COME TI MALTRATTO IL CONTRATTO - IL NUMERO UNO DI FIAT MARCHIONNE TENTA L'ENNESIMA SPALLATA AL CONTRATTO NAZIONALE TANTO CARO A SQUINZI E CAMUSSO

Da ‘Il Foglio'

Potrebbe essere un altro colpo decisivo al contratto nazionale di lavoro. A quel totem caro alla Confindustria di Giorgio Squinzi e alla Cgil di Susanna Camusso. Nelle trattive per il rinnovo del contratto di gruppo, Fiat (che dal 2011 non applica più la piattaforma destinata ai metalmeccanici) ha spiazzato i sindacati. Ha spiegato a FimCisl, Uilm, Fismic e Ugl di voler legare tutti i futuri aumenti salariali alla produttività, differenziandoli anche in base ai risultati dei diversi stabilimenti italiani. Nota il giuslavorista Arturo Maresca: "Fiat dice al sindacato: ‘Non ti do di meno, ma gli incrementi sono legati all'incremento di produttività e all'andamento dell'azienda'".

E conclude: "E' una proposta interessante, perché scardina l'impostazione del Protocollo del 1993 secondo cui il contratto nazionale ha come primo obiettivo la manutenzione sui minimi tabellari". Al momento non esiste nessuna proposta formale, ma la cosa spaventa ugualmente i sindacati. Che sono gli stessi che, a differenza della Fiom, hanno accompagnato il turnaround del Lingotto. E che, soprattutto, nel 2011 hanno accettato la decisione di Marchionne di uscire da Confindustria e dall'alveo del contratto nazionale firmato da Federmeccanica. Infatti l'ad strappò un accordo per l'impianto di Pomigliano così da garantirsi maggiori livelli di produttività con più turni settimanali, minori pause e sanzioni contro l'abuso dei giorni di malattia e gli scioperi selvaggi. Ora l'ultima puntata.

Tutto ha avuto inizio quando le sigle firmatarie del contratto hanno chiesto un ritocco di 90 euro per il prossimo biennio. Il direttore delle relazioni industriali di Fiat, Pietro Deh Biasi, ha prima risposto che non ci sono le condizioni per discutere di aumenti. Nel 2014 l'azienda stima volumi di immatricolazioni mediocri in Europa, teme che possa rallentare il trend di vendita in nord America e in Brasile. Quindi, la bomba che potrebbe incrinare i rapporti tra le parti. L'idea di Fiat sarebbe semplice e nel contempo difpo rivoluzionaria. Intanto mantenere agli standard attuali i minimi salariali previsti dall'accordo di primo livello (il contratto di gruppo), comunque più alti di 73 euro per un dipendente di terzo livello rispetto al contratto di Federmeccanica.

Così ogni euro in più finirebbe per essere oggetto della contrattazione di secondo livello, quella che per legge si applica al livello aziendale o territoriale e, che in Fiat si riferisce ai singoli stabilimenti. Gli obiettivi del Lingotto sono sempre gli stessi: incentivare la produttività e regolare la dinamica salariale in base alla domanda per attutire gli effetti del cuneo fiscale. Al riguardo, De Biasi avrebbe anche aggiunto che potrebbe essere il World Class Manufacturing (Wcm) uno degli strumenti per calcolare quello che sarebbe un salariale premiale. Il Wcm è un sistema di gestione per ottimizzare i processi produttivi, redendoli più flessibili in base alla domanda e riducendo gli sprechi: regola la produzione tout court, la sicurezza ambientale, la manutenzione e la logistica.

E prevede una serie di valutazioni periodiche da parte di auditor certificati per verificare i risultati ottenuti da ogni stabilimento. Ai sindacati è soprattutto questa parte della piattaforma Fiat che non piace. Spiega uno dei rappresentanti dei lavoratori: "C'è il rischio che guadagnino di più gli operai di Grugliasco, dove si realizza la Maserati Ghibli; meno o nulla le maestranze di Cassino dove si fa la Delta". Per evitarlo, hanno chiesto all'azienda di riconoscere per il 2014 un premio di 40 euro a tutti i dipendenti, che non incida sui minimi contrattuali. Al prossimo incontro, previsto il 17 aprile, si attende la risposta di Fiat. Per Giuliano Cazzola, ex dirigente Cgil, "si apre la strada della contrattazione di prossimità. L'Europa l'ha raccomandata, in Spagna viene fatta per legge. Il risultato è che il contratto nazionale avrebbe un ruolo di minimo, anche perché la politica salariale finisce per farla la domanda di mercato".

 

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