LA NUOVA PADRONCINA D’ITALIA SI CHIAMA BLACKROCK, UN COLOSSO USA DEL RISPARMIO CHE GESTISCE 4300 MILIARDI DI DOLLARI E CHE ORA DILAGA A PIAZZA AFFARI

Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"

Cresciuto tra le aule della University of California, dove si è laureato, e il negozio di scarpe del padre a Van Nuys, periferia nord di Los Angeles, Larry Fink, un ebreo californiano che in pochi decenni è riuscito a creare dal nulla la più grossa compagnia finanziaria del mondo, è ancor oggi tutto solo al comando di BlackRock: il colosso americano del risparmio che attualmente gestisce oltre 4.300 miliardi di dollari di investimenti nel mondo, comprese quote molto rilevanti di importanti banche e imprese italiane.

Il gruppo americano ha fatto notizia nei giorni scorsi nel nostro Paese per essere diventato, salendo al 5,24 per cento del capitale, il primo azionista di Unicredit: un incremento della quota (in precedenza era già al 4,9 per cento) comunicato proprio mentre la banca italiana effettuava una imponente operazione di «write off», ripulendo il suo bilancio dopo aver dichiarato una perdita di 14 miliardi. Perdita colossale, certo, ma che ora rimette l'istituto in condizione di ripartire.

La sensazione che hanno in molti a Wall Street è che la decisione di Unicredit - all'avanguardia di un'operazione che probabilmente dovrà essere ripetuta da molti altri istituti europei - sia stata supportata dai suoi grandi investitori.

Primo fra tutti proprio BlackRock che, oltre che nella banca guidata da Federico Ghizzoni, ha una posizione di primo piano in Intesa San Paolo (secondo azionista col 5 per cento), in Ubi Banca (era poco sotto il 5 per cento, poi non ha più comunicato variazioni nella partecipazione), in Telecom Italia (7,78 per cento), Generali (3 per cento circa), Fiat Industrial (4 per cento), Mediaset (2 per cento), Atlantia, Azimut e Prysmian (circa il 5 per cento in tutti e tre i casi).

Non si può dire che BlackRock, che ha un portafoglio di partecipazioni sterminato gestito da diecimila dipendenti sparsi in 30 Paesi del mondo, abbia sposato in modo particolare l'Italia: il gruppo investe ovunque, supportato dal sistema Aladin, una piattaforma elettronica che analizza continuamente i rischi connessi a tutti gli investimenti che vengono fatti.

Ma, come nel caso di altri investitori Usa, la sensazione è BlackRock abbia deciso che valga la pena di aumentare l'esposizione sul nostro Paese, in una stagione che potrebbe essere di profondi cambiamenti per l'Italia. Anche perché, nel frattempo, le prospettive di altri economie emergenti sono diventate meno brillanti, con rischi in forte crescita.

Di rischi Fink nella sua carriera ne ha sempre presi molti, con risultati complessivamente positivi, ma non sempre eccellenti. Qualcuno, ad esempio, ha fatto notare di recente che i profitti di BlackRock non sono molto diversi come ammontare rispetto a quelli della ben più piccola Blackstone, la società di "private equity" sotto il cui ombrello Fink costruì inizialmente la sua compagnia quando, nel 1988, lasciò il suo primo datore di lavoro: la società d'investimenti First Boston.

Nel 1994 Fink divorziò in modo abbastanza traumatico dal gruppo guidato da Stephen Schwarzman. Da allora è cominciata la rapidissima ascesa di BlackRock, alimentata anche dalle acquisizioni di Merrill Lynch Investment Managers nel 2006 e di Barclays Global Investors nel dicembre 2009.

Larry Fink, un finanziere abituato a discutere di ogni questione in modo molto diretto, senza esigere barriere davanti all'interlocutore, ha creato sicuramente una struttura decentrata per gli investimenti «overseas», ma mantiene un forte controllo sulle scelte di fondo del gruppo da lui fondato oltre 25 anni fa. Tanto che l'ex ministro del Tesoro Tim Geithner, al quale era stata offerta una posizione di vertice a BlackRock, ha preferito andare alla ben più piccola Warburg Pincus dove, evidentemente, ritiene di poter contare di più.

BlackRock investe in tutti i mercati mondiali, ma ha anche un rapporto molto solido col governo americano da quando, scoppiata la tempesta finanziaria del 2008, è stata chiamata dalla Federal Reserve e dal Tesoro a dare un contributo di primo piano al salvataggio di Wall Street.

Ha ricevuto riconoscimenti (ma ha sollevato anche qualche dubbio di conflitto d'interesse) per come ha aiutato il governo americano a smaltire l'enorme mole di titoli immobiliari «tossici» che si erano accumulati, ad evitare il tracollo delle finanziarie immobiliari Fannie Mae e Freddie Mac, a smantellare in modo non traumatico la Bearn Stearns (la banca d'affari che crollò poco prima della Lehman Brothers) e a salvare il gruppo assicurativo AIG.

 

 

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