MADE IN THE USA - ADDIO CINA: GLI STATI UNITI DIVENTERANNO LA MANIFATTURA A BASSO COSTO DELL’OCCIDENTE

Alberto Brambilla per "Il Foglio"

Entro i prossimi due anni gli Stati Uniti diventeranno il paese con il più basso costo della produzione manifatturiera tra le economie avanzate. Un fenomeno che, se confermato, cambierà i rapporti economici in occidente e, se consistente, porterà a un ulteriore aumento delle esportazioni americane coronando quella che alcuni osservatori già definiscono la "rinascita della manifattura made in Usa".

Lo sostiene un rapporto diffuso ai media nei giorni scorsi da Boston consulting group, multinazionale della consulenza aziendale e finanziaria. "La nostra analisi suggerisce che gli Stati Uniti si stanno affermando come uno dei paesi con il più basso costo della manifattura nel mondo sviluppato. Stimiamo - dice il rapporto - che entro il 2015 il costo medio della manifattura nelle cinque maggiori economie esportatrici che abbiamo preso in considerazione (Germania, Giappone, Francia, Italia e Gran Bretagna) sarà dalle 5 alle 15 volte più elevato che negli Stati Uniti".

Tra i motivi trainanti di questa rivoluzione Boston consulting indica lo sviluppo dello shale gas, il gas naturale estratto dalle rocce per cui è necessaria peraltro la produzione di nuovi macchinari (un volano per le fabbriche d'acciaio), e la riduzione dei costi dell'energia. Soprattutto, però, gli analisti confermano che il maggiore vantaggio deriverà dalla riduzione del costo del lavoro, fattore in grado di rimettere in competizione gli Stati Uniti con la fabbrica del mondo, la Cina. Il risultato si traduce nella crescita delle esportazioni e nel potente ritorno dei prodotti made in America sulle rotte commerciali internazionali, a scapito delle altre economie occidentali.

"Stimiamo - dice il rapporto The U.S. as One of the Developed World's Lowest-Cost Manufacturers - che gli Stati Uniti potranno catturare dal 5 per cento in su della quota d'esportazioni degli altri paesi sviluppati entro la fine di questo decennio (in dollari si tratta di 70 e 115 miliardi che dagli altri paesi si "trasferiranno" negli Stati Uniti, ndr). La svolta sarà sostenuta da un significativo vantaggio degli Stati Uniti nei costi di navigazione e trasporto sulle tratte più importanti a differenza degli altri grandi paesi manifatturieri".

Boston consulting da almeno un anno sostiene, attraverso le sue ricerche, che sia in corso un "rinascimento" della manifattura americana trainata dalla ripresa delle esportazioni e dal ritorno negli Stati Uniti dei colossi nazionali che si erano trasferiti in Cina per ragioni di convenienza, come la compagnia di macchine per costruzioni Caterpillar solo per fare un esempio tra molti.

La fabbrica del mondo, la Cina, ora non è più così attraente perché lo sviluppo dell'economia e una parallela diffusione del benessere (seppur esile se comparata alla crescita del pil) sta portanto a un contestuale aumento dei salari (la paga di un operaio cinese è cresciuta del 96 per cento dal 2005 al 2010; in pratica è raddoppiata). Negli anni in cui sono stati additati gli eccessi della finanza, le esportazioni stanno diventando "l'eroe non celebrato" degli Stati Uniti.

Ma per vedere i festeggiamenti non bisognerà attendere a lungo: le prime, significative, avvisaglie già ci sono, dice Bcg. Le esportazioni sono infatti cresciute sette volte più velocemente del pil, in termini percentuali, dal 2005 a oggi e sono al livello più alto da cinquant'anni. Le conseguenze della rinnovata competitività statunitense, tra cui il non trascurabile incremento della produttività del lavoro (un miraggio in Europa e soprattutto in Italia), porteranno alla creazione di 2,5-5 milioni di nuove imprese e di servizi a esse collegati e quindi a nuovi posti di lavoro.

Sono previsioni che possono sembrare sorprendenti e dovranno trovare conferma nei fatti. D'altronde ci sono valide ragioni per rimanere scettici circa il "rinascimento" manifatturiero degli Stati Uniti. Autorevoli analisti e commentatori hanno ad esempio evidenziato i dati contrastanti (positivi solo in alcuni trimestri e negativi in altri) dell'export americano: segno di una tendenza in via di stabilizzazione (è la tesi dominante al Us Business and Industry Council, la lobby di 2.000 manifatture americane).

Altri ancora, come ad esempio l'Economist, segnalano invece che la crescita nell'output della manifattura si traduce più che altro in un "recupero del terreno perduto" anziché in un guadagno reale e consistente. Inoltre, aggiungeva il settimanale inglese, la crescita vista in passato è stata sostenuta dai sussidi all'industria, che non sono una fonte permanente di liquidità e che, se mal investiti, risultano finanziamenti statali a fondo perduto.

Infine, sebbene la Cina stia adeguando lentamente le politiche salariali a quelle dei suoi principali concorrenti, ci sono altri paesi emergenti in grado di competere e prosperare nel mondo del lavoro a basso costo.

 

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