LA DANZA MACABRA DI AMANDA NELLA STANZA DI MEREDITH

Alessandra Farkas per "Corriere.it"

«In cella ho incontrato tante detenute ma io non sarò mai come loro perché mi sono rialzata dal buco nero dov'ero caduta». «Cantai e ballai nella stanza di Mez durante i rilievi della polizia». «Dopo l'arresto la guardia mi guardò come se avessi preteso caviale e prosecco quando chiesi di fare una telefonata». Sono alcune delle rivelazioni contenute in Waiting to Be Heard, il memoir di Amanda Knox in Usa alla fine del mese, che è valso alla sua autrice un anticipo di ben quattro milioni di dollari.

Alla vigilia dell'atteso debutto, la temutissima critica letteraria del New York Times Michiko Kakutani promuove in anteprima il libro, spiegando che «l'introspezione cui è stata costretta Amanda in carcere le ha dato una capacità di trasmettere le sue emozioni con un considerevole potere viscerale». «A dispetto dei tabloid che amavano riferirsi ad Amanda con l'appellativo di Foxy Knoxy, conferendo un'allusione erotica al nickname di quando giocava a calcio nella squadra della scuola», teorizza la Kakutani, «lei si descrive come "un topo impaurito nel gioco con il gatto"».

«Ero come una bimba afflitta e smarrita che a 20 anni ancora guardava le persone con innocenza infantile», scrive Amanda. Che fa tutto per demolire l'immagine di pericolosa seduttrice perpetrata dai media. «I flirt con uomini in Italia erano soltanto un modo per sentirmi più donna», assicura, «e a mio agio con l'idea del sesso occasionale praticato da ragazze e ragazzi della mia generazione».

La sua spina nel fianco, l'aver cercato di incastrare un innocente, Patrick Lumumba? «Ero confusa, stanca e terrorizzata», ribatte, «dopo ore d'interrogatorio e schiaffi da parte di un agente». Il libro pesca a piene mani dal diario scritto in carcere.

«Tra le due udienze una cosa cambiò: io stessa. Nei 12 mesi dopo la condanna decisi che sentirsi vittima non mi avrebbe aiutato», prosegue, «In prigione, tante sono le donne che incolpano altri per le loro sventure, vivendo così esistenze passive piene di rancore. Io rifiutai di essere come loro. Sono uscita dal tunnel nefasto in cui ero precipitata e ho promesso a me stessa che avrei vissuto con dignità. Mi sarei amata e avrei goduto di ogni attimo dietro le sbarre».

Una delle sue preoccupazioni è correggere i pregiudizi della polizia. «Non volevo che mi credesse una persona cattiva e desideravo far vedere chi ero: una ragazza che amava i genitori, che andava bene a scuola, che rispettava l'autorità e il cui unico problema con la legge era stata una multa al college per disturbo della quiete pubblica durante un party a Seattle».

Nel libro Amanda ritorna a quella terribile notte dell'omicidio: «Ero a casa con Raffaele a fumare marijuana che per noi era un'abitudine quotidiana. Per quasi un'ora suonai alla chitarra canzoni dei Beatles finché con Raffaele non decidemmo di andare a casa sua. Lì abbiamo guardato il film "Amelie" e fumato ancora marijuana. Poi ho letto ad alta voce un libro di Harry Potter in tedesco».

Non mancano dettagli inediti. Rispondendo alle accuse di essersi comportata in maniera sospetta dopo la morte della coinquilina, la 25enne di Seattle ammette di aver tenuto un contegno bizzarro quando, con la polizia, si recò sulla scena del delitto. «Indossai guanti e calzini protettivi e mi misi a cantare, muovendo le braccia come nella conduzione di un musical», racconta, «un tentativo per allentare la tensione perché tutto era così surreale e terribile».

 

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