“L’ASTINENZA CON MIA MOGLIE? È UNA SCELTA. LA FEDE È UNO STILE DI VITA” – L’EX DIFENSORE NICOLA LEGROTTAGLIE RACCONTA LA SUA VITA TRA CALCIO E RELIGIONE: “PAPÀ VOLEVA CHE LAVORASSI ALL’ILVA, IO INSISTEVO: ‘VOGLIO GIOCARE’” – “TRAPATTONI ERA COME UN NONNO. IN RITIRO, PRIMA DI ANDARE A LETTO, PASSAVA IN CAMERA E PARLAVA, PARLAVA. FINO A QUANDO, SFINITI, NON CI ADDORMENTAVAMO” – “CAMPEDELLI? VIVEVA LE PARTITE IN MODO EMOTIVO: OGNI VOLTA, A FINE GARA, SI SDRAIAVA SFINITO CON LA BORSA DEL GHIACCIO IN TESTA” – “DA BOLOGNA SCAPPAI IN AUTO ALLE 4 DEL MATTINO DOPO CHE…”
Estratto dell’articolo di Filippo Maria Battaglia per “la Stampa”
Il primo allenatore di Nicola Legrottaglie non indossava la tuta di una squadra. La sua voce, a metà anni ‘80, arrivava da un balcone di una piazza di Mottola, nel Tarantino, e non per impartire indicazioni tattiche. «È stata mia madre a insegnarmi la prima lezione di vita e di calcio», racconta l'ex difensore nella sede milanese della Stampa.
«Avevo dieci anni, giocavo su un campetto di cemento. Dopo un contrasto, per sentirmi grande, insultai un avversario. Mamma lo sentì dalle finestre di casa, mi fece salire. Una sberla, poi disse: "Ricordati, parole cattive danno vita a cattive situazioni"». Legrottaglie ha deciso di partire da qui per scrivere insieme ad Andrea Mercurio una raccolta di racconti incentrati sui «valori del calcio» (12 in campo, Giunti, pp. 169, euro 22,90) con protagonisti grandi calciatori e che si apre proprio con quel ricordo d'infanzia.
La sua famiglia?
«Papà ha lavorato una vita all'Ilva, mamma a 5 anni era già nei campi ad aiutare. A 52 si è ammalata: tumore al colon, operazioni, recidive, fino a quando è volata in cielo».
[…] Quando ha capito che avrebbe fatto il calciatore?
«Ne sono sempre stato convinto. Crescevo, i miei amici diventavano poliziotti e operai, papà mi diceva: "Vuoi provare all'Ilva?". Io insistevo: voglio giocare».
[…] Nei primi anni la chiamavano «il duca».
«Un soprannome dei tifosi del Modena: piaceva il modo in cui uscivo palla al piede e testa alta. Fu una grande stagione: dalla C alla B con Gianni De Biasi allenatore».
L'anno dopo - era il 2001 - passò al Chievo.
«Ci ero già stato, ed ero ancora in comproprietà, ma negli anni precedenti non avevo trovato spazio. Così, quando decisero di riscattarmi, non volevo andare. E invece…».
Invece, al primo anno di serie A, vi trovaste in Europa.
«Iniziarono a venire da tutto il mondo per vederci. Ci fossero stati i social, avremmo spaccato».
Il presidente era Luca Campedelli, in panchina c'era Luigi Delneri.
«Campedelli viveva le partite in modo molto emotivo: ogni volta, a fine gara, si sdraiava sfinito con la borsa del ghiaccio in testa».
[…] arrivò in Nazionale.
«Nel 2002, grazie a Giovanni Trapattoni. Un mito, sembrava quasi un nonno: in ritiro, prima di andare a letto, passava in camera e parlava, parlava. Fino a quando, sfiniti, non ci addormentavamo».
L'anno dopo si trasferì alla Juve: nella prima foto ufficiale era in bermuda, maglietta e infradito.
«Ero in vacanza al mare, avevo già un accordo verbale con la Roma. Prima di firmare, il Chievo chiese al mio procuratore che parlassi con la Juventus. Mi dissero: parti adesso, anche in ciabatte. Mi trovai davanti Moggi, Giraudo e Bettega. Firmammo e insistettero subito per incontrare i giornalisti: quelle foto mi perseguitano da più di vent'anni».
Alla Juve, all'inizio, non andò bene: insieme a una Supercoppa italiana, arrivò anche il premio di «Bidone d'oro».
«E pensare che ero partito alla grande. Infornammo una sfilza di vittorie, poi in uno Juventus-Inter tentai un dribbling su Martins. Rubò palla, segnò, perdemmo 3 a 1. E diventò dura: sembrava che la colpa di ogni cosa fosse di Legrottaglie».
Andò via: in prestito al Bologna.
«Voluto da Mazzone, con la promessa di giocare per riconquistare la Nazionale. Durante l'analisi di una partita litigammo, mi fece terra bruciata. Restai fuori fino al ritorno dello spareggio salvezza col Parma. A due minuti dalla fine, dopo un errore di un compagno, rimasi spiazzato e lisciai la palla: schizzò sul ginocchio di Gilardino, il Parma segnò, il Bologna finì in B. Successe il finimondo, dovetti scappare in auto alle 4 del mattino».
Ripartì da Siena, dove si avvicinò all'associazione evangelica degli «Atleti di Cristo». La fede nel calcio l'ha aiutata?
«La fede aiuta sempre: è uno stile di vita, definisce le nostre scelte e la nostra identità».
Ha raccontato di aver praticato la castità per cinque anni prima di sposarsi.
«Una scelta, di cui si è già troppo parlato».
Grazie alla fede si riprese anche la Juve.
«Quando, nel 2011, andai via, le partite erano 154, i gol dieci. Mica male». […]
nicola legrottaglie 9
nicola legrottaglie 2
nicola legrottaglie 3






