“UNICO GRANDE AMORE” - STORIA DI UNA PASSIONE CIECA, FATTA DE CORE E DE PANZA, E NON DI RISULTATI CHE SONO SEMPRE STATI POCHI

Dal libro "#Daje - il Manuale di chi tifa Roma" di Johnny Palomba e Zeropregi (Fandango Libri)

Il libro sarà presentato domani alle 19 alla Libreria Giufà dai due autori - via degli Aurunci, 38 (San Lorenzo)

Chi sono i romanisti? Quando penso a che vuol dire essere romanisti penso una cosa semplice: se sei romano, sei romanista. "Semo romani ma romanisti de più", cantava l'inno di Lando Fiorini negli anni 70, perché in fondo è così: Roma e i romanisti sono un tutt'uno. Perché i romanisti hanno gli stessi pregi e difetti dei romani stessi. I romanisti so' quelli del "fatece largo che passamo noi i giovanotti de sta Roma bella" che con la loro sana spocchia, frutto di una reale irriverenza ai poteri più che di prosopopea, vanno a vedere la Roma convinti sempre de vince. De esse i più forti.

E allora eccoci sempre pronti allo scherno, all'ironia, al sapersi prendere in giro, allo scherzare sulle proprie disgrazie, che poi è un modo come un altro per esorcizzarle. Perdiamo? E vabbè "Oste portace n'antro litro che noi se lo bbeveeeemo" perché del resto "è mejo er vino de li castelli che de sta zozza società". I romanisti so quelli de "La Roma non si discute, si ama" perché volenti o nolenti noi stiamo sempre lì. Una passione cieca, fatta de core e de panza, e non di risultati che sono sempre stati pochi.

Se ama, stop. Je se vole bene e se tifa. Poi magari se critica, se contesta, se sbuffa, se smadonna pe' tutta la settimana ma poi quando scendono in campo quelle maglie color oro e porpora tutto se azzera, tutto se cancella, ce stanno soltanto quei 90' e la Roma. Essere romanisti è amare la Rometta come veniva chiamata finché Dino Viola non la rese davvero una squadra competitiva.

La nostra Rometta che come usciva da Roma prendeva le pizze ma poi quando si giocava in casa, coltello tra i denti, stadio sempre pieno, se prendeva quei punti che gli servivano a galleggiare a metà classifica. In fondo era una tradizione che partiva dai tempi di Campo Testaccio. Mentalità provinciale? Ma perché Roma non è un paese enorme? Il paese più grande del mondo? La Roma calcistica tutt'uno con la Roma metropoli. Talmente empatica sta città che quando la Roma perde si respira quel malumore contagioso che tutto pervade.

Se fosse possibile avere una statistica sulle liti stradali, sono assolutamente convinto che il giorno dopo una sconfitta sono il doppio di quelle del giorno dopo una vittoria, magari una bella vittoria. Ma avete mai girato per Roma dopo che si è vinto una partita importante? 'Sta città trasuda buonumore, dai bar ai mercati rionali, c'è quella sana rilassatezza, felicità, a volte sobria, altre volte esagerata, che si estende e si trasmette anche a chi romano e romanista non è.

I quartieri, magari quelli storici, distrutti dalla gentrificazione, conservano ancora enclave romaniste, in mezzo a fast-food, bar per turisti, cibo take-away per comitive di ultras papalini, perché la Roma appartiene storicamente ai rioni del centro storico ma ormai è la squadra della periferia, anche quella abbandonata, dei quartieri popolari, dove fioccano scooteroni insieme a sgargianti e coatte tute giallorosse con lo scrittone ROMA sul petto e la lupa capitolina sul cuore.

Essere romanisti è aver vissuto e attraversato quei tempi cupi che ora se dice che so' finiti eppure li abbiamo vissuti. Quante centinaia di persone c'erano al Sistina nel 1964? Quando la Roma se ritrovò a scolletta' (fare una colletta) perché non c'erano manco più i soldi per andare in trasferta a Vicenza e la Roma rischiava seriamente il fallimento? Eppure c'erano i romanisti: disorientati, avvelenati, mossi da un amore cieco e da quelle 800 mila lire che si recuperarono quel giorno.

Oppure i tempi cupi di quel maledetto 1951/1952 quando la Roma si ritrovò per la prima e unica volta in serie B, tragedia collettiva di una città che precipitò nella depressione e che reagì riempiendo in quella stagione sistematicamente lo stadio Flaminio: 26mila persone per la prima partita di quella stagione, contro il Fanfulla.

Ventiseimila persone, stesso numero di diverse partite di questa stagione o delle ultime. Perché poi i romanisti un po' come i romani, pure se s'arrabbiano, se gridano vendetta, tradimento, se urlano che "basta non ci vado più" eccoli la domenica successiva sugli spalti a gridare Forza Roma.

Avete presente "Unico grande amore", lo splendido episodio del tifoso romanista nel film I Mostri? Eccoce, con tutta la nostra follia. Disposti a tutto anche a rischio de "pijasse 'no sturbo" quando la Roma segna. Perché di questa città portiamo tutti i pregi e i difetti. Siamo caciaroni, passionali, veraci, critici sempre contro tutto e tutti, capaci di litigare tra di noi, di arrivare pure alle mani ma: GUAI A CHI CI TOCCA!

Perché i romanisti so quelli che tra de loro litigano ma se poco poco un tifoso de un'altra squadra prova a criticare la nostra Roma, eccoli che se ricompattano e azzannano il malcapitato. Rugantini moderni con l'ironia de un Petrolini e quella sana schiettezza del nun me rompe er ca' de Proietti. Sì perché a noi nun ce dovete rompe er ca'.

Potete parlare, vincere, criticacce, ma ce scivola tutto addosso perché semo sempre convinti che da domani le vincemo tutte ma soprattutto perché tifa' Roma te basta e te avanza: è come 'na vittoria. Altro che i 29 scudetti 31 sul campo. Er tifoso romanista è quello che se pensa agli ultimi 30 anni, esclusa la Roma dei 2 scudetti, è convinto che la Roma migliore fu quella di Gigi Radice e del Flaminio.

Più di ogni altra quella si avvicinava alla Roma del nostro immaginario, a quella con cui siamo cresciuti. Tosta, cattiva, un'autentica Roma Testaccina. E allora daje annamo, tifamo, sempre con quel sano orgoglio che ce contraddistingue. Perché in fondo tornando sempre alle parole de Lando Fiorini "noi c'avemo er core grosso, mezzo giallo mezzo rosso, er tifoso romanista dei tifosi è sempre er più".

 

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