massimo bontempelli

C’ERA CHI DICEVA NO – MASSIMO BONTEMPELLI FU L’UNICO SU 896 DOCENTI UNIVERSITARI A RIFIUTARE LA CATTEDRA DI UN EBREO ESPULSO PER LE LEGGI RAZZIALI. MARCHIATO DAI FASCISTI COME “IDIOTA E CAROGNA” E POI BOLLATO DALLA SINISTRA COME “VOLTAGABBANA”, FU ELETTO AL SENATO NEL 1948 E BUTTATO FUORI PERCHÉ COMPROMESSO CON IL REGIME. PROPRIO LUI CHE AVEVA AVUTO LA DIGNITÀ DI DIRE NO

Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”

 

massimo bontempelli 1

E solo Massimo Bontempelli disse no. Ottant' anni dopo, a rileggere la storia infame dei «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista» firmati dal re Vittorio Emanuele III nella tenuta di San Rossore il 5 settembre 1938 («la data della vergogna per la cultura italiana», ha scritto lo storico Giovanni Belardelli) spicca il silenzio assordante degli 895 docenti universitari su 896 che dissero sì.

 

E accettarono servili e contenti (quando non sgomitarono per contendersi il bottino) quelle cattedre regalate loro grazie alla espulsione dei professori ebrei.

 

Una pagina nera. Diventata nerissima quando, a guerra finita, i docenti espulsi, costretti all' esilio o scampati ai campi di sterminio, chiesero di riavere il loro posto. E si trovarono davanti a una montagna tale di ostacoli burocratici, accademici e politici (dice tutto il titolo del decreto del 27 maggio 1946: «Riassunzione in ruolo di professori universitari già dispensati (sic!) per motivi politici e razziali») che molti preferirono nauseati lasciar perdere, altri rimasero là dove si erano rifugiati e qualcuno si uccise per il doppio rifiuto.

 

leggi razziali

Come il biologo Tullio Terni, che si tolse la vita con una fiala di cianuro il 25 aprile 1946, primo anniversario della Liberazione. Alla vigilia di quel decreto firmato dal diccì Guido Gonella che, scrivono Francesca Pelini e Ilaria Pavan nel libro La doppia epurazione (il Mulino, 2009), non voleva «turbare gli equilibri dati al momento della fine del conflitto».

 

Equilibri che chi aveva approfittato della «manna» (così la chiamò Ernesto Rossi) dell' espulsione di tutti quei docenti e di altri 727 studiosi ebrei buttati fuori dalle accademie e dalle istituzioni culturali, ringhiosamente difese, rivolgendosi perfino alla magistratura neo-democratica per non restituire il posto arraffato grazie alle leggi fasciste.

leggi razziali del fascismo

 

Una vergogna tale, ricorderà Giorgio Israel ne Il fascismo e la razza. La scienza italiana e le politiche razziali del regime (il Mulino, 2010), che dopo decenni era «assai facile trovarsi di fronte a reazioni virulente per aver soltanto osato ricordare i trascorsi razzisti di alcuni maestri di cui ancora oggi gli allievi, o gli allievi degli allievi, coltivavano un' adorazione intatta!».

 

Basti ricordare, come fece anni fa sul «Corriere della Sera» Paolo Mieli, il matematico Mauro Picone, che in una lettera del 1939 scriveva: «Urge che gli scienziati di razza ariana collaborino il più attivamente possibile per mostrare come la scienza possa egualmente progredire anche senza l' intervento giudaico» e solo sette anni dopo, ricordando il matematico Guido Fubini morto esule nel 1943 a New York, «ebbe la sfrontatezza di scagliarsi contro "gli stolti, infami provvedimenti razziali", da lui a suo tempo applauditi e ora definiti "eterna vergogna"».

 

massimo bontempelli 2

«La reintegrazione dei docenti ebrei», ha scritto Pierluigi Battista ricordando l' esempio pisano, «fu registrata con estrema freddezza dalle autorità accademiche che affrontarono la questione con il distaccato stile burocratico di chi doveva risolvere una complicata e molesta incombenza». Una vergogna rimasta a lungo velata, fino ai libri di denuncia come L' università italiana e le leggi antiebraiche di Roberto Finzi (Editori Riuniti, 1997) e altri ancora.

 

Ecco, in questo impasto di orrori, furbizie, omertà, complicità e ipocrisie che infettarono l' università italiana a cavallo tra il «prima» e il «dopo» le leggi razziali, la guerra perduta e la lotta di Liberazione, Massimo Bontempelli pagò dazio due volte. Prima perché marchiato dai fascisti come «idiota e carogna», poi perché bollato dagli «antifascisti» (compresi certi convertiti dell' ultima ora) come un «voltagabbana» dal passato destrorso.

FILIPPO TOMMASO MARINETTI

 

Nato a Como nel 1878, studente anarchico («fui orgoglioso di portare qua e là pacchi di manifesti sovversivi»), laurea in Filosofia con una tesi sul libero arbitrio e in Lettere con una sull' endecasillabo, docente, poeta, interventista, corrispondente di guerra, collaboratore del Fascio politico futurista di Filippo Tommaso Marinetti, tessera del Partito fascista fatta insieme col suo amico Luigi Pirandello (dirà: «Mai fatto vita di partito; anzi fino al 1948 non ero mai stato iscritto ad alcuno: il fascista non conta, non era un partito, era un' anagrafe»), cominciò a staccarsi dal regime nel 1936, dopo la guerra d' Abissinia.

 

massimo bontempelli

La prova? «Molti episodi documentatissimi», scriveranno anni dopo vari intellettuali (dal critico Luigi Baldacci al poeta Eugenio Montale, dal musicista Goffredo Petrassi al pittore Renato Guttuso) indignati per una feroce critica a Bontempelli di Mario Picchi, che sull'«Espresso» aveva scritto d' una «miserabile coscienza morale» per poi rincarare: «Artista piccolino, fascista grandicello».

 

«Bontempelli è stato vittima d' un trattamento disonesto e di un abuso», scriverà Carlo Bo. «Eppure nei famosi vent' anni del periodo fra le due guerre è stato uno degli spiriti più vivi e attenti ai moti della società italiana».

 

LUIGI PIRANDELLO

Certo è che diede prova d' aver la schiena dritta almeno in due momenti chiave.

Il primo, dicevamo, quando fu l' unico (unico!) docente a rifiutare il dono di una cattedra «per chiara fama» rapinata a un ebreo, nel suo caso il grande Attilio Momigliano.

 

d'annunzio

Il secondo quando, nel novembre di quel 1938, ricordò Gabriele d' Annunzio, davanti ai gerarchi convenuti a Pescara, denunciando «il nuovo costume intonato al feticismo della violenza». Denuncia che gli costò non solo gli insulti di Achille Starace («Ho tolto la tessera all' accademico Bontempelli perché più idiota e carogna di così si muore»), ma l' ostracismo totale: vietata la ristampa dei suoi libri, vietato chiedergli conferenze Più l' imposizione del domicilio coatto: Venezia.

 

Ma solo per sopire lo scandalo. «Fu il periodo più bello della sua vita», scriverà Bo nel suo ricordo dopo la morte, definendolo «un prosatore stupendo» e «il più libero e nello stesso tempo più depurato del secolo». «Nel palazzo sul Canal Grande che lo ospitava diventò per la parte più responsabile della cultura italiana un riferimento, un piccolo faro d' indipendenza». Cosa che non gli bastò, anni dopo, a evitare l' umiliazione più grande della sua vita.

 

CARLO BO

Scampato dopo l' 8 settembre 1943 alla condanna a morte decretata contro di lui dai nazisti per un libro del 1919 contro la Germania, sopravvissuto alla guerra, candidato a Siena col Fronte delle sinistre alle elezioni del 1948, Massimo Bontempelli fu eletto al Senato, ma subito trascinato davanti alla Giunta per le elezioni.

 

Gli rinfacciarono d' aver firmato nel 1935 un pezzo intitolato Milizia santa su un' antologia (Oggi) di letture per le scuole medie contenente, come tutti i libri dell' epoca, parole d' esaltazione per il regime e il Duce. Antologia, tra l' altro, che lo scrittore aveva delegato, secondo il critico Franco Petroni, «a un perseguitato dal fascismo, che aveva bisogno di fare un po' di soldi e non poteva firmare col proprio nome».

 

leggi razziali 3

Un peccato secondario, rispetto a quelli dei tanti razzisti riciclati come il fisiologo Sabato Visco, che era stato «capo dell' ufficio per gli studi e la propaganda sulla razza del Minculpop», o il giurista Gaetano Azzariti, già a capo del Tribunale della razza (e destinato perfino alla presidenza della Corte costituzionale), o l' ex segretario di redazione della «Difesa della razza» Giorgio Almirante (eletto in quella stessa tornata) e altri ancora.

 

benito mussolini 2

Eppure fu lui, che Bo definiva «tutto fuor che uno scrittore impegnato e questo perché la sua fantasia non accettava nessun legame con la realtà», ad essere buttato fuori dal Senato come fascista. Il solo che, dopo quelle leggi infami sull' università, aveva avuto il fegato e la dignità di dire no.

la difesa della razzaleggi razziali 1LE LEGGI RAZZIALI DEL FASCISMO il fascismo e la razzabenito mussolini

 

Ultimi Dagoreport

sergio mattarella quirinale

DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È IMBUFALITO PER I ‘’COLPI DI FEZ’’ DEL GOVERNO MELONI. A FAR SOBBALZARE LA PRESSIONE ARTERIOSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO STATI I SUOI CONSIGLIERI QUIRINALIZI - QUANDO HA LETTO SUI GIORNALI IL SUO INTERVENTO A LATINA IN OCCASIONE DEL PRIMO MAGGIO, CON LA SEGUENTE FRASE: “TANTE FAMIGLIE NON REGGONO L'AUMENTO DEL COSTO DELLA VITA. SALARI INSUFFICIENTI SONO UNA GRANDE QUESTIONE PER L'ITALIA”, A SERGIONE È PARTITO L’EMBOLO, NON AVENDOLE MAI PRONUNCIATE – PER EVITARE L’ENNESIMO SCONTRO CON IL GOVERNO DUCIONI, MATTARELLA AVEVA SOSTITUITO AL VOLO ALCUNI PASSI. PECCATO CHE IL TESTO DELL’INTERVENTO DIFFUSO ALLA STAMPA NON FOSSE STATO CORRETTO DALLO STAFF DEL COLLE, COMPOSTO DA CONSIGLIERI TUTTI DI AREA DEM CHE NON RICORDANO PIU’ L’IRA DI MATTARELLA PER LA LINEA POLITICA DI ELLY SCHLEIN… - VIDEO

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE AMERIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....