MORO, DE PEDIS, CALVI. NON GIOCATE COI MISTERI D'ITALIA: RISCHIATE DI FARVI MALE
LA CARCERIERA BIONDA AMICA DI ABBRUCIATI, CHE RACCONTÒ DELLA CENA CON CALVI
I TANTI SOLDI CHE CALVI SI ERA IMPEGNATO DI "RIPULIRE" CON INTERESSI DA CAPOGIRO
LA CARCERIERA BIONDA AMICA DI ABBRUCIATI, CHE RACCONTÒ DELLA CENA CON CALVI
I TANTI SOLDI CHE CALVI SI ERA IMPEGNATO DI "RIPULIRE" CON INTERESSI DA CAPOGIRO
1 - LA BMW E QUEI CAPELLI TAGLIATI, COSÌ IL "TELEFONISTA" PORTÒ ALLA BANDA DELLA MAGLIANA.
Massimo Martinelli per "Il Messaggero"
Se c'è una firma della Banda della Magliana nell'affare Orlandi, ha il profilo di una Bmw station wagon verde. La stessa utilizzata da un giovane biondo e un po' stempiato per avvicinare Emanuela di fronte al Senato. In quella estate dell'83 probabilmente ce n'era una sola in tutta Roma di Bmw di quel colore e di quel modello. Giulio Gangi, l'agente del Sisde che la trovò in una officina autorizzata di piazza Vescovio, si era sentito dire dalla Bmw Italia che la versione station wagon non era in vendita nel nostro paese, tantomeno di quel colore così sgargiante.
Se ce n'era una, doveva essere stata importata dalla Germania. Eppure il 22 giugno 1983 fu sul cofano di quella Bmw che il giovane ben vestito e con una borsa con la scritta Avon, aprì i suoi cataloghi per mostrare a Emanuela Orlandi quali profumi avrebbe dovuto distribuire in occasione di una sfilata delle sorelle Fontana presso la sala Borromini. Emanuela avrebbe voluto fermarsi ma aveva la lezione di musica; un vigile era infastidito dalla vettura in doppia fila e l'esposizione del campionario si interruppe con un "ci vediamo più tardi".
Di quell'incontro parlerà a più riprese uno dei telefonisti che nei giorni successivi alla scomparsa di Emanuela telefonò in casa Orlandi. Si faceva chiamare Mario e la sua appartenenza alla Banda della Magliana è stata certificata da un boss del calibro di Antonio Mancini, che ascoltando una delle telefonate registrate dagli Orlandi disse senza esitazione: «Questa è la voce di uno dei killer più spietati agli ordini di De Pedis». Mario chiamava e chiedeva; si informava e dava dettagli.
«Sembrava interessato a sapere quanto gli Orlandi avevano scoperto sul giovane che aveva avvicinato Emanuela con la scusa dei prodotti Avon - ha ricordato Giulio Gangi, l'agente del Sisde che si attivò per primo per amicizia personale con la famiglia - Ma allo stesso tempo forniva dettagli che solo chi aveva in mano Emanuela poteva sapere». Ad esempio, i capelli. Mario disse che Emanuela stava bene, che si era fidanzata con il ragazzo della Avon, che non voleva tornare a casa e che si era tagliata i capelli corti.
La cosa sembrò incredibile, perchè Emanuela era fierissima della sua lunga capigliatura corvina. Ma a sorpresa, nella sua lunga deposizione di poche settimane fa, Sabrina Minardi ha dichiarato che quando prelevò la ragazza per condurla da un prete vicino al Vaticano, notò che le avevano tagliato i capelli in maniera orrenda. Poi potrebbe essere stata sempre la Minardi a portare la Bmw verde in riparazione, in un'officina di persone vicine alla banda della Magliana. Gangi lo scoprì a poche settimane dal sequestro, ma la sua indagine fu bloccata dai vertici del Sisde. Per motivi che ancora devono essere chiariti.
2 - LA CARCERIERA BIONDA AMICA DI ABBRUCIATI, CHE RACCONTÒ DELLA CENA CON CALVI.
Rita Di Giovacchino per "Il Messaggero"
Il ruolo di carceriera di Emanuela Orlandi in una casa sulla Gianicolense glielo ha attribuito Sabrina Minardi, ultima superteste di questo giallo infinito. Ma finora D.M., che oggi ha quasi sessant'anni, era nota alle cronache soprattutto per la sua affettuosa amicizia con Danilo Abbruciati, nei primi anni Ottanta, cosa che la rese testimone privilegiata di molti segreti legati alla tragica fine del banchiere Calvi e al vorticoso giro di soldi mafiosi inghiottiti dal crack dell'Ambrosiano.
All'epoca dei fatti era poco più che trentenne, bionda ma soprattutto aggressiva, come quasi tutte le ragazze della Magliana. Ora la donna vive in una grande villa blindata alle spalle del Vaticano, mura, cancelli, citofoni senza nome. E al cronista che suona viene risposto senza mezzi termini di non ripresentarsi mai più.
I rapporti di D.M. con Abbruciati non sembravano in contrasto con il fatto di essere amica della fidanzata ufficiale del boss. E in verità neppure con quello di essere la moglie di un altro personaggio di spicco che in quegli anni fu arrestato per spaccio di stupefacenti. Anche lei fu arrestata nel giugno dell'82, per detenzione e spaccio di cocaina. La polizia aveva notato un certo via vai di sudamericani, nella sua abitazione alla circonvallazione Gianicolense, fece irruzione, alla vista degli agenti la donna gettò inutilmente dalla finestra un pacco con mezzo chilo di cocaina. Ma questo non le evitò il carcere.
La sua fama non è però legata ad episodi di così poco conto. Messa alle strette dal pm Sica la donna riferì di una riunione avvenuta alla fine del 1981 in casa del gangster romano. Una cenetta al riparo da occhi indiscreti alla quale avrebbero partecipato, oltre al padrone di casa, cioè Abbruciati, proprio il presidente dell'Ambrosiano e alcuni «banchieri» della Magliana. Dunque si era parlato di soldi, i tanti soldi che Calvi si era impegnato di «ripulire» con interessi da capogiro, ma che in realtà non si sapeva bene che fine avessero fatto. Il banchiere non aveva mantenuto i suoi impegni e questo aveva creato una certa fibrillazione in personaggi come Pippo Calò, che rappresentava i corleonesi, e Fausto Annibaldi capofila dei romani.
A questo incontro gli inquirenti attribuirono una grande importanza rispetto ai successivi sviluppi. Non ultimo quello che Calvi avesse incontrato il futuro killer di Roberto Rosone, poco prima che Abbruciati tentasse di ammazzarlo a Milano, anche se alla fine fu lui a rimanere a terra ucciso dalla guardia del corpo del vice dell'Ambrosiano. Insomma D.M. è stata finora soprattutto una teste chiave. La donna non risulta indagata, il sequestro di persona è nel frattempo caduto in prescrizione. E non c'è alcun riscontro che la Orlandi sia davvero morta.
3 - ATTENTI A GIOCARE CON I MISTERI D'ITALIA: RISCHIATE DI FARVI MALE
(La Velina Azzurra) - Troppe rivelazioni. La pentola sempre a pressione dei misteri d'Italia ha lasciato uscire troppi miasmi nei giorni scorsi. E qualcuno rischia di farsi male davvero. Nell'ordine, è uscito fuori, a metà maggio, il "grande vecchio" delle Brigate Rosse, individuato nell'ex killer di Stalin e di Togliatti che rispondeva al nome di Vittorio Vidali. Insieme a quest'ultimo, il settimanale Panorama ha additato come agenti esecutivi delle BR anche Franca Rame e un magistrato facilmente identificabile. Incredibilmente, nessuno ha fiatato, la stampa nazionale ha taciuto in blocco. Roba troppo scottante, forse.
Con le nuove rivelazioni ai primi di giugno sull'assassinio della contessa Alberica Filo della Torre si è rimasti nel classico delle storie da ombrellone, in cui il delitto dell'Olgiata (del 1991) si alterna ad ogni estate con l'immortale caso di Simonetta Cesaroni di Via Poma. (del 1990) . Storie gustose e innocenti ma non troppo, perché olezzanti anch'esse della presenza dei servizi segreti. Alla terza decade del mese è scattato invece un affare assai più grosso: la riapertura delle indagini sulla tragedia di Ustica (del 1990) grazie agli aggiornamenti di Francesco Cossiga, rivelatore professionale sempre prezioso per giornalisti e magistrati. Quando lo incontri al bar, è una fortuna: gli offri un whisky e lui si mette subito a raccontare i retroscena di Gladio o di qualche altro dossier.
Da marzo a maggio, i mesi delle rituali celebrazioni, i mass media sono stati intasati dalle ricostruzioni sul caso Moro (1978) che secondo noi è la vera madre di tutti i misteri precedenti e susseguenti. Ogni volta che se ne parla viene aggiunto qualche tassello in più all'architettura della vicenda, così c'è da sperare che un giorno o l'altro si finirà per sapere tutto. E adesso, sali, sali su per li rami è scoppiato il caso del solito arcivescovo Marcinkus, ormai il peggior criminale della Chiesa dopo i Borgia, che avrebbe fatto rapire e assassinare Emanuela Orlandi (1983) dalla solita banda della Magliana. Dopo una cena a casa di chi? Indovinato: Andreotti! Ma il mandante era davvero l'arcivescovo o qualcuno anche sopra di lui? Ormai c'è da chiederselo, se non altro per stabilire se Giovanni Paolo II ha davvero diritto alla santità.
Il meccanismo delle rivelazioni sulla Orlandi è classico ed elementare. C'è una signora, l'ex donna di un boss della Magliana, in angoscia da qualche settimana perché sua figlia era nell'auto pirata che ha ammazzato due fidanzati in Via Nomentana a Roma e rischia una bella condanna. E questa signora si mette a raccontare cose dell'altro mondo. Le rivelazioni più strabilianti arrivano spesso da qualcuno che si trova nei guai. Così gli italiani si esercitano nel gioco nazionale del "chi lo guida e chi c'è dietro", "chi spara contro chi, perché spara e che cosa vuole".
Poi arrivano con i loro riti ufficiali Vespa di Porta a Porta e l'imitatore di seconda audience Mentana di Mediaset. E gli italiani, tra scelleratezze vaticane e delitti di Cogne, Erba, l'inglesina di Perugia e porcherie varie passano serenamente il tempo. Ma c'è un problema: pur ammettendo che l'Italia è diventata una fogna, ci pare che si stia esagerando un po'. Se tutti continuano a parlare, qui finisce che qualcuno magari un po' frastornato ci creda sul serio e si metta davvero a raccontare qualche cosa di grosso.
Dagospia 25 Giugno 2008
Massimo Martinelli per "Il Messaggero"
Se c'è una firma della Banda della Magliana nell'affare Orlandi, ha il profilo di una Bmw station wagon verde. La stessa utilizzata da un giovane biondo e un po' stempiato per avvicinare Emanuela di fronte al Senato. In quella estate dell'83 probabilmente ce n'era una sola in tutta Roma di Bmw di quel colore e di quel modello. Giulio Gangi, l'agente del Sisde che la trovò in una officina autorizzata di piazza Vescovio, si era sentito dire dalla Bmw Italia che la versione station wagon non era in vendita nel nostro paese, tantomeno di quel colore così sgargiante.
Se ce n'era una, doveva essere stata importata dalla Germania. Eppure il 22 giugno 1983 fu sul cofano di quella Bmw che il giovane ben vestito e con una borsa con la scritta Avon, aprì i suoi cataloghi per mostrare a Emanuela Orlandi quali profumi avrebbe dovuto distribuire in occasione di una sfilata delle sorelle Fontana presso la sala Borromini. Emanuela avrebbe voluto fermarsi ma aveva la lezione di musica; un vigile era infastidito dalla vettura in doppia fila e l'esposizione del campionario si interruppe con un "ci vediamo più tardi".
Di quell'incontro parlerà a più riprese uno dei telefonisti che nei giorni successivi alla scomparsa di Emanuela telefonò in casa Orlandi. Si faceva chiamare Mario e la sua appartenenza alla Banda della Magliana è stata certificata da un boss del calibro di Antonio Mancini, che ascoltando una delle telefonate registrate dagli Orlandi disse senza esitazione: «Questa è la voce di uno dei killer più spietati agli ordini di De Pedis». Mario chiamava e chiedeva; si informava e dava dettagli.
«Sembrava interessato a sapere quanto gli Orlandi avevano scoperto sul giovane che aveva avvicinato Emanuela con la scusa dei prodotti Avon - ha ricordato Giulio Gangi, l'agente del Sisde che si attivò per primo per amicizia personale con la famiglia - Ma allo stesso tempo forniva dettagli che solo chi aveva in mano Emanuela poteva sapere». Ad esempio, i capelli. Mario disse che Emanuela stava bene, che si era fidanzata con il ragazzo della Avon, che non voleva tornare a casa e che si era tagliata i capelli corti.
La cosa sembrò incredibile, perchè Emanuela era fierissima della sua lunga capigliatura corvina. Ma a sorpresa, nella sua lunga deposizione di poche settimane fa, Sabrina Minardi ha dichiarato che quando prelevò la ragazza per condurla da un prete vicino al Vaticano, notò che le avevano tagliato i capelli in maniera orrenda. Poi potrebbe essere stata sempre la Minardi a portare la Bmw verde in riparazione, in un'officina di persone vicine alla banda della Magliana. Gangi lo scoprì a poche settimane dal sequestro, ma la sua indagine fu bloccata dai vertici del Sisde. Per motivi che ancora devono essere chiariti.
2 - LA CARCERIERA BIONDA AMICA DI ABBRUCIATI, CHE RACCONTÒ DELLA CENA CON CALVI.
Rita Di Giovacchino per "Il Messaggero"
Il ruolo di carceriera di Emanuela Orlandi in una casa sulla Gianicolense glielo ha attribuito Sabrina Minardi, ultima superteste di questo giallo infinito. Ma finora D.M., che oggi ha quasi sessant'anni, era nota alle cronache soprattutto per la sua affettuosa amicizia con Danilo Abbruciati, nei primi anni Ottanta, cosa che la rese testimone privilegiata di molti segreti legati alla tragica fine del banchiere Calvi e al vorticoso giro di soldi mafiosi inghiottiti dal crack dell'Ambrosiano.
All'epoca dei fatti era poco più che trentenne, bionda ma soprattutto aggressiva, come quasi tutte le ragazze della Magliana. Ora la donna vive in una grande villa blindata alle spalle del Vaticano, mura, cancelli, citofoni senza nome. E al cronista che suona viene risposto senza mezzi termini di non ripresentarsi mai più.
I rapporti di D.M. con Abbruciati non sembravano in contrasto con il fatto di essere amica della fidanzata ufficiale del boss. E in verità neppure con quello di essere la moglie di un altro personaggio di spicco che in quegli anni fu arrestato per spaccio di stupefacenti. Anche lei fu arrestata nel giugno dell'82, per detenzione e spaccio di cocaina. La polizia aveva notato un certo via vai di sudamericani, nella sua abitazione alla circonvallazione Gianicolense, fece irruzione, alla vista degli agenti la donna gettò inutilmente dalla finestra un pacco con mezzo chilo di cocaina. Ma questo non le evitò il carcere.
La sua fama non è però legata ad episodi di così poco conto. Messa alle strette dal pm Sica la donna riferì di una riunione avvenuta alla fine del 1981 in casa del gangster romano. Una cenetta al riparo da occhi indiscreti alla quale avrebbero partecipato, oltre al padrone di casa, cioè Abbruciati, proprio il presidente dell'Ambrosiano e alcuni «banchieri» della Magliana. Dunque si era parlato di soldi, i tanti soldi che Calvi si era impegnato di «ripulire» con interessi da capogiro, ma che in realtà non si sapeva bene che fine avessero fatto. Il banchiere non aveva mantenuto i suoi impegni e questo aveva creato una certa fibrillazione in personaggi come Pippo Calò, che rappresentava i corleonesi, e Fausto Annibaldi capofila dei romani.
A questo incontro gli inquirenti attribuirono una grande importanza rispetto ai successivi sviluppi. Non ultimo quello che Calvi avesse incontrato il futuro killer di Roberto Rosone, poco prima che Abbruciati tentasse di ammazzarlo a Milano, anche se alla fine fu lui a rimanere a terra ucciso dalla guardia del corpo del vice dell'Ambrosiano. Insomma D.M. è stata finora soprattutto una teste chiave. La donna non risulta indagata, il sequestro di persona è nel frattempo caduto in prescrizione. E non c'è alcun riscontro che la Orlandi sia davvero morta.
3 - ATTENTI A GIOCARE CON I MISTERI D'ITALIA: RISCHIATE DI FARVI MALE
(La Velina Azzurra) - Troppe rivelazioni. La pentola sempre a pressione dei misteri d'Italia ha lasciato uscire troppi miasmi nei giorni scorsi. E qualcuno rischia di farsi male davvero. Nell'ordine, è uscito fuori, a metà maggio, il "grande vecchio" delle Brigate Rosse, individuato nell'ex killer di Stalin e di Togliatti che rispondeva al nome di Vittorio Vidali. Insieme a quest'ultimo, il settimanale Panorama ha additato come agenti esecutivi delle BR anche Franca Rame e un magistrato facilmente identificabile. Incredibilmente, nessuno ha fiatato, la stampa nazionale ha taciuto in blocco. Roba troppo scottante, forse.
Con le nuove rivelazioni ai primi di giugno sull'assassinio della contessa Alberica Filo della Torre si è rimasti nel classico delle storie da ombrellone, in cui il delitto dell'Olgiata (del 1991) si alterna ad ogni estate con l'immortale caso di Simonetta Cesaroni di Via Poma. (del 1990) . Storie gustose e innocenti ma non troppo, perché olezzanti anch'esse della presenza dei servizi segreti. Alla terza decade del mese è scattato invece un affare assai più grosso: la riapertura delle indagini sulla tragedia di Ustica (del 1990) grazie agli aggiornamenti di Francesco Cossiga, rivelatore professionale sempre prezioso per giornalisti e magistrati. Quando lo incontri al bar, è una fortuna: gli offri un whisky e lui si mette subito a raccontare i retroscena di Gladio o di qualche altro dossier.
Da marzo a maggio, i mesi delle rituali celebrazioni, i mass media sono stati intasati dalle ricostruzioni sul caso Moro (1978) che secondo noi è la vera madre di tutti i misteri precedenti e susseguenti. Ogni volta che se ne parla viene aggiunto qualche tassello in più all'architettura della vicenda, così c'è da sperare che un giorno o l'altro si finirà per sapere tutto. E adesso, sali, sali su per li rami è scoppiato il caso del solito arcivescovo Marcinkus, ormai il peggior criminale della Chiesa dopo i Borgia, che avrebbe fatto rapire e assassinare Emanuela Orlandi (1983) dalla solita banda della Magliana. Dopo una cena a casa di chi? Indovinato: Andreotti! Ma il mandante era davvero l'arcivescovo o qualcuno anche sopra di lui? Ormai c'è da chiederselo, se non altro per stabilire se Giovanni Paolo II ha davvero diritto alla santità.
Il meccanismo delle rivelazioni sulla Orlandi è classico ed elementare. C'è una signora, l'ex donna di un boss della Magliana, in angoscia da qualche settimana perché sua figlia era nell'auto pirata che ha ammazzato due fidanzati in Via Nomentana a Roma e rischia una bella condanna. E questa signora si mette a raccontare cose dell'altro mondo. Le rivelazioni più strabilianti arrivano spesso da qualcuno che si trova nei guai. Così gli italiani si esercitano nel gioco nazionale del "chi lo guida e chi c'è dietro", "chi spara contro chi, perché spara e che cosa vuole".
Poi arrivano con i loro riti ufficiali Vespa di Porta a Porta e l'imitatore di seconda audience Mentana di Mediaset. E gli italiani, tra scelleratezze vaticane e delitti di Cogne, Erba, l'inglesina di Perugia e porcherie varie passano serenamente il tempo. Ma c'è un problema: pur ammettendo che l'Italia è diventata una fogna, ci pare che si stia esagerando un po'. Se tutti continuano a parlare, qui finisce che qualcuno magari un po' frastornato ci creda sul serio e si metta davvero a raccontare qualche cosa di grosso.
Dagospia 25 Giugno 2008