercificazione del patrimonio, con ulteriore asservimento delle ragioni della conoscenza agli interessi del mercato, e all’invadenza delle oligarchie locali.

 

paolo baratta dario franceschinipaolo baratta dario franceschini

Ma la politica si fa invadente anche al centro: la riforma dà al ministro il potere di scegliere i direttori chiave, e nominare interamente i cda dei musei. E Franceschini sta nominando i suoi fedelissimi. Nel cda degli Uffizi ha collocato il suo vero braccio destro, e autore materiale della riforma, il giurista Lorenzo Casini. Nessun dubbio sulla sua preparazione, ma Casini è stato il membro chiave nella commissione che ha scelto i superdirettori, e con lui entra nel cda degli Uffizi un’altra componente di quella commissione, Claudia Ferrazzi: un intreccio come minimo assai inopportuno.

 

james bradburnejames bradburne

Non basta: Franceschini ha nominato un altro suo consigliere (Stefano Baia Curioni) nel cda di Brera, oltre che in quello del Piccolo di Milano. E prima aveva nominato gli stessi Ferrazzi e Baia Curioni nel Consiglio Superiore dei Beni Culturali, il cui regolamento prevede che i membri del Consiglio stesso «non possono essere membri del Consiglio di amministrazione di istituzioni o enti destinatari di contributi o altre forme di finanziamento da parte del Ministero», quali evidentemente i musei. Ancora più inquietante è la notiza, apparsa sul Corriere del Mezzogiorno e mai smentita, secondo la quale Franceschini avrebbe chiesto e ottenuto dal presidente della Campania di recedere dalla nomina dell’ex soprintendente Nicola Spinosa nel comitato scientifico di Capodimonte.

gabriel zuchtriegel gabriel zuchtriegel

 

E il motivo era la dichiarata contrarietà di Spinosa alla riforma dei musei attuata da Franceschini. Davvero l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è una sorta di maccartismo contro gli storici dell’arte non allineati: queste modalità di reclutamento rappresentano il culmine della progressiva espulsione dalla guida del patrimonio culturale dei tecnici selezionati da altri tecnici sulla base delle regole della comunità scientifica.

 

cecile hollbergcecile hollberg

Nella stessa direzione si può ora leggere la determinazione con cui Franceschini ha voluto direttori stranieri. Il punto non è certo la nazionalità, ma l’estraneità ai nostri ranghi tecnici: la politica — questa politica — preferisce servirsi di moderni capitani di ventura pronti a render conto solo al potere che li ha nominati. Espulsione dei saperi tecnici e invadenza della politica: ad essere rottamato è il progetto della Costituzione.

 

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ursula von der leyen donald trump dazi matteo salvini

DAGOREPORT – LA LETTERINA DELL’AL CAFONE DELLA CASA BIANCA È UNA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA DEI LEADER EUROPEI, CUI È RIMASTA UNA SOLA VIA DI USCITA, QUELLA COSIDDETTA “OMEOPATICA”: RISPONDERE AL MALE CON IL MALE. LINEA DURA, DURISSIMA, ALTRIMENTI, ALLE LEGNATE DI TRUMP, DOMANI, ALL’APERTURA DELLE BORSE, SI AGGIUNGERANNO I CALCI IN CULO DEI MERCATI. LA CINA HA DIMOSTRATO CHE, QUANDO RISPONDI CON LA FORZA, TRUMP FA MARCIA INDIETRO - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” ORMAI È RIMASTA L’UNICA A IMPLORARE, SCODINZOLANTE, “IL DIALOGO” COL DAZISTA IN CHIEF, NEMMENO LE CIFRE CATASTROFICHE SULLE RIPERCUSSIONI DELLE TARIFFE USA SULLE  AZIENDE ITALIANE, TANTO CARE ALLA LEGA, HA FERMATO I DEMENZIALI APPLAUSI ALLA LETTERA-RAPINA DA PARTE DI MATTEO SALVINI – ASCOLTATE JOSEPH STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA: “TRUMP NON AGISCE SECONDO ALCUN PRINCIPIO ECONOMICO, NON CONOSCE LO STATO DI DIRITTO, È SEMPLICEMENTE UN BULLO CHE USA IL POTERE ECONOMICO COME UNICA LEVA. SE POTESSE, USEREBBE QUELLO MILITARE’’

steve witkoff marco rubio sergei lavrov

RUBIO, IL TAJANI STARS AND STRIPES – IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO NON TOCCA PALLA E SOFFRE IL POTERE DI STEVE WITKOFF, INVIATO DI TRUMP IN MEDIO ORIENTE CHE SE LA COMANDA ANCHE IN UCRAINA. IL MINISTRO DEGLI ESTERI USA PROVA A USCIRE DALL’ANGOLO PARLANDO DI “NUOVA IDEA” DELLA RUSSIA SUI NEGOZIATI IN UCRAINA. MA IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI PUTIN, LAVROV, SUBITO VEDE IL BLUFF: “CONFERMIAMO LA NOSTRA POSIZIONE” – TRUMP AVEVA OFFERTO DI TUTTO A WITKOFF, MA L’IMMOBILIARISTA NON HA VOLUTO RUOLI UFFICIALI NELL’AMMINISTRAZIONE. E TE CREDO: HA UN CONFLITTO DI INTERESSE GRANDE QUANTO UN GRATTACIELO...

diletta leotta ilary blasi stefano sala pier silvio berlusconi

FLASH – IL BRUTALE AFFONDO DI PIER SILVIO BERLUSCONI SU ILARY BLASI E DILETTA LEOTTA (“I LORO REALITY TRA I PIÙ BRUTTI MAI VISTI”), COSÌ COME IL SILURAMENTO DI MYRTA MERLINO, NASCE DAI DATI HORROR SULLA PUBBLICITÀ MOSTRATI A “PIER DUDI” DA STEFANO SALA, AD DI PUBLITALIA (LA CONCESSIONARIA DI MEDIASET): UNA DISAMINA SPIETATA CHE HA PORTATO ALLA “DISBOSCATA” DI TRASMISSIONI DEBOLI. UN METODO DA TAGLIATORE DI TESTE BEN DIVERSO DA QUELLO DI BABBO SILVIO, PIÙ INDULGENTE VERSO I SUOI DIPENDENTI – A DARE UNA MANO A MEDIASET NON È LA SCURE DI BERLUSCONI JR, MA LA RAI: NON SI ERA MAI VISTA UNA CONTROPROGRAMMAZIONE PIÙ SCARSA DI QUELLA CHE VIALE MAZZINI, IN VERSIONE TELE-MELONI, HA OFFERTO IN QUESTI TRE ANNI…

giorgia meloni elly schlein luca zaia vincenzo de luca eugenio giani elly schlein elezioni regionali

PER UNA VOLTA, VA ASCOLTATA GIORGIA MELONI, CHE DA MESI RIPETE AI SUOI: LE REGIONALI NON VANNO PRESE SOTTOGAMBA PERCHÉ SARANNO UN TEST STRADECISIVO PER LA MAGGIORANZA – UNA SPIA CHE IL VENTO NON SPIRI A FAVORE DELLE MAGNIFICHE SORTI DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È IL TENTATIVO DI ANTICIPARE AL 20 SETTEMBRE IL VOTO NELLE MARCHE, DOVE IL DESTRORSO ACQUAROLI RISCHIA DI TORNARE A PASCOLARE (IL PIDDINO MATTEO RICCI È IN LEGGERO VANTAGGIO) – IL FANTASMA DI LUCA ZAIA IN VENETO E LE ROGNE DI ELLY SCHLEIN: JE RODE AMMETTERE CHE I CANDIDATI DEL PD VINCENTI SIANO TUTTI DOTATI DI UN SANO PEDIGREE RIFORMISTA E CATTO-DEM. E IN CAMPANIA RISCHIA LO SCHIAFFONE: SI È IMPUNTATA SU ROBERTO FICO, IMPIPANDOSENE DI VINCENZO DE LUCA, E SOLO UNA CHIAMATA DEL SAGGIO GAETANO MANFREDI LE HA FATTO CAPIRE CHE SENZA LO “SCERIFFO” DI SALERNO NON SI VINCE…

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni

NULLA SARÀ COME PRIMA: PIER SILVIO BERLUSCONI, VESTITO DI NUOVO, CASSA IL SUO PASSATO DI RAMPOLLO BALBETTANTE E LANCIA IL SUO PREDELLINO – IN UN COLPO SOLO, CON IL COMIZIO DURANTE LA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI, HA DEMOLITO LA TIMIDA SORELLA MARINA, E MANDATO IN TILT GLI OTOLITI DI GIORGIA MELONI, MINACCIANDO LA DISCESA IN CAMPO. SE SCENDE IN CAMPO LUI, ALTRO CHE 8%: FORZA ITALIA POTREBBE RISALIRE (E MOLTO) NEI SONDAGGI (IL BRAND BERLUSCONI TIRA SEMPRE) – NELLA MILANO CHE CONTA IN MOLTI ORA SCOMMETTONO SUL PASSO INDIETRO DI MARINA DALLA GESTIONE “IN REMOTO” DI FORZA ITALIA: D'ALTRONDE, LA PRIMOGENITA SI È MOSTRATA SEMPRE PIÙ SPESSO INDECISA SULLE DECISIONI DA PRENDERE: DA QUANTO TEMPO STA COGITANDO SUL NOME DI UN SOSTITUTO DI TAJANI?