GOLDMAN BOYS - NON CI SONO SOLO MONTI E DRAGHI TRA GLI ITALIANI NOTI CON UN PASSATO AL SERVIZIO DELLA BANCA D’AFFARI ACCUSATA DI NOMINARE I GOVERNI ED ESSERSI INGRASSATA CAUSANDO E SPECULANDO SULLA CRISI DEI MUTUI SUBPRIME: L'APRIPISTA FU PRODI, E FIGURANO ANCHE GIANNI LETTA, ALESSANDRO BENETTON, BRUNO SCARONI, MATTEO MONTEZEMOLO - PARE CHE IN ITALIA, COMUNQUE, GOLDMAN SACHS NON ABBIA FATTO NULLA DI PARTICOLARMENTE MARCIO (AH SAPERLO)...

Luca Piana per "l'Espresso"

Romano Prodi? Quando venne a Londra a presentarsi, fu una delusione: troppo timido, con quel modo tutto suo di bofonchiare. Poi però si rivelò un acquisto molto valido. Mario Draghi? Competente, preciso, ha avuto un grande impatto sulla banca. Gianni Letta? Una macchina da guerra. Dava consigli ben ponderati, non aveva mai timore di esprimere la sua opinione. Mario Monti? Beh, lo conoscete, è molto preparato, prudente, attento a non compromettere il suo nome. Così, di fatto, negli uffici lo si vedeva poco...

Nei ricordi di chi li ha incrociati sul campo, gli italiani che hanno lavorato alla Goldman Sachs difficilmente vestirebbero i panni degli assassini dell'euro. Eppure, in queste settimane, la banca d'affari americana si ritrova al centro di polemiche feroci. A New York la sua sede è uno dei bersagli preferiti da "Occupy Wall Street", il movimento che protesta contro "le corporation che controllano la società civile".

A Milano gli attacchi sono più mirati. Alessandro Sallusti, direttore del quotidiano "il Giornale", uno dei mastini di Silvio Berlusconi, ha definito la banca "un covo di criminali che hanno innestato la crisi finanzaria". Prova d'accusa, il fatto che vi abbia lavorato come consulente Monti, successore del Cavaliere alla presidenza del Consiglio. Un attacco politico, che però contribuisce a un clima insidioso a cui non si è sottratto nemmeno il "Corriere della Sera". Il quale, martedì 22 novembre, ha definito "singolare" il fatto che l'Università di Castellanza abbia invitato a parlare delle prospettive dei mercati Massimo della Regione, uno dei partner italiani della banca. Censurato a priori in quanto "rappresentante di quella sfera finanziaria alla quale anche i più moderati addebitano qualche responsabilità nella crisi".

Se di questi tempi i banchieri non godono di grande popolarità, quelli di Goldman Sachs sono ai minimi termini. È il rischio del primo della classe: quando cade, i critici ci godono di più. Al clima di sfiducia, peraltro, motivazioni concrete non ne mancano, dall'operazione in derivati che ha permesso alla Grecia di occultare per anni parte dei propri debiti ai prodotti speculativi finiti al centro di diverse indagini da parte delle autorità Usa. Tutto questo mentre i banchieri della Goldman continuavano a percepire i loro guadagni da turbo-finanza, simboleggiati dai 54 milioni di dollari incassati nel 2006 dal numero uno, Lloyd Blankfein.

In Italia, in verità, la banca è riuscita a scansare alcune mine scoppiate sotto i piedi di altri istituti. Non era tra i finanziatori della Parmalat di Calisto Tanzi e non ha fatto derivati con gli enti locali. Figura tra i principali intermediari di titoli di Stato nelle aste del Tesoro. E, a livello generale, ha scampato le critiche sul fatto di aver speculato sui crolli dell'estate: nel trimestre da luglio a settembre ha perso 428 milioni di dollari proprio per aver ridotto l'attività sui mercati, considerati troppo rischiosi per prendere posizione.

A inacidire il clima sembra dunque concorrere, in Italia più che altrove, la prassi di arruolare nei propri ranghi persone che hanno ricoperto importanti incarichi istituzionali. Di qui l'accusa di fare da manovratore occulto della politica: nonostante i concorrenti non si comportino diversamente, Goldman ci mette una cura maniacale nell'attirare individui che abbiano accesso alle stanze del potere e che, come minimo, la aiutino a evitare errori clamorosi.

In Italia, oggi, il presidente è Paolo Zannoni, 63 anni, studi a Firenze con il politologo Giovanni Sartori poi a Yale, una carriera prima da assistente di Gianni Agnelli, poi in Fiat a Washington e Mosca. Mario Draghi, attuale presidente della Bce, arrivò invece a Londra nel 2002 e vi rimase fino al 2005, anno della nomina a governatore della Banca d'Italia. Anche fra i consulenti esterni del passato, i nomi sono di spicco.

Prodi entrò nel 1990, dopo sette anni da presidente dell'Iri, mentre l'ingaggio di Gianni Letta risale al 2007: fu lui, si racconta, a suggerire di non impegnarsi in una partita tutta nazionale come il salvataggio Alitalia. Così come furono i suoi buoni uffici a facilitare il coinvolgimento nelle operazioni di finanza straordinaria effettuate in quegli anni da società pubbliche come Enel e Finmeccanica. Quando Letta tornò a Palazzo Chigi nel 2008, poi, come consulente venne scelto il commercialista Enrico Vitali, partner dello studio di Giulio Tremonti.

Chi è entrato in Goldman dal basso, però, sostiene che l'enorme cura nelle selezioni riguarda tutti i gradini della struttura, non solo le figure top. La manciata di laureati che ogni anno viene assunta fra Milano, Torino e Roma - e che va ad alimentare un plotoncino di un centinaio di connazionali, fra i quali nove "senior banker" a Londra - deve superare una decina di colloqui. Dall'altra parte del tavolo non siede solo il futuro capo-ufficio ma anche i pari grado, chiamati a esprimere un giudizio per formare una squadra più coesa possibile. In passato la trafila l'hanno fatta, da neolaureati, anche Matteo Lunelli, oggi numero uno delle Cantine Ferrari, che ci ha lavorato cinque anni, Alessandro Benetton, Bruno Scaroni e Matteo Montezemolo, che ha lasciato dopo un anno per tornare ai business di famiglia.

Più che una Spectre, agli occhi degli esperti la banca sembra dunque soprattutto una macchina da soldi. Una critica che, piuttosto, trova qualche eco è quella che la banca avrebbe perso un po' della sua anima storica. Direttamente o tramite fondi d'investimento, Goldman Sachs è uno dei maggiori investitori al mondo in società non quotate. Per quanto riguarda l'Italia, ad esempio, è socia della Sintonia della famiglia Benetton e della Endemol del gruppo Mediaset, mentre di recente ha realizzato una plusvalenza pari ad "alcune volte" gli 1,4 miliardi investiti in Prysmian, acquistata nel 2005 dalla Pirelli, aiutata a crescere e successivamente venduta.

Fino a metà degli anni Novanta queste attività d'investimento, che permettono di stabilire con i clienti relazioni di lungo periodo, erano in equilibrio rispetto all'intermediazione di titoli, valute, derivati. Negli ultimi anni, invece, questa seconda attività, più orientata ai profitti immediati, è però diventata via via più centrale nel business. Si spiegano forse così le imbarazzanti mail interne finite sui giornali l'anno scorso, nelle quali alcuni dipendenti si vantavano dei guadagni realizzati vendendo titoli tossici ai clienti. Una ferita che richiederà tempo per chiudersi del tutto.

 

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