IPOCRISIA CANAGLIA - NEL 2007 “REPORT” DENUNCIÒ LE CONDIZIONI DELLA “LITTLE CHINA” TOSCANA - E CHI SI È MOSSO? SOLO I CITTADINI DI PRATO CHE HANNO CONTINUATO AD AFFITTARE AI CINESI, CHIUDENDO GLI OCCHI E APRENDO LE TASCHE

1 - LA FINTA FUGA DEI LAVORATORI IN NERO PER EVITARE I CONTROLLI DELLA POLIZIA
Maria Corbi per "la Stampa"

Siamo a poche centinaia di metri dal rogo in cui sono morte sette persone, alle spalle del Macrolotto, quartiere San Giorgio. Il commissario Flora Leoni della polizia municipale bussa insieme alla sua squadra. Quando la porta si apre ecco le macchine da cucire, il materasso per dormire accanto al posto di lavoro, bombole del gas e un soppalco di cartongesso che lascia intuire cosa contiene. Una scena che si ripete, sempre uguale.

«Potremmo entrare in una qualsiasi di queste porte», mi dice il vigile indicando altri capannoni «e la scena sarebbe identica». Il proprietario dell'azienda e la moglie si sono appena svegliati, prendono tempo, ma l'interprete fa capire loro che non possono resistere. Gli altri sono scappati. Stanotte i controlli hanno verificato che le macchine da cucire lavoravano senza sosta e i cumuli di maglie rigorosamente «made in Italy» buttate a terra lo dimostrano, ma adesso sembra non esserci nessuno. «Questi giorni dopo la tragedia stanno più attenti, sanno che i controlli sono stati intensificati e quando possono vanno a dormire in posti sicuri», spiega un vigile.

I cinesi lavorano di notte quando i controlli sono più difficili. Dietro il primo muro di cartongesso ecco la cucina da cui si accede a un bagno. I fili elettrici sono scoperti, nessuna norma di sicurezza e igienica, cibo marcio, scarpe sparse, carne di maiale appesa alle finestre, la fossa biologica che emana fetore. Scatta il sequestro preventivo. «Questi locali sono sede di impresa e quindi non è regolare abitarci».

Sulla scala ripida e malferma ci sono gomitoli di polvere e sporcizia sedimentata ovunque. In cima un lungo corridoio ai cui lati si aprono stanze-loculo. In quella dei due cinesi titolari dell'azienda ci sono anche segni della presenza di bambini. Sul permesso di soggiorno Zhou ha segnato due figlie: Cristina e Luna.

«Sono in Cina», dice. Ma i poliziotti sanno che probabilmente non è così. Hanno portato un interprete che conosce anche il dialetto della provincia orientale da cui vengono questi cinesi. E capisce che qui vi era altra gente perché moglie e marito dicono tra loro di portare via «anche la roba degli altri». Quando chiedi loro perché vivono non solo nell'illegalità ma anche in una situazione di degrado assoluto rispondono quasi stupiti: «Lavoriamo tutto il giorno non abbiamo tempo di pulire».

Non hanno il contratto di affitto e si cerca di corsa il proprietario. È italiano, abita poco distante da qui. A.P. arriva di corsa, con la tuta da lavoro, fa l'elettricista, la faccia tesa. «Lei era a conoscenza che qui dentro è stata costruita una struttura abusiva, un soppalco di legno con mura di laminato truciolare?». «No, cioè...».

L'uomo è combattuto, vede guai vicini ma non ce la fa a dire una bugia intera: «Me ne sono accorto quando sono venuto a riscuotere l'affitto l'ultima volta e ieri, dopo l' incendio al lotto 82 ho chiesto loro di eliminare il dormitorio, ma non mi hanno ascoltato». Il vigile verbalizza senza infierire E senza stupirsi visto che la stessa scena si ripete ogni volta.

Arriva anche la moglie che chiede «perché non siete andati da quell'altro capannone dove c'è un gran via vai di cinesi?». Il commissario Flora smette di scrivere il sequestro preventivo e con grande calma le spiega che i controlli li fanno continuamente e che forse sarebbe bene che i cittadini di Prato li aiutassero. «Voglio dire cara signora che se i proprietari facessero attenzione verificando che l'utilizzo dei loro immobili da parte dei locatori sia corretto invece che chiudere gli occhi le cose sarebbero più facili».

La donna se ne va ringraziando e con un «certo, certo» che mescola dispiacere, senso di colpa e preoccupazione. Stessi sentimenti che appaiono sul volto del marito. «Sì, sono consapevole che se non smettiamo di affittare a cinesi che non rispettano le regole Prato non potrà vincere la sua battaglia».

Ma lo dice con il tono di chi già è stato vinto, di chi affitta ai cinesi per sbarcare il lunario, perché tanto tutti fanno così, perché questo è il sistema e non è certo chiudendo il suo capannone che si potrà risolvere il problema. «Poi questi due sono bravi ragazzi, mai un problema», dice A.P. cercando una giustificazione. «Lavorano sempre e non mi hanno dato mai un problema».

Il contratto di affitto riporta una cifra modesta: poco più di 300 euro al mese. Possibile? Alla vigilessa «pare molto strano», ma qui l'evasione fiscale sembra il minore dei problemi. Ci sono due bombole del gas stivate sotto una macchina da cucire, gli estintori non sono in regola, nessuna uscita di sicurezza, impianti elettrici fai da te senza salva vita. Qui una tragedia sarebbe potuta succedere in ogni momento.

«Ma non è successa perché adesso dovremmo preoccuparci?», chiede Zhou che aiuta la moglie e gli altri cinesi a fare i pacchi. Tutto buttato in sacchi della spazzatura. Stasera questo capannone avrà i sigilli e loro dovranno dormire da un'altra parte. Per ricominciare a lavorare con lo stesso sistema il giorno dopo da un'altra parte complice qualche proprietario italiano che non vede l'ora di affittargli una rimessa, un garage, un locale. «Pagano in contanti e puntuali», spiega un vigile che ogni giorno, da anni, vede la stessa realtà senza che cambi mai nulla.

2 - DI PRATO SAPEVAMO TUTTO DAL 2007. GRAZIE A REPORT
Luigi Galella per "Il Fatto Quotidiano"

Appare la consueta immagine di Milena Gabanelli, in studio. L'ideatrice e conduttrice di Report annuncia un servizio sulla settimana della moda di Milano, ridotta a quattro giorni, per soddisfare le richieste della potente Anna Wintour, direttrice di Vogue. Quest'ultima esiste davvero, esile e filiforme, taglia quaranta, non solo nella finzione cinematografica, e non somiglia nemmeno un po' alla Meryl Streep del Diavolo veste Prada, che ne ha magistralmente interpretato la capricciosa personalità.

Gli americani, spiega la Gabanelli, mal digeriscono la centralità nella moda della piccola Milano e vorrebbero ridimensionarla a favore di NYC. Perché meno giorni di sfilate, com'è ovvio, vuol dire innanzitutto meno compratori. L'economia generata dalla moda produce in Italia un fatturato di circa 70 miliardi all'anno, ed è ciò che oggi maggiormente caratterizza la nostra identità all'estero.

L'eccellenza italiana si costruisce su qualità creative e artigianali. Ma cos'è che non si sa o non si vede di questo mondo luccicante? Report entra in un laboratorio abusivo di Napoli in compagnia della Finanza, dove i lavoratori dichiarano tutti d'essere "in prova", assunti da poche settimane. Il proprietario - poi costretto a chiudere - rivela che quelli "veramente bravi" sono a Prato, nel più grande distretto produttivo di tessuti del centro nord.

Le telecamere del programma vi si avventurano e attraverso un espediente - dichiarando d'essere dei fornitori - riescono a parlare con un "sub": si chiama così perché - come nelle manifatture delle domestic system del ‘500 - riceve e poi trasforma la materia prima, che poi riconsegna all'intermediario che tiene il rapporto con l'azienda. Conti alla mano, una borsetta di una griffe costa di manodopera cinese 20 euro. Prezzo al negozio: 700.

Gli operai - decine di migliaia - sono impiegati giorno e notte in centinaia di laboratori. Unico loro svago, Internet. Per il resto, lavoro. Ci sono telecamere orientate verso l'esterno delle fabbriche, che segnalano un possibile pericolo e se qualche sconosciuto si presenta all'ingresso la produzione si ferma e tutti si dissolvono. Lavorano al ritmo di 12-14 ore al giorno.

All'occorrenza, spariscono dietro i muri. Chi non vuole vederli, quindi, non li vede. Essendo clandestini e non parlando italiano hanno un'identità per noi opaca, imprendibile. Non sappiamo chi sono, né quando vivono né quando muoiono. Quel rifugio cui vengono indotti dietro alle doppie pareti, e quelle pareti che ne proteggono e fasciano i corpi, diventano la loro gabbia e la loro veste.

"Prato non dorme mai", esclama Sabrina Giannini, autrice del primo documento televisivo shoccante sull'argomento, che alla luce della recente tragedia dei cinesi della città toscana, assume una luce sinistra. Ancor più quando si scopre che il reportage non è stato realizzato e trasmesso nel 2013 ma nel 2007.

Ci dividono quindi sei lunghi anni da quella denuncia. Un tempo sufficiente per intervenire. Nemmeno nell'Inghilterra della prima rivoluzione industriale si potevano vedere delle fabbriche ridotte a simili lager. Qui vivono nel bel mezzo di una società altrimenti detta democratica. Con cui il "comunismo" cinese ha firmato un patto di denaro e sangue, stringendosi a noi nella comune, esclusiva "ragion di mercatura".

 

 

MILENA GABANELLI NELLA REDAZIONE DI REPORT FOTO LUCIANO VITI PER SETTE GABANELLIMilena Gabanelli candidata Stelle al Colle h partb LE STANZE SEGRETE DEI CINESI A PRATO LE STANZE SEGRETE DEI CINESI A PRATO LE STANZE SEGRETE DEI CINESI A PRATO ROGO FABBRICA CINESE PRATO FOTO LA NAZIONE LE STANZE SEGRETE DEI CINESI A PRATO ROGO FABBRICA CINESE PRATO FOTO LA NAZIONE rogo in fabbrica cinesi prato

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