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LA TRATTATIVA C’È STATA O NO? – LA SENTENZA CON CUI LA CASSAZIONE HA ASSOLTO GLI EX UFFICIALI DEI CARABINIERI, MARIO MORI, ANTONIO SUBRANNI E GIUSEPPE DE DONNO, VA MOLTO OLTRE QUELLA DI APPELLO: I TRE CARABINIERI “NON HANNO COMMESSO IL FATTO” E LA MINACCIA DEI MAFIOSI È STATA SOLO “TENTATA” – LA TESTIMONIANZA DI NAPOLITANO, CIANCIMINO E LE STRAGI: TUTTA LA VICENDA PROCESSUALE RIPERCORSA DA GIOVANNI BIANCONI

nino di matteo processo sulla trattativa stato mafia 1

Estratto dell’articolo di Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”

 

Sul filo del traguardo finale, il processo alla cosiddetta trattativa Stato-mafia perde anche l’ultimo pezzo, quello che teneva in piedi il ricatto di Cosa nostra veicolato attraverso rappresentanti delle istituzioni: bombe, e minacce di altre bombe, per convincere il governo alla retromarcia sulle più pesanti misure antimafia. A cominciare dal «carcere duro» per i boss.

 

mario mori foto di bacco

Gli ex generali dei carabinieri Antonio Subranni e Mario Mori, come l’ex colonnello Giuseppe De Donno, erano stati assolti già in appello, ma «perché il fatto non costituisce reato»; avevano fatto la trattativa ma con l’obiettivo di fermare le stragi che il 1992 e il 1993 avevano già insanguinato l’Italia, e avrebbero continuato a farlo.

 

Nessun «dolo» (nemmeno eventuale) di rafforzare la minaccia mafiosa. Ora invece la Cassazione dice che i tre carabinieri «non hanno commesso il fatto», e la minaccia dei mafiosi (condannati anche in appello) è stata solo «tentata». Dunque non si sa neanche se sia arrivata al governo.

 

ANTONIO SUBRANNI

Un’assoluzione più radicale che non mette in discussione solo l’impianto dei pubblici ministeri di primo e secondo grado ma pure [...] le valutazioni dei giudici d’appello sul comportamento dei carabinieri in favore dell’ala meno violenta di Cosa nostra, guidata da Bernardo Provenzano, contrapposta a quella di Totò Riina.

 

Era la parte che restava all’accusa: un pezzo di Stato che favorisce un pezzo di mafia, al di là delle valutazioni tecnico-giuridiche sull’esistenza o meno del reato. Ora la Cassazione pare aver cancellato anche questo segmento, e chiude un processo durato dieci anni.

 

GIUSEPPE DE DONNO

L’indagine invece molto di più, sempre accompagnata da polemiche e contestazioni non solo in ambito giudiziario, ma anche — soprattutto — politico.

 

E per certi versi si può considerare ancora in corso, visti gli incroci con l’inchiesta tuttora aperta a Firenze su ipotetici mandanti esterni delle stragi del ’93 (in cui è indagato l’ex senatore forzista Marcello Dell’Utri, anche lui assolto definitivamente ieri per la trattativa, come in precedenza l’altro politico coinvolto, il democristiano Calogero Mannino) e con il processo-cugino di Reggio Calabria sulla ‘ndrangheta stragista, dove il boss mafioso Giuseppe Graviano è stato condannato in primo e secondo grado per due omicidi commessi al di là dello stretto a gennaio del ‘94; sempre con lo scopo di ricattare lo Stato.

 

Il processo che s’è chiuso ieri ha preso le mosse dalle traballanti, e in gran parte sconfessate, dichiarazioni di Massimo Ciancimino, una sorta di «maggiordomo della trattativa» che accoglieva in casa i carabinieri del Ros e li vedeva dialogare col padre Vito, subito dopo la strage di Capaci che aveva ucciso Giovanni Falcone, sua moglie e tre agenti di scorta.

 

massimo ciancimino processo sulla trattativa stato mafia 2

[…] Di «trattativa» con l’ex sindaco mafioso di Palermo agli arresti domiciliari aveva parlato, del resto, lo stesso generale Mori testimoniando al primo processo di Firenze; senza immaginare che quella parola si sarebbe poi tramutata, qualche lustro più tardi, in un capo d’imputazione contro di lui; aggiuntosi a quelli formulati per la mancata perquisizione al covo di Totò Riina, dopo il suo arresto nel gennaio 1993, e per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nell’autunno del 1995: altri processi e altre assoluzioni, che però non hanno mai scacciato le ombre. […]

 

MARCELLO DELL UTRI E SILVIO BERLUSCONI

In primo grado […] la raccolta delle prove durò cinque anni e arrivò fino al Quirinale, con la testimonianza dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

 

Nel corso dell’indagine era stata intercettata la sua voce, mentre parlava con l’ex presidente del Senato Nicola Mancino; ne scaturì un conflitto approdato alla Corte costituzionale, insieme a incomprensioni e polemiche mai sopite.

 

Nel 2018 giunse la condanna per tutti gli imputati (tranne Mancino, assolto dall’accusa di falsa testimonianza). Tre anni dopo, in appello, verdetto ribaltato a metà: condanna per i mafiosi e assoluzione per i carabinieri e Del’Utri. Con motivazioni molto pesanti per gli ex ufficiali dell’Arma [...].

 

GIORGIO NAPOLITANO

Contro quell’assoluzione […] la Procura generale di Palermo aveva fatto ricorso in Cassazione, ma nell’aula della sesta sezione l’accusa è rimasta senza voce: i pm della Corte suprema, infatti, hanno chiesto un nuovo processo per i carabinieri non per ottenere una condanna, ma perché non ritenevano sufficientemente provati i fatti alla base del verdetto.

 

La Cassazione è andata oltre, arrivando da sé all’assoluzione più ampia. Chiudendo definitivamente un processo, ma [...] non le diatribe per come è stato aperto e condotto fino all’ultimo grado di giudizio.

nicola mancino foto di bacco

il video di giuseppe de donno a non e l'arena 6paolo borsellino antonio ingroiaMARIO MORI

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