“MASTERCHEF” UN CORNO: IL LAVORO IN CUCINA E’ ROBA DA SCHIAVI - DOPO LE DENUNCE DI TANTI GIOVANI, IN FRANCIA SCOPPIA LO SCANDALO DELLE PRESSIONI PSICOFISICHE RISERVATI AGLI APPRENDISTI NELLE CUCINE DEI RISTORANTI

1. QUANDO LO CHEF SI ARRABBIA L’INFERNO È TRA I FORNELLI

Leonardo Martinelli per “la Stampa”

 

Eric Guérin sa di cosa parla : «Ci sono passato pure io ». Oggi, a 45 anni, è uno chef stellato con il suo ristorante «La Mare aux Oiseaux », nascosto in mezzo a una palude, tra la foce della Loira e le spiagge bianche dell’Atlantico. Ma è stato anche lui un ragazzino entusiasta di cucina, voglioso di sfondare.

 

CHEF - IL LAVORO IN CUCINACHEF - IL LAVORO IN CUCINA

«Avevo 18 anni e facevo l’apprendista in un grande ristorante parigino. Mi dissero di cuocere dei funghi. E io nella pentola ci misi troppa acqua. Lo chef non sentì storie: mi appoggiò la mano a forza su una pentola bollente». Ha ancora il segno: una cicatrice per sempre.
 

Eric precisa subito: «Imparai una volta per tutte come si cuociono i funghi». Ma era necessaria quella violenza fisica? «Adesso lo posso dire: no». Oggi si trova in fondo alla Bretagna a cacciare beccacce. Non è il tipo che si lascia impressionare facilmente.


«Neppure quella volta: andai avanti, ero come ipnotizzato. Non criticai il sistema, per me era normale. In seguito sono diventato come gli altri, un carro armato capace di passare sopra tutto e tutti. Finché un giorno, da chef, mi sono detto che quella non era la strada giusta, neanche per la qualità dei miei piatti». Secondo lui, «i metodi di lavoro in un grande ristorante devono essere rigorosi, ma un cameriere che entra in una cucina dove si grida e ci si insulta riporta questa tensione in sala».
 

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Guérin rompe i tabù
Guérin è stato uno dei primi grandi chef a rompere il tabù, dopo lo scoppio in Francia dello scandalo della violenza nelle cucine, di queste inutili e gratuite pressioni psicofisiche riservate ai giovani, all’inizio della carriera. Tutto è cominciato nell’aprile 2014. Franck Pinay-Rabaroust, direttore di Atabula, sito di gastronomia, riceve una segnalazione. Un ragazzo, apprendista di una nota scuola alberghiera, durante uno stage si è ritrovato l’avambraccio ustionato, punizione dello «chef de section», uno dei luogotenenti del grande capo, Frédéric Anton: aveva preparato una salsa non all’altezza delle aspettative.

 

«Questo nonnismo esiste da sempre – racconta Pinay-Rabaroust – : era un segreto di Pulcinella, ma non se ne parlava mai. Ho deciso di scrivere un articolo». Anton si è visto costretto a licenziare il suo collaboratore. Ma non è finita lì: una valanga di testimonianze da allora ha invaso Internet e i media. Storie di ragazzi messi sotto pressione, di botte, di tentativi di suicidio, di assalti sessuali sulle ragazze. Mercoledì scorso il canale France 2 ha mandato in onda la prima puntata di una nuova serie, «Chefs», che racconta proprio rabbia e ripicche nella cucina di un grande ristorante: l’audience ha fatto subito un botto.
 

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Carrè d’agnello in testa
Ma la realtà supera sempre la finzione. Un giovane apprendista di uno dei ristoranti di Joël Robuchon, a Bordeaux, ha appena denunciato lo chef, intoccabile icona della gastronomia francese in tutto il mondo, per quanto subìto nella sua cucina, compreso l’obbligo di bere l’acqua calda messa a scaldare per una cottura, perché giudicata troppo salata. Va detto che Alain Ducasse e altri esimi colleghi hanno preso subito le difese di Robuchon. Non tutti accettano questo tipo di accuse al settore.

 

«Da giovane ho preso calci nel sedere - ha raccontato lo chef Christian Etchebest - e ho pure ricevuto un carré d’agnello in testa. Ma non per questo sono rimasto scioccato». In molti giudicano inevitabile la tensione, in cucine dove si lavora per ore in piedi, a un ritmo forsennato, in spazi ristretti, alla rincorsa della perfezione. Pinay-Rabaroust, invece, ritiene che non sia necessario. Anche se riconosce che «i giovani devono essere coscienti delle difficoltà del mestiere. E in questo i vari Masterchef non aiutano. Fanno vedere neofiti che arrivano subito a preparare piatti complessi per un grande chef. Non mostrano la realtà, quella di una formazione progressiva e di un lavoro di squadra».
 

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«Grande responsabilità»
È sera ed Eric Guérin si ritrova ai fornelli con i suoi collaboratori. Tiene sempre la musica a palla. Commenta le ultime (tristi) novità su Robuchon. «Che piacere c’è a far impazzire dei ragazzi ? I giovani sono sempre più fragili. Noi chef abbiamo una grossa responsabilità. Si possono perdere, basta così poco».

 

2. CRIPPA: URLARE NON SERVE A NIENTE MA CI VUOLE RIGORE MILITARESCO

Luca Ferrua per “la Stampa”

 

Il primo a raccontare in un libro cosa accade davvero nella grande cucina di un ristorante è stato Anthony Bourdain con il suo «Kitchen Confidential» uscito nel 2000. I cuochi di quel libro, il volume che ha cambiato la percezione del ruolo dello chef, sono aggressivi, violenti, esuberanti. Enrico Crippa, 44 anni, lo chef del ristorante «Piazza Duomo» di Alba, tre stelle Michelin conquistate alla velocità di Usain Bolt, quando è nella sua cucina non perde mai la calma e sembra improntare ogni rapporto tra i fornelli all’insegna del rispetto dei colleghi.
 

ENRICO CRIPPA PIAZZA DUOMO ENRICO CRIPPA PIAZZA DUOMO

Scusi, Crippa, ma come governa la sua brigata di cucina?
«Bourdain non ha torto quando parla di rigore militaresco, perché ci lavora parecchia gente e quindi il rigore serve. Ma la violenza e gli eccessi no. Ho imparato a governare con il rispetto e l’esempio. Punto sulle regole, ma cerco di lasciare le briglie non troppo tirate. Sto con gli occhi bene aperti, però. I cuochi sono un po’ pirati, hanno uno spirito libero e creativo e vanno tenuti saldi e sotto controllo»,
 

In Francia, però, le cose vanno diversamente?
«Lì il clima è più pesante. Ci ho lavorato tre anni e lo chef non mi ha mai chiamato per nome. Sempre e soltanto Totò. Poi all’ultimo giorno mi ha chiamato Enrico e io mi sono messo quasi a piangere. A me aveva dato così tanto fastidio che ho promesso a me stesso: quando comanderò io non voglio che accada niente del genere».
 

Però la Francia aveva fatto male anche a lei?
«Vivere in quel clima mi aveva cambiato. Poi per fortuna sono andato in Giappone e lì mi sono accorto che urlare non serve. A niente».
 

Però il clima da caserma sopravvive in tante cucine.
«Le cose stanno cambiando ovunque. Ma il clima da caserma è figlio di chef nati e cresciuti sempre nella stessa cucina, figli dell’“abbiamo sempre fatto così”, spaventati dai cambiamenti e dai giovani. Invece cambiare fa bene». 
 

concorrenti top chefconcorrenti top chef

Ma urlare non è la via più facile?
«Certo, Ma poi pensi a chi hai davanti. Sono persone che lavorano con te, magari anche 14 o 16 ore al giorno, e capisci che non puoi tirare troppo la corda. L’unica cosa saggia è stare in mezzo a loro e dare il buon esempio».
 

Lei è cresciuto nella cucina più ricca di talenti della storia culinaria italiana, quella di Marchesi in via Bonvesin della Riva. Con lei lavoravano Carlo Cracco, Davide Oldani, Andrea Berton, Paola Budel, Paolo Lopriore, Pietro Leeman ed Ernst Knam. Come si governava una squadra con tanto talento e tanta esuberanza?
«Gualtiero Marchesi non è uno chef che ti prende sotto braccio e ti insegna le cose, lui governava lanciando input. Il resto lo faceva la rivalità, una sana rivalità, perché in quella cucina non c’eravamo solo noi, ma anche tanti stranieri di valore che Cracco e Oldani prendevano rigorosamente in giro. Ma tutto era basato sul rispetto e l’esempio».
 

la chef kristen kishla chef kristen kish

Ci spiega questo concetto dell’esempio?
«Certo. Ai miei occhi gli chef stranieri sembravano miti, parlavano lingue diverse, il tedesco con i tedeschi, l’inglese con gli inglesi. Vedere qualcuno davanti a te a cui vuoi assomigliare è fondamentale. In quella cucina ho provato questa esperienza e ho capito che è la strada giusta».

 

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