MONTE DEI PACCHI DI SIENA - QUELLA MESSA IN ATTO DAL MANAGEMENT DELLA BANCA SENESE DAL 2007 A OGGI È UNA VERA A PROPRIA TRUFFA DA BAR - QUANDO MPS ACQUISÌ ANTONVENETA, I DIRIGENTI DEL GRUPPO SAPEVANO BENISSIMO CHE SI TRATTAVA DI UN’OPERAZIONE SUICIDA - CERCARONO ALLORA DI RAGGIRARE IN TUTTI I MODI GLI INVESTITORI, DA JP MORGAN A BANK OF NEW YORK SOTTO IL “FRESH”, SBUCA MEDIOBANCA…

Gianluca Paolucci e Guido Ruotolo per "La Stampa.it"

A leggere l'informativa del Nucleo Valutario della Finanza, la sensazione è quella di trovarsi nel Monte dei Paschi di fronte a una associazione a delinquere. Una banda che era riuscita a pianificare la truffa, l'imbroglio, il gioco delle tre carte. Per ognuno dei soggetti di riferimento, come emerge dall'analisi dello scambio di mail tra il management Mps, cambiavano le comunicazioni sull'acquisto di Antonveneta. Rassicuranti a loro modo per il mercato, per gli azionisti, e per Bankitalia e Consob.

Un passo indietro. All'inizio di questa storia, quando cioè muove i suoi primi passi la trattativa per la cessione di Antonveneta. E' l'8 novembre del 2007 e - ricostruiscono gli 007 del generale Bottillo - «Mps comunica al mercato di aver raggiunto un accordo con Banco Santander per complessivi 9 miliardi di euro, per l'acquisizione del gruppo Banca Antonveneta al netto della partecipata Interbanca». 
 
Sintetizza l'informativa: «Il corrispettivo sarebbe stato finanziato per il 50% circa attraverso un aumento di capitale offerto in opzione a tutti gli azionisti. Per il 20/25% circa tramite la cessione di asset non strategici e per la restante parte attingendo alla liquidità disponibile al "funding" tramite strumenti di debito (senior e subordinate)».

Solo due mesi prima, alla fine di agosto sempre del 2007, si era messa in moto la macchina: «L'operazione Antonveneta comincia a delinearsi come possibile alla fine del mese di agosto 2007 quando personale della società di consulenza Rothschild avrebbe contattato Mussari Giuseppe (presidente di Mps) paventandogli la possibilità di acquistare il gruppo bancario italiano».

Facile dire con il senno di poi che il gruppo dirigente di Mps si è rivelato un gruppo di avventurieri che, per conquistare il «tesoro» (Antonveneta) che avrebbe reso Montepaschi la terza banca d'Italia, si è indebitato fino all'osso. C'è qualcosa di più e di peggio che emerge dallo scambio: la consapevolezza che Mps sarebbe andata dritta a sbattere contro l'iceberg, come il Titanic. 
 
Quando per onorare gli impegni presi per l'acquisto di Antonveneta, Mps si butta nell'avventura del cosiddetto Fresh, che permette di raccogliere un altro miliardo tramite la banca d'affari americana Jp Morgan, il responsabile legale della banca senese, Raffaele Giovanni Rizzi, esprime i suoi dubbi in una mail spedita al capo tesoreria dell'epoca, Massimo Molinari, paventando che l'operazione sarebbe stata «foriera di guai giuridici come l'altro Fresh (quello del 2003, ndr)».

E' lui, Rizzi, che il 18 dicembre del 2007 manda per posta elettronica una bozza del comunicato alle istituzioni finanziarie disponibili a sostenere l'operazione. E il giorno dopo, una bozza all'interno di Mps diversa da quella diffusa al mercato, «nella parte in cui è prevista l'operazione di un miliardo di euro mediante nuove azioni». Annota l'informativa della Finanza: «Si prevede l'emissione di strumenti innovativi di capitale come già emergeva in una mail interna del 26 novembre del 2007». 
 
LE BUGIE SUL FRESH 
Questi «strumenti innovativi di capitale» sono appunto il Fresh, una sigla che sta per Floating rate equity-linked subordinated hybrid preferred notes. E attorno al quale ruota molta parte dell'inchiesta. L'emissione di Mps presenta una serie di caratteristiche tali da essere considerata, dal punto di vista contabile, come un vero e proprio aumento di capitale. Se non che Mps nasconde o nega nei prospetti e alle autorità di controllo una parte delle caratteristiche, tali da rendere il miliardo (è la ricostruzione dei pm di Siena), un debito vero e proprio.  
 
I fatti attorno ai quali ruota l'accusa dei pm agli indagati in questo filone d'indagine riguardano la struttura dell'operazione: secondo quanto dichiara Mps a Bankitalia il 23 settembre 2008, le azioni al servizio del Fresh vengono trasferite a JpMorgan, che si assume i rischi relativi all'oscillazione del titolo, che poi vengono trasferiti agli investitori che comprano bond Fresh emessi da Bank of New York. Inoltre, il pagamento a Jp Morgan dell'usufrutto su quelle azioni da parte di Mps non rappresenta un interesse sul Fresh.

A Bankitalia viene taciuto invece che quell'usufrutto che paga la banca - pari alla cedola - è esattamente quello: il pagamento di un interesse sul Fresh. Com'è peraltro prassi in operazioni analoghe, che infatti non vengono computate integralmente a capitale. In ottobre, viene invece nascosto sempre a Bankitalia che la banca aveva già effettuato dei pagamenti per l'usufrutto a Jp Morgan, dichiarando che i pagamenti sarebbero partiti nel maggio 2009 dopo l'approvazione del bilancio - vincolando così l'operazione ai risultati d'esercizio -. Mentre invece Mps inizia a pagare già a luglio 2008.
 
A quel punto Bankitalia chiede di rivedere le regole del prestito: chiede di scrivere «utile distribuibile e dividendi» invece di «utile o dividendi». Il prestito però è già stato lanciato e sottoscritto mesi prima. Occorre cambiare il regolamento ma alcuni investitori non ci stanno, perché di fatto si trovano in mano una cosa diversa - perché meno garantita - rispetto a quella acquistata. Così Bank of New York chiede garanzie a Mps. E in occasione dell'assemblea di marzo 2009 che recepisce le modifiche chieste da Bankitalia parte la «indemnity side letter», le garanzie appunto. Il destinatario è Bank of New York.

Il mittente è Marco Morelli, allora direttore finanziario del gruppo Mps. La vicenda del Fresh s'intreccia anche con i guai della Fondazione, che compra i titoli subordinati per 490 milioni. Per farlo, s'indebita con Credit Suisse, Banca Leonardo - che poi uscirà anticipatamente - e Mediobanca con uno strumento derivato chiamato Tror. Di fatto è un finanziamento, però a comprare materialmente il Fresh sono le banche e non la Fondazione, che incassa le cedole ma paga interessi sul prestito. Quando il valore delle azioni va a picco, a fine 2011, le banche si prendono azioni Mps a garanzia. Che però sono già «impegnate» per coprire il prestito da 600 milioni per l'aumento di capitale dell'estate precedente. E il castello di carte inizia a franare.

 

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