IL CIELO SOPRA DUBAI - 300 JET ACQUISTATI DALLE COMPAGNIE ARABE A COLPI DI PETROLDOLLARI (150 MILIARDI DI COMMESSE) - PER LE GRANDI COMPAGNIA AEREE OCCIDENTALI SONO DOLORI

Roberto Giovannini per "La Stampa"

In questo paese creato dal nulla grazie ai petrodollari si fa così: anche se Dubai ha già il quarto aeroporto più grande del mondo per numero di passeggeri, hanno deciso di costruirne uno nuovo - internazionale - in mezzo al deserto. L'Al Maktoum International (nome scelto dallo sceicco di Dubai Mohammed bin Rashid Al Maktoum, per ricordare il suo fratello e predecessore Maktoum al Maktoum) alla fine costerà 32 miliardi di dollari. Avrà cinque piste, quattro terminali, e nel 2023 sarà il più grande del mondo, potendo reggere un traffico pari a 160 milioni di passeggeri. Per adesso non c'è granché.

Ieri però le superstrade spazzate dalla sabbia finissima - al cui lato si affannano poveri immigrati pakistani a cercare di far crescere migliaia di stente piantine di eucalipto - erano piene di auto cariche di visitatori. L'Al Maktoum accoglie infatti l'edizione 2013 del Dubai Air Show, la mega Fiera dell'aviazione civile e militare che sta già oscurando i tradizionali appuntamenti di Le Bourget e Farnborough. Un Air Show cominciato con un botto. Anzi, con un super botto: solo nel primo giorno le compagnie aeree del Golfo hanno annunciato ordini per la bellezza di 150 miliardi di dollari.

Eh sì: gli sceicchi dal portafoglio inesauribile non fanno shopping solo di squadre di calcio. E soprattutto, quando decidono non badano a spese. In un raggio di 250 chilometri operano tre delle compagnie aeree più "emergenti": Emirates (Dubai), Etihad (Abu Dhabi) e Qatar Airways. Emirates ieri ha annunciato un ordine per 150 nuovi Boeing 777X, i cosiddetti miniJumbo appena progettati, un affare da 76 miliardi di dollari; poi ha ordinato anche 50 giganteschi Airbus A380 per 23 miliardi di dollari. Sempre Boeing ha venduto a Etihad 30 dei suoi 787 Dreamliners e 70 777, mentre 100 737 li prende la compagnia lowcost flydubai.

Airbus, molto preoccupata per l'offensiva del colosso americano, tira un sospiro di sollievo con un altro ordine di Etihad per 87 apparecchi (27 miliardi di dollari). Da notare che il presidente di Emirates (che ovviamente si chiama Al Maktoum...) ieri ha chiesto minacciosamente ai paesi europei di darsi una mossa per approvare voli diretti tra Dubai e gli aeroporti Ue, che in alcuni casi non sono in grado di far atterrare e decollare i giganteschi Airbus 380, costruiti proprio in Europa.

Insomma, qui ci sono i soldi e gli affari. Non è un caso se qui Natale sbarcherà la portaerei Cavour diventata piattaforma commerciale per vendere le armi italiane. Non è un caso neppure che Enrico Letta stia lavorando per tentare di convincere Etihad a rilevare il grosso della disastrata Alitalia. Peccato che proprio ieri Etihad abbia annunciato l'acquisto del 33,3% della compagnia svizzera Darwin Airline, che verrà trasformata in Etihad Regional per portare clientela verso Abu Dhabi. Una mossa che certo non promette bene per la nostra compagnia di bandiera.

E a Dubai, ovviamente, c'è anche Finmeccanica. Ieri l'amministratore delegato del colosso pubblico della difesa e dell'aerospazio, Alessandro Pansa, ha chiarito la ragione dell'interesse della holding italiana per la regione del Golfo: «qui facciamo - ha detto ai giornalisti - il 20-25% dei ricavi del gruppo, 4-5 miliardi di euro nei segmenti dove i margini sono più elevati». Parliamo di elicotteri AgustaWestland, di navi, di sistemi d'arma ed elettronici, di aerei da addestramento come l'M-339 e l'M-346 o come gli ATR. E soprattutto dei cacciabombardieri Eurofighter Typhoon, al cui consorzio Finmeccanica partecipa con il 37%.

Da un pezzo Eurofighter duella con il francese Rafale per conquistare una commessa che rappresenterebbe una mano santa: l'acquisto da parte dell'Aeronautica degli Emirati di 60 aerei, 10 miliardi di dollari e lavoro assicurato fino al 2023. Nel 2011 i francesi si sentivano il contratto in tasca, ma ora in vantaggio c'è l'alleanza italo-tedesco-spagnola-britannica, sostenuta dalla diplomazia britannica (sabato qui è venuto appositamente David Cameron).

Come spiega Pansa, il nostro asso nella manica è la possibilità di offrire trasferimenti di tecnologia e di competenze produttive negli Emirati. «Bisogna trovare la chiave giusta - spiega l'ad - per generare partnership industriali». Del resto anche Boeing potrebbe costruire nel Golfo il suo nuovo 777.

 

 

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