biennale di architettura 2021 - ph camilla alibrandi

ARCHITETTURA BATTE ARTE - LUCA BEATRICE: “IL PADIGLIONE ITALIANO DELLA BIENNALE, CURATO DA ALESSANDRO MELIS, È UN PERFETTO ESEMPIO DI COME AFFRONTARE IL FUTURO – SE LE LOGICHE DELL’ARTE SONO SEMPRE LE STESSE (LA MOSTRA È ASSIMILATA ALLA FIERA, IL MERCATO STABILISCE IL CONSENSO), PER FORTUNA C’È ARCHITETTURA CHE ABDICA (ERA ORA) AL PRIMATO DELLE ARCHISTAR PUNTANDO PIUTTOSTO SULLA FORZA INNOVATIVA E ORIGINALE DEL PROGETTO – FOTO-REPORTAGE

Reportage di Camilla Alibrandi per Dagospia

 

Luca Beatrice - https://www.linkiesta.it/2021/05/architettura-moda-italia/

 

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L’allestimento in fondo alle Corderie restituisce la necessaria vivacità culturale cui aspira l’Italia nel 2021 insieme alla capacità di individuare i temi salienti. In primo luogo l’ambiente, ma anche un certo caos, necessario per comprendere il presente e proiettarsi in avanti

 

Se da più parti è stato notato come l’architettura abbia affrontato un processo di articistizzazione, che non è semplicemente una forma ibrida e neppure il crossover linguistico che si pratica ormai da anni, bensì l’aver assimilato un modo più spettacolare di esporre e di presentarsi al pubblico, è altrettanto vero che per ottenere maggiori informazioni sullo stato delle cose l’approccio e il metodo della stessa architettura funziona molto meglio di quello dell’arte.

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Stiamo parlando, naturalmente, del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, inaugurata da poche settimane l’architettura, slittata di un anno e inserita all’interno di una mostra internazionale molto complessa, che abdica (era ora) al primato delle archistar puntando piuttosto sulla forza innovativa e originale del progetto.

 

In fondo alle Corderie, dove il nostro Padiglione nazionale è stato decentrato non senza polemiche dal 2007, vanno in scena le Comunità resilienti di Alessandro Melis, architetto, docente all’università di Portsmouth e direttore del Cluster for Sustainable Cities.

 

Una mostra molto complessa, difficile, che necessita di un tempo lungo per provare a capirci qualcosa, allestita e impaginata con lo spirito della grafica alternativa e cyberpunk degli anni ’90 ideata da DoKC Lab/Ercolani Bros.

 

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È che noi non siamo più abituati a dedicare così tanta attenzione alle cose, assuefatti alla mania del tutto e subito, del prodotto preconfezionato, dunque è innegabile la fatica di inseguire i tanti spunti e soprattutto il rischio di perdersi a leggere testi davvero lunghi e talvolta scritti con corpo troppo piccolo per un pubblico irrimediabilmente ipovedente.

 

Volendo c’è un monumentale catalogo in due volumi dove sono ancora i saggi a prevalere, per cui chi ama i “coffee book” con grandi foto di architettura ci resterà male.

 

Critiche queste che risentono del tipico approccio artistico che privilegia allestimenti sempre uguali, ideologia da white cube, molto ordinati per un’estetica fieristica che deve valorizzare l’opera per venderla.

 

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Qui no, qui siamo nel caos, eppure se vuoi saperne di più sul nostro presente, se vuoi provare a capire quali sono i temi caldi nell’urgenza contemporanea, il Padiglione Italia di architettura già da tempo funziona, quello di arte proprio no, a cominciare dalle logiche che governano le scelte del commissario in una rosa di nomi e relativi progetti dove l’ultima parola è sempre quella del ministro Franceschini (o di persone a lui vicine).

 

Nel 2019, scorsa Biennale d’arte, al Padiglione Italia fu incaricato Milovan Farronato, direttore del Fiorucci Art Trust, vicino al mondo della moda, più conosciuto all’estero che in patria. Portò con sé tre artisti (Liliana Moro, Enrico David che vive a Londra, la scomparsa Chiara Fumai) ma di quell’esposizione non resta memoria se non un percorso bianco e ordinato, estetizzante oltre modo, senza nessun accenno a temi della contemporaneità.

 

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Nel 2022, quando la Biennale tutta sarà diretta da Cecilia Alemani, prima donna italiana a ricoprire il prestigioso incarico, al Padiglione Italia ci sarà Eugenio Viola, curatore in un museo d’arte a Bogotà, Colombia, molto probabilmente con la personale di Gian Maria Tosatti, concettuale 41enne che per quanto bravo non immaginiamo come possa da solo dominare uno spazio così grande, lo stesso ora occupato dalla mostra di Alessandro Melis, profluvio caotico ma vitalissimo di idee dove perdersi è facile, altrettanto uscirne arricchiti.

 

Farronato e Viola hanno in comune di lavorare oltre confine e l’esterofilia piace molto a Franceschini e staff, lo ritengono un valore aggiunto quando invece sarebbe stato più che mai importante premiare un curatore o un direttore di museo tra quelli che hanno scelto pervicacemente di restare in Italia, con tutti i limiti del caso.

 

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La fuga di cervelli, peraltro, è passata di moda e oggi che il nostro sembra proprio un Paese normale, a cominciare dal governo, andava dato un segnale diverso e invece le logiche dell’arte sono sempre le stesse: la mostra è assimilata alla fiera, il mercato stabilisce il consenso.

 

Per fortuna c’è architettura a restituire la vivacità culturale cui aspira l’Italia nel 2021 insieme alla capacità di individuare i temi salienti, prima di tutto l’ambiente, di utilizzare il termine comunità così cruciale per la nostra morfologia che ci rende in qualche modo unici o almeno diversi da tutti gli altri, dove la provincia è al centro della riflessione e non alla periferia, mentre la tecnologia costituisce uno strumento imprescindibile a patto che se ne includa l’umanizzazione.

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Ad architettura, peraltro, espone per la terza volta al Padiglione Italia lo strepitoso fotografo di visioni apocalittiche Giacomo Costa. Se non è un record poco ci manca, almeno nei tempi nostri.

 

 

MELIS CONTRO LO STATUS QUO

Dalla pagina Facebook di Tlon – Maura Gancitano e Andrea Colamedici – www.tlon.it

 

 

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Se vogliamo che questo paese si trasformi - sempre che sia possibile - dobbiamo smantellare una certa tendenza al dileggio e alla svalutazione, costante e diffusa, nei confronti di quello che fanno le altre persone.

 

Provoca molta soddisfazione vedere gli altri come sbagliati, imperfetti, ridicoli, eppure il percorso dell’essere umano è sempre un passaggio fatto di tentativi, mescolanze, tradizioni, tradimenti, errori.

 

La navigazione, l'impresa, il viaggio, nascono dall’urgenza di darsi torto, di cambiare, di superare e superarsi. Ma non c’è area culturale in Italia che non abbia paura del superamento e del cambio di paradigma, e quindi fa di tutto per delegittimare chi tenta uno sguardo obliquo.

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Questo sta accadendo, per esempio, a Alessandro Melis, che nel Padiglione Italia della Biennale Architettura da curatore ha creato una vera mescolanza tra discipline, sguardi, pratiche, con una visione che sconvolge l’impianto antropocentrico, razzista, classista e sessista della nostra cultura.

 

Racconta mostruosità e ibridazioni, coinvolge artiste visive, gruppi di ricerca in varie discipline, mostra cosa può essere davvero l’idea di “comunità resilienti” al di là delle semplificazioni retoriche sul tema "resilienza" a cui siamo abituati.

 

E sta attirando l'astio di alcuni esponenti noti dell’architettura italiana, che stanno liquidando il Padiglione come "qualcosa che non è architettura”. Melis ha creato un progetto (enorme e variegato) che non rientra nei canoni funzionali al mantenimento dello status quo, ed è quindi è da cancellare dalle rotte.

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Viviamo un momento di trasformazione, di grande cambio di paradigma, e questo significa avere il coraggio di abbandonare il gusto italiano per il pettegolezzo, il dileggio, la schadenfreude, e smetterla di pensarsi (soprattutto sui social) come se si fosse ogni giorno i professori dell'Università della Vita che fanno gli esami a chiunque capiti a tiro. Che noia.

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