bambino gender fluido

“MIO FIGLIO HA 9 ANNI ED È GENDER FLUID” - IL BLOG DI UNA MAMMA RIAPRE LA QUESTIONE SUI CONFINI LABILI DELLA SESSUALITA’ INFANTILE: “LE BAMBINE SONO LIBERE DI ESPLORARE IL GENERE MASCHILE, DI INDOSSARE PANTALONI, COSTUMI DI SPIDER E FARE SKATE. DIAMO ANCHE AI MASCHI QUESTA POSSIBILITÀ”

Alessandra Di Pietro per www.lastampa.it

 

transessualita infantiletransessualita infantile

L. ha 9 anni e un nome da bambino e indossa magliette rosa, pure delle ballerine luccicanti quando non si arrampica rapido sui muretti del parco. E i capelli certo che sono lunghi, quindi capita spesso che le persone chiedano se è maschio o femmina e rimangono spiazzati quando lui risponde: «Io sono io».

 

Con i suoi compagni di classe, L. frequenta la terza elementare, va d’amore e d’accordo, però succede che qualcuno lo canzoni per la borsa della merenda rosa o in genere perché sembra una femmina. L’altro giorno, al centesimo sberleffo, L. si è molto arrabbiato e ha steso per terra un suo compagno, alto il doppio di lui e pesante il triplo. Come hai fatto? «Ero stufo».

 

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 L. è il protagonista della storia vera raccontata nel blog “Mio figlio in Rosa” aperto da Camilla che vive a Firenze con altri due figli: «Siamo una famiglia normale a cui piace leggere, viaggiare, giocare e passeggiare in montagna. Nulla di più normale se non fosse per il mio secondogenito che vorrebbe essere (anche) una bambina pur essendo biologicamente maschio. Accettato fin da subito per quello che è, perché nessuno di noi ci ha mai visto nulla di male».

 

Cercando in Rete e confrontandosi con altre famiglie all’estero, Camilla ha capito che suo figlio «è un bambino gender fluid, vuol dire che sta bene dentro al suo corpo ma ama esplorare il femminile, usarne l’abbigliamento, i giochi, il comportamento». In America ma anche in Spagna, i genitori hanno costruito network di auto aiuto, in Italia invece pare che questa realtà non esista.

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Camilla si sente sola ma è certa di non essere la sola e così decide un coraggioso coming out: «A fine agosto apro il blog e mi bastano pochi giorni per ricevere subito email che confermano la mia intuizione. Le famiglie vivono i bambini genderfluid con paura: di non capire, di non saper che cosa fare, delle reazioni altrui.

 

Per fortuna quando incontri altri nella tua stessa situazione puoi anche trovare una forza nuova e cambiare occhi sul quel che ti accade. Ad oggi ho stretto contatti con 12 famiglie che hanno figli dai 3 ai 17 anni. In Spagna nel primo network nato nel 2013 erano in 20 contatti, oggi sono 500. Il mio blog comincia a diventare un punto di riferimento e questo può aiutare tutti noi». 

 

Chiedo a questa mamma che è forte, colta e piena di energia, quali pensieri ha sul futuro di suo figlio. «Tantissimi e spesso discordanti. Nei momenti di scoramento penso di migrare dove la sua vita potrebbe essere più semplice. Nei giorni migliori, che sono per fortuna la maggioranza, voglio battermi perché mio figlio e gli altri bambini come lui possano avere un percorso di crescita seguito e sicuro».

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Che cosa vuol dire con esattezza? «Per le creature genderfluid e transgender è salvifico un protocollo di somministrazione dei bloccanti, gli stessi già regolarmente usati per la pubertà precoce. Si tratta di inibitori ipotalamici che bloccano la produzione degli ormoni e ritardano quindi l’arrivo della pubertà ormai sempre più precoce lasciando il tempo di maturare la decisione riguardo la propria transizione verso il sesso a cui si sente di appartenere senza la pressione psicologica di un corpo che cambia che può inevitabilmente portare a comportamenti disforici.

 

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Tale protocollo creato in Olanda e utilizzato in molti paesi del mondo, in Italia, purtroppo, è ammesso solo in caso di pericolo di vita, ovvero se il ragazzo, disperato, ha tentato il suicidio». I bloccanti invece sono reversibili; significa che quando vengono interrotti lasciano fare alla natura il proprio corso nello sviluppo puberale e quindi evitano decisioni affrettate. 

 

Questa però è solo una delle battaglie di Camilla che sta scrivendo un libro e organizzando un’associazione: «il mio obiettivo è condurre una grande campagna culturale per dare a mio figlio e agli altri bambini gender fluid lo spazio dell’agibilità. Non è la persona non conforme che deve adeguarsi per proteggersi, non sono io madre che devo conformare mio figlio, altrimenti lo espongo a sofferenza certa ma sono gli altri che devono imparare a conoscere, capire ed accettare.

 

Possibile che ancora oggi una gonna su un bambino maschio faccia così paura? Le bambine sono giustamente libere di esplorare il genere maschile, di indossare pantaloni, costumi di spider e fare skate: questo le arricchisce e le fa crescere più forti e consapevoli. Diamo anche ai maschi questa possibilità. Bisogna capire che la normalità non esiste e che la diversità, intesa come varietà, è la vera ricchezza del genere umano».

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