LA DOPPIA PARTITURA DI ABBADO – L’ANTI-MAESTRO FU IMMENSO COME DIRETTORE D’ORCHESTRA MA CIECO SU CUBA (E DOPO IL TRIONFO DEL CAV ARRIVÒ ANCHE A DEFINIRE GLI ITALIANI CREDULONI E COGLIONI)

Filippo Facci per ‘Libero Quotidiano'

Erano sempre «malati da tempo» quelli che muoiono, però Claudio Abbado era malato davvero - almeno dal 2001 - anche se per fortuna era già stato ampiamente canonizzato, tutto sommato meritatamente. Ora: tracciarne un profilo biografico che prescinda dalla musica e dai meriti artistici - ciò che stiamo azzardando - dovrebbe essere un'impresa stolta e impossibile, e però ometterla del tutto sarebbe fare un torto alla verità. E la verità è che anche l'arte e la musica sono state a lungo bipolarizzate e lottizzate, da noi, e questo senza che gli attori del caso si siano stracciati le vesti per evitarlo.

Il risultato, in un Paese che ridonda d'imbecilli che sono sprovvisti del bagaglio culturale minimo per farsi un'opinione seria, è che il giochino riesce facile facile e ha permesso di essere «pro Abbado» o «contro Abbado» sulla base del nulla culturale e del tutto politico.

Per esempio: Claudio Abbado era di sinistra e Riccardo Muti di destra, fine: a molti bastava questo, soprattutto se la cosa aveva pure un fondamento. Abbado era protetto dal Pci, alla Scala, e Muti invece aveva l'appoggio della Dc e del Psi. La stampa, intanto, ci andava discretamente a nozze ed evidenziava il progressista o l'uomo all'antica, secondo i casi. Verrebbe da dire che era quasi inevitabile, ma anche qui faremmo un torto alla verità.

Era sufficientemente evitabile. Negli anni della contestazione - lunghissimi, in Italia - non mancò di soffocarci una cappa culturale tra le peggiori che abbiano soverchiato il Paese: quella di un'alterigia che rinchiuse la musica nell'astrazione e nell'enigma, nell'isolamento narcisistico travestito da sacralità, nei Renato Pollini con la sua «vittoria del socialismo come fatto storico inevitabile» e nei Luigi Nono che componeva la sua «Musica per il Che», roba così: parolami perfettamente allineati alle battaglie conformistiche degli amici Boulez, Stockhausen, Petrassi, Cage, Donatoni, Berio e Tedeschi. E anche Abbado, certo. Erano artisti veri mischiati a cattivi maestri del nulla, quando i «concerti per i lavoratori» organizzati da Abbado erano osannati da folle che non avrebbero distinto una sonata di Schumann da uno svolazzo dei Supertramp.

Non che Abbado non ci credesse, probabilmente: ma sul podio della Scala, la sera del 7 dicembre '68, quando ci fu la famosa contestazione a colpi di uova marce, sul podio c'era proprio lui. E fu lui a divenire direttore principale dei Wiener Philharmoniker, l'orchestra più conservatrice del mondo e peraltro proibita alle donne. Un doppio binario forse necessario, ma che celava un'urgenza, forse la necessità di far coabitare un mondo di cui sapeva molto - la musica - con un mondo di cui sapeva meno: la politica, il mondo reale con le sue schifezze compromissorie.

Nel marzo 2005 scrisse una memorabile lettera pro Cuba sul Corriere della Sera: era solo la coda di un altro appello internazionale pubblicato su El Pais e firmato da 200 fra intellettuali, politici e artisti di tutto il mondo. C'erano Nobel come Adolfo Pérez Esquivel, José Saramago, Nadine Gordimer e Rigoberta Menchu e personalità nostrane come l'ex direttrice del manifesto Luciana Castellina, oltre all'immancabile Gianni Minà e soprattutto Red Ronnie, capite bene. Abbado si accodava.

Il gruppone sottoscrisse una petizione affinché l'Onu non condannasse l'isola di Fidel per violazione dei diritti umani, sottolineando che oltretutto «a Cuba non esiste un singolo caso di scomparsa, tortura o esecuzione extragiudiziaria », e poi si leggeva che «la rivoluzione ha permesso il raggiungimento di livelli di salute, educazione e cultura riconosciuti internazionalmente».

Inutile dire che queste favole furono più volte e tristemente smentite dalle principali organizzazioni umanitarie: Cuba equivaleva a galera politica, centri di rieducazione, persone giustiziate solo perché cercavano di andare via, prigioni come colonie di affamati e tubercolotici che muoiono a frotte ogni anno, dissidenti scomparsi o condannati all'ergastolo, giornalisti o semplici cittadini arrestati solo per aver fornito informazioni a organizzazioni internazionali ecc..

Abbado, probabilmente, non lo sapeva. E gli «abbadiani itineranti», il gruppo dei suoi fan, facevano finta di niente. Altre erano le soddisfazioni. Parliamo di un uomo che fu chiamato al vertice della prima orchestra del mondo, i Berliner: succedendo a Furtwängler e a Karajan, diosanto.

Di più non esisteva. Abbado fece e diresse tutto, anche se le sue esecuzioni, soprattutto le sue scelte, potevano tranquillamente non piacere. Ad Abbado, in ogni caso, non piaceva Berlusconi. Non era un tipo che rilasciava centomila interviste, il maestro: ma nel 2001 - dopo l'indubbio trionfo elettorale del Cavaliere - accettò di farsi intervistare dal quotidiano francese Le Figaro e disse, in pratica, che italiani sono dei creduloni e dei coglioni.

Per la precisione, su Le Figaro, la frase fu la seguente: «Se volessi essere gentile direi che gli italiani sono dei creduloni. Ma si possono trovare almeno altre due parole, meno benevoli, che incominciano e finiscono con le stesse lettere». L'intervista ebbe risalto perché la musica purtroppo non fa notizia, ma la politica sì. L'insigne maestro, al giochino bipolare all'italiana, diciamo che non si sottraeva: come quando si unì a un appello (ah, gli appelli) contro una legge sui musicisti voluta dal ministro della Cultura Bondi.

Insomma, pochi italiani al mondo meritavano la nomina di senatore a vita più di Claudio Abbado: ma ciò non toglie che non tutti, soprattutto digiuni di musica, abbiano poi applaudito nello stesso modo. E suonava strano. Suonava ingiusto, anche perché gli artisti sotto sotto li vorremmo tutti così, lontani da ogni corruzione dell'universo mondo, lontani soprattutto dalla tentazione di occuparsene nel più terrificante dei modi: facendo politica. Ecco perché Claudio Abbado, in realtà, già da diversi mesi, preferivamo ricordarlo da vivo.

 

CLAUDIO ABBADO PODIO CLAUDIO ABBADO GIOVANE ABBADO NAPOLITANO CLAUDIO ABBADO ROBERTO BENIGNI CLAUDIO ABBADO ROBERTO BENIGNI CLAUDIO ABBADO habb 74 claudio abbadoFilippo Facci Filippo Facci

Ultimi Dagoreport

matteo salvini roberto vannacci giorgia meloni massimiliano fedriga luca zaia

DAGOREPORT – GIORGIA MELONI HA GLI OCCHI PUNTATI SULLA TOSCANA! NELLA REGIONE ROSSA SARÀ CONFERMATO EUGENIO GIANI, MA ALLA DUCETTA INTERESSA SOLO REGISTRARE IL RISULTATO DELLA LEGA VANNACCIZZATA – SE IL GENERALE, CHE HA RIEMPITO LE LISTE DI SUOI FEDELISSIMI E SI È SPESO IN PRIMA PERSONA, OTTENESSE UN RISULTATO IMPORTANTE, LA SUA PRESA SULLA LEGA SAREBBE DEFINITIVA CON RIPERCUSSIONI SULLA COALIZIONE DI GOVERNO – INOLTRE ZAIA-FEDRIGA-FONTANA SONO PRONTI A UNA “SCISSIONE CONTROLLATA” DEL CARROCCIO, CREANDO DUE PARTITI FEDERATI SUL MODELLO DELLA CDU/CSU TEDESCA - PER LA MELONI SAREBBE UNA BELLA GATTA DA PELARE: SALVINI E VANNACCI POTREBBERO RUBARLE VOTI A DESTRA, E I GOVERNATORI IMPEDIRLE LA PRESA DI POTERE AL NORD...

matteo salvini luca zaia giorgia meloni orazio schillaci

FLASH! – L’”HUFFPOST” RIPORTA CHE SALVINI VUOL CONVINCERE LUCA ZAIA A PORTARE IL SUO 40% DI VOTI IN VENETO MA SENZA CHE IL SUO NOME BRILLI SUL SIMBOLO – PER ACCETTARE IL CANDIDATO LEGHISTA STEFANI, LA MELONA INSAZIABILE, PAUROSA CHE L’EX GOVERNATORE VENETO PORTI VIA TROPPI VOTI A FDI, L’HA POSTO COME CONDIZIONE A SALVINI – PER FAR INGOIARE IL ROSPONE, OCCORRE PERÒ CHE ZAIA OTTENGA UN INCARICO DI PESO NEL GOVERNO. IL MAGGIORE INDIZIATO A LASCIARGLI LA POLTRONA SAREBBE ORAZIO SCHILLACI, MINISTRO TECNICO IN QUOTA FDI, ENTRATO IN COLLISIONE CON I TANTI NO-VAX DELLA FIAMMA - AVVISATE QUEI GENI DI PALAZZO CHIGI CHE ZAIA SUI VACCINI LA PENSA ESATTAMENTE COME SCHILLACI…

monique veaute

NO-CAFONAL! – ARCO DI TRIONFO PER MONIQUE VEAUTE, QUELLA VISPA RAGAZZA FRANCESE CHE NEL 1984 GIUNSE A ROMA PER LAVORARE ALL’ACCADEMIA DI FRANCIA DI VILLA MEDICI - DA ABILISSIMA CATALIZZATRICE DI GENIALI E VISIONARIE REALTÀ ARTISTICHE INTERNAZIONALI, DETTE VITA A UN FESTIVAL CHE SCOSSE LO STATO DI INERZIA E DI AFASIA CULTURALE IN CUI ERA PIOMBATA ROMA DOPO L’ERA DI RENATO NICOLINI – L'ONORIFICENZA DI ''COMMANDEUR DE L'ORDRE DES ARTS ET DES LETTRES'' NON POTEVA NON ESSERE CONSEGNATA DALL’AMBASCIATORE FRANCESE SE NON A VILLA MEDICI, DOVE 40 ANNI FA TUTTO È NATO….

de luca manfredi schlein tafazzi conte landini silvia salis

DAGOREPORT - LA MINORANZA DEL PD SCALDA I MOTORI PER LA RESA DEI CONTI FINALE CON ELLY SCHLEIN. L’ASSALTO ALLA GRUPPETTARA (“NON HA CARISMA, CON LEI SI PERDE DI SICURO”), CHE HA TRASFORMATO IL PD DA PARTITO RIFORMISTA IN UN INCROCIO TRA UN CENTRO SOCIALE E UN MEETUP GRILLINO – NONOSTANTE LA SONORA SCONFITTA SUBITA NELLE MARCHE E IL FLOP CLAMOROSO IN CALABRIA, LA SEGRETARIA CON TRE PASSAPORTI E UNA FIDANZATA RESISTE: TRINCERATA AL NAZARENO CON I SUOI FEDELISSIMI QUATTRO GATTI, NEL CASO CHE VADA IN PORTO LA RIFORMA ELETTORALE DELLA DUCETTA, AVREBBE SIGLATO UN ACCORDO CON LA CGIL DI “MASANIELLO” LANDINI, PER MOBILITARE I PENSIONATI DEL SINDACATO PER LE PRIMARIE – IL SILENZIO DEI ELLY ALLE SPARATE DI FRANCESCA ALBANESE - I NOMI DEL DOPO-SCHLEIN SONO SEMPRE I SOLITI, GAETANO MANFREDI E SILVIA SALIS. ENTRAMBI INADEGUATI A NEUTRALIZZARE L’ABILITÀ COMUNICATIVA DI GIORGIA MELONI – ALLARME ROSSO IN CAMPANIA: SE DE LUCA NON OTTIENE I NOMI DEI SUOI FEDELISSIMI IN LISTA, FICO RISCHIA DI ANDARE A SBATTERE…

emmanuel macron

DAGOREPORT – MACRON, DOMANI CHE DECIDERAI: SCIOGLI IL PARLAMENTO O RASSEGNI LE DIMISSIONI DALL'ELISEO? - A DUE ANNI DALLA SCADENZA DEL SUO MANDATO PRESIDENZIALE, IL GALLETTO  È SOLO DI FRONTE A UN BIVIO: SE SCIOGLIE IL PARLAMENTO, RISCHIA DI RITROVARSI LA STESSA INGOVERNABILE MAGGIORANZA ALL’ASSEMBLEA NAZIONALE – PER FORMARE IL GOVERNO, LECORNU SI È SPACCATO LE CORNA ANDANDO DIETRO AI GOLLISTI, E ORA FARÀ UN ULTIMO, DISPERATO, TENTATIVO A SINISTRA CON I SOCIALISTI DI OLIVIER FAURE (MA MACRON DOVRA' METTERE IN SOFFITTA LA RISANATRICE RIFORMA DELLE PENSIONI, DETESTATA DAL 60% DEI FRANCESI) – L’ALTERNATIVA E' SECCA: DIMETTERSI. COSÌ MACRON DISINNESCHEREBBE MARINE LE PEN, INELEGGIBILE DOPO LA CONDANNA - MA È UN SACRIFICIO ARDUO: SE DA TECNOCRATE EGOLATRICO, CHE SI SENTIVA NAPOLEONE E ORA È DI FRONTE A UNA WATERLOO, SAREBBE PORTATO A DIMETTERSI, TALE SCELTA SAREBBE UNA CATASTROFE PER L'EUROPA DISUNITA ALLE PRESE CON LA GUERRA RUSSO-UCRAINA E UN TRUMP CHE SE NE FOTTE DEL VECCHIO CONTINENTE (LA FRANCIA E' L'UNICA POTENZA NUCLEARE EUROPEA E UN POSTO NEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL'ONU), COL PERICOLO CONCRETO DI RITROVARSI ALL'ELISEO BARDELLA, IL GALLETTO COCCODE' DI LE PEN, CHE NEL 2014 AMMISE A "LE MONDE" DI AVER RICEVUTO UN FINANZIAMENTO DI 9 MILIONI DA UNA BANCA RUSSA CONTROLLATA DA PUTIN...