pasolini fini fallaci

TIPINI FINI – ''PASOLINI ERA UN REAZIONARIO, NON ERA UN COMUNISTA. TUTTI SAPEVANO CHE ERA SADICO CON QUEI RAGAZZI. E UNO SI È RIBELLATO“ - "ORIANA FALLACI NON ERA UNA GRANDE SCRITTRICE, ERA UNA MEGALOMANE. UNA PREPOTENTE ANTROPOLOGICA"

Goffredo Pistelli per “Italia Oggi” - ripresa da "Il Foglio del lunedì"

 

MASSIMO FINI UNA VITAMASSIMO FINI UNA VITA

Sabato mattina, alle 11, a Fucecchio (Firenze), il paese del grande giornalista toscano, gli daranno il Premio Montanelli alla carriera. E di carriera Massimo Fini, nato per sbaglio a Cremano (Lecco) da padre pisano e madre russa, ma milanese e giornalista da sempre, di carriera, dicevamo, Fini ne ha fatta tanta.

 

E ne farà ancora, anche se una degenerazione oculare gli ha fatto dire più di una volta, anche recentemente, «smetto». «Riesco a scrivere ma non a leggere e quindi a rileggere i miei pezzi: una segretaria mi aiuta a farlo. Ma temo che lo stile ne risenta», ci dice nel salotto di casa sua, da dove si vede il Bosco verticale e gli altri grattacieli che fanno più bella Milano.

 

Intorno librerie piene di volumi che rivelano, dalle costole, d'esser stati maneggiati tante volte, giornali, appunti, alle pareti i manifesti di Cyrano, lo spettaco lo teatrale che scrisse con il regista Duilio Fiorillo, in cui andava in scena tutto il suo appassionato bastiancontrarismo. «Doveva essere un programma tv, ma Antonio Marano, allora direttore di Raidue, lo dovette stoppare su input di Silvio Berlusconi». Dell' unica puntata tv, registrata ma mai andata in onda, circola su YouTube, uno spezzone di pochi minuti, con Loredana Berté e Alda Merini.

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In questi giorni si è scritto molto sulla morte di Pier Paolo Pasolini, essendo passati quarant' anni. Lei non ha mai creduto al complotto e l' ha scritto anche sul Fatto.

«La tesi fu innescata da Oriana Fallaci, stando dal parrucchiere, sfogliando alcune riviste».


Prego?

«Sì, andò così. Fu un' invenzione. Ora, tutti i grandi giornalisti si inventano un po' le cose. Prenda Indro Montanelli, o quello che è stato il più grande di tutti, vale a dire Curzio Malaparte, del quale Ettore Della Giovanna disse: "Sì, l' ha scritto Malaparte ed è diventato vero". Forzavano, inventavano, perché sapevano che a volte il verosimile è più vero del vero. Ma inventavano in funzione della verità».

 

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Perché la Fallaci, invece?

«L'Oriana era abituata all'invenzione a puro titolo narcisistico e questa del complotto di Pasolini nasce perché lei non poteva stare fuori da questa vicenda. Non poteva rimanerne estranea».

 

Gli era amica, forse?

«Sono andato un po' a rileggere, dalle cose postume, e sembra che fosse una grande amica di Pasolini, quasi amante, se non fosse stato omosessuale. Ora, io che l' ho conosciuta nel suo momento migliore, ossia quando la Fallaci stava con Alexandros Panagulis, non l' ho mai sentita parlare di Pasolini né ho sentito Pasolini, che ho conosciuto, parlare di lei. Se vuole anche in Messico, quando fu ferita, era stato così».

 

La strage prima dei giochi olimpici del 1968, in cui rimase colpita? Ricostruisce quei fatti nella prima parte di "Niente e così sia", mi pare.

ANTONIO MARANO BRUNO VESPA ANTONIO MARANO BRUNO VESPA

«Sì, lei scrive, più o meno, "tre pallottole mi entrarono nel costato". Ora Gianfranco Moroldo, che era il suo fotografo, mi disse che lei stava alla finestra a guardar giù, quando una bomba carta fece andare in frantumi i vetri e probabilmente lei si prese delle schegge di vetro, non proiettili».

 

In quel libro parla soprattutto di Vietnam, racconta di scene di battaglia, con molto pathos.

«A creare pathos è bravissima, l' Oriana, perché ha questa scrittura bellissima...».

 

Ne parla ancora al presente. C' è stata una certa familiarità?

PASOLINIPASOLINI

«Sì, perché quando eravamo all' Europeo, dove ero il più giovane, lei mi chiese di darle una mano a scrivere una sua autobiografia. Se non fossi stato appunto l' ultimo arrivato, probabilmente avrei rifiutato».

 

Un libro che non uscì mai, però...

«Infatti, era stato commissionato da una piccola casa editrice che si chiamava La Sorgente. Lei non aveva tempo e chiese a me».

 

Quindi vi frequentaste?

«Sì, era il suo periodo migliore, quando stava con Alekos. Ci vedemmo spesso a Milano, a Firenze, a Greve in Chianti, nella casa di famiglia. Scrissi una settantina di cartelle. E lei se ne complimentò per lettera, più volte. Poi...».

 

Poi?

MARAINI PASOLINIMARAINI PASOLINI

«Poi però si rese conto che quel lavoro parlava della sua vita e che me ne appropriassi io non le piacque più. Me l' avesse detto, l' avrei capito senz' altro. Ma Oriana non era fatta così...».

 

E cioè?

«E cioè dovette dire che, in pratica, ero una spia della Cia. Beh, non era l' ultima Oriana che abbiamo conosciuto...».

 

Allora era una donna di sinistra.

«Sì, di sinistra, anche se nessuno l' aveva mai calcolata, allora, come tale. Sta di fatto che la cosa si interruppe. Ho ancora i nastri di quelle lunghe chiacchierate. La mia moglie d' allora, che ne aveva trascritti molti, per la rabbia strappò tutti i fogli».

 

Che donna era la Fallaci, almeno nel periodo di frequentazione che ci fu?

PASOLINI FALLACI CEDERNAPASOLINI FALLACI CEDERNA

«Anche divertente. Quando passeggiavamo per Firenze, capitava che mi imponesse di nascondersi in un androne o dietro una colonna».

 

E perché?

«Perché riteneva d' essere seguita dalla Cia, convintissima».

 

E che cosa doveva temere?

«Cercare razionalità in Oriana era molto difficile, c' era la vicenda di Panagulis, che era un esule, ma lei era convinta di essere personalmente perseguitata. Io sorridevo di questa megalomania, tra me e me, ritenendola innocente. Poi, nel tempo, ho pensato che tanto innocente non fosse».

 

Una posa?

ORIANA FALLACI 9ORIANA FALLACI 9

«Sì, una delle sue tante pose. Devo anche dire che era un' istintiva ma non era da trame: se avesse voluto farmi fuori, avrebbe potuto farlo benissimo. Era così, un' impulsiva e spesso ci rimetteva. Ricordo una volta che rientrò dall' Iran portandosi dietro dei tappeti che finirono bloccati in dogana».

 

E quindi?

«Quindi disse a una delle nostre segretarie di andare a sbloccarli. Non che fosse suo compito ma lei era "la Fallaci". Sennonché la poverina tornò in redazione a mani vuote e l' Oriana la prese a calci, tanto che dovettero intervenire un paio di colleghi».

 

Per una serie di dettagli così sul suo terribile carattere, che lei scrisse sul Giorno, la Fallaci l' avrebbe querelata in seguito.

«Sì, mi chiese tre miliardi di lire, che non erano pochi, e questo episodio dei tappeti non c' era neppure. E comunque in tribunale vinsi io, portando tali e tanti testimoni, che il giudice dovette darmi ragione».

 

Che cosa aveva scritto sul Giorno?

«Di quella volta che, ad Atene, arrivò in albergo con una rosa regalatele da Golda Meir, appena intervistata. Affidò questa rosa a una domestica ma purtroppo, il giorno dopo, il fiore era appassito».

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E quindi?

«Quindi si precipitò dal direttore dell' albergo chiedendo il licenziamento della fantesca ma questi, per tutta risposta, le fece sistemare i bagagli in strada. Era un' istintiva ma spesso ci rimetteva. A New York ne successe un' altra».

 

Ossia?

«Il corrispondente dell' Europeo, Duilio Pallottelli, un gran signore. Ebbene, quando la Fallaci sbarcava là, lui si metteva al suo servizio, ma lo faceva per plaisenterie, non perché fosse obbligato. Solo che lei lo prese evidentemente per servilismo, tanto che, un bel giorno, quando lui era stato a prenderla in aeroporto, all' ennesima richiesta di lei, Pallottelli inchioda la macchina sulla Quinta strada, va dall' altra parte, apre la portiera, le intima di scendere, quindi apre il bagagliaio, le scarica in due secondi le valige sul marciapiede e riparte. Non si sarebbero mai più rivisti».

 

Un carattere difficile.

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«Una prepotente antropologica che, se avesse dedicato agli altri un milionesimo di attenzione che pretendeva per se stessa... Però in quell' articolo che lei citava prima, per cui mi querelò, io ne feci un ritratto a luci e ombre».

 

Quali erano le luci?

«La giornalista senza dubbio. Anche se la Fallaci più grande, fu la prima, quando fece questi ritratti di artisti e letterati. Bellissimo quello In morte di Curzio Malaparte».

 

Non le grandi interviste?

«No, quelle interviste sono solo lei che interpreta se stessa: c'era tutto dell' Oriana e un cazzo, mi permetta, di Khomeni o di Gheddafi».

 

CURZIO MALAPARTE    CURZIO MALAPARTE

Con l' ayatollah ci fu qualche problema per l' abbigliamento, si ricorda?

«Fossi stato la guida spirituale degli sciiti l' avrei fatta arrestare: il giornalista deve stare un passo indietro non ergersi a protagonista».

 

Poi sono venuti i libri.

«Fu messa sulla cattiva strada da un consiglio di Malaparte stesso, che le disse: "Orianina, il giornalista deve scrivere libri". Ma intendeva reportage come i suoi: Kaputt, La Pelle, Tecnica di un colpo di stato. Lei invece si mise a scrivere romanzi, col suo stile molto barocco: ora la Fallaci va bene in 10 cartelle, in 800 diventa impossibile».

 

Beh, "Lettera a un bambino mai nato" ebbe un certo successo.

«Per quel libro assistetti a una furiosa lite con la sorella Paola, a Greve, che le diceva che lei di bambini non capiva un cazzo, non avendone avuti».

 

La Fallaci scrittrice non la convinceva.

CURZIO MALAPARTE  CURZIO MALAPARTE

«No, non era fatta per i romanzi. Un uomo lo trovai deplorevole, Inshallah lasciò 300mila copie invendute: uno dei più grandi "bagni dell' editoria nazionale"».

 

Giudizi duri. Non mi pare però che lei parli per risentimento.

«Infatti, non ne ho mai avuto verso di lei, malgrado quella lite finita in tribunale. Anzi, tre anni fa, quando avevo una fidanzata fiorentina, volli andare al cimitero dove è sepolta Oriana a deporre una rosa bianca sulla sua tomba. Perché con la Fallaci stiamo comunque parlando della Champions League del giornalismo, se non proprio del Barcellona almeno del Borussia Monchengladbach».

 

Ci siamo dilungati sulla Fallaci ma eravamo partiti da Pasolini. Quando lo conobbe?

«Lo incontrai la prima volta quando gli feci un' intervista sul fascismo dell' antifascismo per l' Europeo».

 

Che impressione le fece?

«Andai a casa sua all'Eur, una dimora borghese, piena di centrini, di comodini, queste cose qua. Lui, con questo volto scavato che pareva un Cristo di Grunewald, non aveva per nulla l'aria "da checca", tutt' altro».

 

Per cosa la colpì?

«Per un fatto: in genere l' intervistato stende le sue bellurie davanti a chi gli sta davanti».

foto di pasolini dal libro massacro di un poeta di simona zecchi  8foto di pasolini dal libro massacro di un poeta di simona zecchi 8

 

E lui, invece?

«Lui si interessava a chi gli stesse davanti. Poi accadde una cosa strana».

 

Vale a dire?

«In questa grande terrazza, dove stavamo parlando, entrò la madre e lui cambiò completamente, si infantilizzò di colpo, diventò tutto "pucci, pucci". E lì capivi la sua omosessualità. Ricordo che arrivò anche Ninetto Davoli. Lo intervistai e continuò, per un po', anche il rapporto con lui».

 

Vi frequentaste?

«Certo. E una volta mi portò anche al Pigneto, quartiere romano che allora era periferia estrema e malfamata, e che oggi temo sia pure un po' trendy».

 

Infatti.

foto di pasolini dal libro massacro di un poeta di simona zecchi  13foto di pasolini dal libro massacro di un poeta di simona zecchi 13

«Uno che andasse lì, con la sua Alfa Romeo, cercava il pericolo e, secondo me, anche la morte. Era la sua zona d' ombra, che hanno avuto molti artisti, persino Marcel Proust. Pasolini cercava la morte e anche l' Oriana, anni dopo, da quell' idea dissennata del complotto».

 

Eppure la comunità intellettuale italiana aderì all' istante a quella tesi.

«Sì, un po' perché attribuire le nefandezze ai fascisti era lo sport nazionale, un po' perché non accettava, in realtà, questo lato oscuro di Pasolini».

 

Dunque fu una scelta pruriginosa, non si ammetteva che Pasolini, nottetempo, andasse all' Idroscalo.

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«Eppure tutti lo sapevano che con quei "ragazzi di vita", in cui vedeva un' Italia che resisteva all' omologazione, come la chiamava lui, diventava sadico. E una notte successe per l' appunto che un ragazzo di vita dicesse no e si ribellasse a una certa richiesta».

 

La tesi del complotto poi, all'epoca, era un' attitudine: basta ricordare la morte, pochi anni prima, di Giangiacomo Feltrinelli ai piedi del traliccio di Segrate.

«Un altro complotto».

 

A lei fu chiaro che il complotto su Pasolini non stesse in piedi?

FALLACI COVER LIBRO PASOLINIFALLACI COVER LIBRO PASOLINI

«Immediatamente. Trovai ipocrita l' atteggiamento della comunità intellettuale, da Umberto Eco ad Alberto Moravia. In quella comunità, Pasolini s' era intruppato per poter scrivere: era un reazionario, non era affatto comunista».

 

Beh, certo aveva avuto il fratello Guido, partigiano, ammazzato dai garibaldini comunisti nella malga di Porzus.

«Esatto. Ma allora se non ti intruppavi non potevi esistere. L' unico che non lo fece fu Giuseppe Berto».

 

Ma che giudizio dà di Pasolini?

«Un grandissimo intellettuale, un grandissimo uomo di cultura ma, come direbbe il grande cronista tennistico Gianni Clerici, "nel mio personale cartellino" i suoi libri e i suo film non ci sono».

PASOLINI DAVOLIPASOLINI DAVOLI

 

Nemmeno "Il Vangelo secondo Matteo".

«No, sulla sua capacità di provocare, in modo intelligente, aprendo squarci, non ho dubbi».

 

L' invettiva dalle colonne del Corriere.

«Assolutamente. Lì era all' altezza delle sue provocazioni».

 

Quelle invettive contro il potere, come quella sulla Dc, «io lo so, ma non ho le prove», sono state l' architrave delle teorie complottiste...

«Il potere se ne strafregava. E se ne strafega bellamente ancora, a meno che tu non faccia una denuncia precisa. Il Pasolini veramente scandaloso fu semmai quello del che scrisse "darei la Montedison per una lucciolata"».

 

Il famoso articolo sulle lucciole che erano sparite.

VELTRONI PASOLINIVELTRONI PASOLINI

«Splendidamente reazionario in questo: rimpiangeva un modo che stava sparendo. Così come l' interesse per il sottoproletariato che, ai suoi occhi, aveva conservato una qualche verginità ma, nello stesso tempo e contraddittoriamente, aveva il bisogno notturno di umiliare quei ragazzi che rappresentava nelle sue opere».

 

Ma sul fatto che tutto il Pasolini, dalla critica ai libri al cinema, dovesse essere considerato eccelso, lei trae una lezione, Fini? C' è sempre il desiderio del mainstream culturale, che allora non si chiamava così, di ammantare un intellettuale di cose che non ci sono, e non riconoscerlo per quello che è?

«È così. Penso a un altro personaggio, che ho conosciuto molto più di striscio, come Federico Fellini».

 

Che successe, con lui?

«Che, a un certo punto, la critica, invece di fare il suo mestiere, cominciò a scrivere che qualsiasi cosa facesse era straordinaria. E invece c' erano cose che facevano pena. In questo non si aiutava l' artista, che si credeva autorizzato a tutto». [...]

pasolinipasolini

 

Senta, le danno il premio Montanelli. Ma lei Indro lo conobbe? Gli ha un po' assomigliato?

«Lui era la Champions League, io il Sassuolo. Poi lui un conservatore, io un reazionario, lui un liberale io un antidemocratico. Ciò che ci unisce, da un certo punto di vista, entrambi abbiamo pagato, ognuno al proprio livello, una certa indipendenza di giudizio.

Se pensa alla cacciata ignominiosa di Montanelli dal Corriere, ignominiosa per chi l' ha fatta, intendo...».

 

Il potente comitato di redazione di Raffaele Fiengo.

«Col direttore Piero Ottone, certo. E poi ci fu anche l' agguato delle Brigate Rosse».

 

Piero Ottone Piero Ottone

Per cui in qualche salotto milanese si brindò.

«Per capire cosa fossero quei tempi, basta ricordare il titolo con cui il Corriere stesso dette la notizia».

 

Già, non scrissero neppure. il nome, ma che «un giornalista» era stato gambizzato.
«Bisogna essere Ottone per fare queste cose. Era il clima dell' epoca: Eugenio Scalfari scrisse su Repubblica un pezzo contro Maurizio Costanzo che aveva osato ospitare "Montanelli il fascista". Erano tutti fascisti, come quelli che avrebbero appunto ammazzato Pasolini». [...]

 

Che cosa l' ha fatta arrabbiare poi, nella sua carriera?
«Ciò che bruciano sono le emarginazioni, le obliterazioni continue. Le faccio un esempio?».
 

Certo.
«Qualche tempo fa, Beppe Grillo fece uno spettacolo al Teatro Smeraldo di Milano, invitandomi, perché mi era grato perché lo avevo aiutato nel suo passaggio da attore a leader politico».
 

giorgio bocca montanelli1986 largegiorgio bocca montanelli1986 large

E che accadde?
«Che Grillo mi presentò, io mi alzai, ci fu una standing ovation. Poi toccò ad Adriano Celentano».
 

Standing ovation anche per lui...
«Sì, ma un po' meno, ma non è questo il punto».
 

E cioè?
«Che il giorno dopo il Corriere scrisse di tutti meno che di me».
 

Spiacevole.
«Scrissi due righe a Ferruccio De Bortoli, con su scritto: "Gutta cavat lapidem"».
 

DE BORTOLI TIKI TAKA 1DE BORTOLI TIKI TAKA 1

La goccia scava la pietra. E De Bortoli?
«Ferruccio è un uomo molto corretto, mi rispose dandomi ragione. Sono queste piccole cose che, piano piano, ti emarginano. Meglio il fascismo che ti manda a Ventotene ma almeno ti lascia l' orgoglio dell' antagonista».
 

Lo sente ancora De Bortoli?
«Mah, io non frequento troppo i giornalisti».
 

Conduce una vita da misantropo?
«Oggi direi di sì. È forse il prezzo che si paga: prima ti scansano i politici, poi nell' ambiente, alla fine l' esclusione diventa esistenziale. Ma me la sono cercata: mi sono messo in una posizione per cui giornali come il Corriere o La Stampa non avrebbero potuto assumermi. E poi i bastian contrari come me non servivano più».
 

marco travagliomarco travaglio

Erano serviti?
«Massì, ne Il Giorno di Zucconi, giornale dell' Eni e quindi di Dc e Psi, quel gran marpione del direttore teneva fermi questi due punti, e quindi lasciava a Pierluigi Magnaschi tutto il resto. In questo modo ho potuto scrivere cose tremende contro la partitocrazia.
E quando qualcuno, dai due partiti, obiettava, Zucconi rispondeva "che ero un pazzo e che dovevano guardare il resto". Marpionata che permise a Magnaschi, a me e ad altri di scrivere liberamente».
 

Voleva lasciare il giornalismo per la malattia, poi Marco Travaglio ha insistito.
«Sì, è stato molto affettuoso. D' altra parte, ci conosciamo da tempo. Lui, nonostante il successo che ha, è il più importante giornalista italiano, ha un atteggiamento enormemente rispettoso. Se gli propongo un pezzo, me lo pubblica immediatamente. Il Fatto e il Gazzettino, sono stati, negli ultimi tempi, una cosa importante per me».
 

Continua solo con il Fatto.
«Perché non ce la faccio davvero: sul Gazzettino mi occupavo di politica estera ma devi seguire, e farsi leggere le cose dalla segretaria è dura».
 

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Anche Jorge Luis Borges era cieco...
«(Ride) Ma lui era un grandissimo poeta, che trae va da se stesso la sua poesia. Io sono un giornalista, un saggista, un pensatore se vogliamo».
 

Il Fini -pensiero antimodernista...
«Sì, ho scritto qualche libro che rimarrà ancora per un po'».
 

cop fini massimocop fini massimo

Il suo bellissimo "Una vita", l' autobiografia uscita lo scorso anno per Marsilio, ha avuto grandi recensioni.
«In una, dissero che le vite erano state almeno tre: quella personale, quella giornalistica e una terza, per così dire, bukowskiana».
 

Nel senso di Charles Bukowski? Sarà per le molte donne che ha avuto, immagino.
«Una leggenda metropolitana, semmai per l' alcol, il fumo e la depressione».
(Fini ride mentre gli pende dalle labbra una sigaretta senza filtro mai accesa).

 

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