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BINARIO MORTO - WRITER TRAVOLTO E UCCISO DA UN TRENO AD ARONA, GLI AMICI HANNO CERCATO INVANO DI SEGNALARGLI IL CONVOGLIO: "È STATO TROPPO SICURO DI SÉ. NOI GRIDAVAMO, MA IL RUMORE DEL TRENO ERA TROPPO FORTE, NON CI HA SENTITI..."

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Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa”

 

Quattro di notte nella stazione di Arona, sul lago Maggiore. Tre writer ventenni di Somma Lombardo, paese a venti chilometri verso Malpensa, si aggirano sui binari con le bombolette tra le mani a caccia di un treno. Ce n’è uno parcheggiato su un binario morto, sufficientemente appartato da sfuggire all’attenzione del capostazione di turno. Il più giovane dei tre amici, Edoardo, precede gli altri di una decina di metri.

 

Si fa così, in un crescendo adrenalinico: arrivi nel tardo pomeriggio in treno, girovaghi aspettando una certa ora, ti guardi intorno, scavalchi ed entri, fai un’attenta perlustrazione prima di disegnare, anzi a scrivere come preferiscono dire per lo stile dei loro graffiti, più lettering che figurativi. «Ed Edoardo è il più spavaldo del gruppo, si sa. Solare e spregiudicato», ricordano gli amici.
 

L’incidente
Sopraggiunge un treno merci. Edoardo si nasconde sotto quello fermo. Ma la linea Milano-Domodossola è a doppio binario e quando torna in piedi non si accorge che ne arriva un altro dalla parte opposta. Il macchinista ha luce verde, se lo ritrova davanti solo dopo la curva. Fischia e aziona il freno di emergenza, ma a ottanta all’ora servono cinquanta metri per fermarsi. Edoardo muore sul colpo, i vigili del fuoco riescono a spostare il treno e a estrarre il corpo solo dopo tre ore. Il riconoscimento avviene grazie a un tatuaggio sull’addome.
 

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Ai carabinieri, i due amici raccontano in lacrime che di tanto in tanto fanno questi blitz nelle stazioni. Sanno, s’illudevano di saper governare il pericolo. «Siamo abituati a lavorare in queste condizioni, Edoardo è stato troppo sicuro di sé e ha pagato con la vita. Noi gridavamo, ma il rumore del treno era troppo forte, non ci ha sentiti». La loro posizione è al vaglio della Procura di Verbania.
 

Edoardo Baccin avrebbe compiuto vent’anni tra cinque giorni. Padre ex ciclista campione italiano categoria allievi negli Anni 70 e poi dirigente sportivo, madre negoziante di scarpe in un centro commerciale, un fratello in prima elementare. Un soprannome, Buso, dovuto alle origini venete dei genitori. Studi al liceo artistico, diploma all’istituto di grafica. Lavoretti sporadici, un impiego da commesso in un negozio di articoli sportivi di Gallarate lasciato un mese fa per incomprensioni con una collega. Il fatto non aveva sorpreso gli amici, «perché prendeva la vita di petto, sempre».

 

In questi giorni dava una mano a un amico giardiniere per mettere insieme qualche soldo. Con i «fratelli» writer condivideva tutto: i pomeriggi tra murales e playstation, le sfide sul Ticino a Soft Air, i gioco di ruolo con armi finte, i concerti a Milano, le zingarate sui treni, le notti nelle stazioni, i ritorni a casa con il primo regionale all’alba, le giornate in camera a scrivere canzoni. Soprattutto in questi giorni, dopo che la fidanzata coetanea era andata in vacanza in Puglia.
 

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Il primo graffito
Primo graffito a 13 anni, su una roulotte a Casorate Sempione. Disegnava tanto e ovunque: nei negozi degli amici, sulle saracinesche, nei sottopassi pedonali. Tutto legale tranne i blitz nelle stazioni della zona. Non se lo nascondeva ma nessuno era mai riuscito a fermarlo. Era un modo per reclamare più spazi pubblici per i giovani artisti.
«C’è chi va in discoteca e si droga, per Edoardo quella era la sua droga, la sua vita. E l’altra sera era l’immagine della gioia di vivere. Ho davanti agli occhi la sua faccia e le sue ultime parole: “Dai, andiamo se no perdiamo il treno”.

 

Adesso quanto vorrei che l’avessero perso». Francesco Turano, edicolante di Somma Lombardo, conosceva Edoardo «da quando andava in passeggino». Suo figlio era il suo migliore amico, erano insieme l’altra notte. Da quando, quattro anni fa, Turano aveva creato nell’edicola il «corner of the bomber», un angolo dedicato alla vendita di bombolette, questa palazzina gialla a due passi dalla ferrovia era diventata il luogo elettivo per la «crew» di graffitari. 
 

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Qui c’è un murales nel cortile. Qui alle cinque è arrivata la prima telefonata dalla stazione di Arona, dopo la tragedia. Qui sono venuti i genitori di Edoardo in lacrime. Qui già si pensa a un grande evento per ricordarlo, invitando writer da tutta Italia.

 

Una comunità di cinquecento persone con vincoli di solidarietà e regole, come quella di non rivelare mai i nickname degli artisti, i bomber, per preservare loro e le famiglie da conseguenze spiacevoli. Convinti, come dice l’edicolante e padre Turano trattenendo le lacrime, «che è meglio un treno colorato di uno spacciatore di cocaina».

 

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