
"VIVEVANO COME NEL MEDIOEVO" - ECCO CHI SONO I TRE FRATELLI-TERRORISTI (DINO, FRANCO E MARIA LUISA RAMPONI) CHE HANNO RIEMPITO IL LORO CASOLARE DI GAS E LO HANNO FATTO ESPLODERE, UCCIDENDO TRE CARABINIERI INTERVENUTI PER SFRATTARLI - GLI ABITANTI DI CASTEL D’AZZANO, IN PROVINCIA DI VERONA, DESCRIVONO I TRE COME "VENUTI GIÙ DALLA MONTAGNA. ERANO STRANI, COME I LORO GENITORI. SONO STATI ALLEVATI SENZA RAPPORTI CON IL MONDO ESTERNO. SOLO I CAMPI DA COLTIVARE E LE MUCCHE DA MUNGERE. PASCOLAVANO DI NOTTE PER EVITARE SGUARDI INDISCRETI" - DIETRO AL LORO GESTO CI SONO I DEBITI PER IMPIANTARE UN FRUTTETO E RISARCIRE UN CAMIONISTA CHE UNO DEI FRATELLI AVEVA UCCISO IN UN INCIDENTE STRADALE: FRANCO RAMPONI CHIESE UN MUTUO DI 70 MILA EURO, CHE NON È MAI STATO RIPAGATO. A QUEL PUNTO L'UOMO SOSTENNE CHE LA SUA FIRMA SUI DOCUMENTI FOSSE FALSA E INIZIO' LA LORO "BATTAGLIA" CONTRO TUTTI - IL VIDEO, DELLO SCORSO NOVEMBRE, IN CUI MARIA LUISA RAMPONI DICE: "ABBIAMO RIEMPITO LA CASA DI GAS"
I FRATELLI RAMPONI, IL FRUTTETO, IL MUTUO, LA FIRMA FALSA: COSA C’È DIETRO LA STRAGE DEI CARABINIERI DI CASTEL D’AZZANO
Estratto dell'articolo di Alessandro D’amato per www.open.online
Dietro la strage di carabinieri in via San Martino 22 a Castel D’Azzano c’è un frutteto. Mentre i fratelli Franco, Dino e Maria Luisa Ramponi si sentivano vittime di un’ingiustizia. E vessati da creditori, banche e tribunali. Per questo hanno trasformato la casa colonica in cui vivevano da sempre ed ereditata dai genitori in una bomba.
Tutti e tre non sposati e senza figli, da due anni attendevano lo sgombero. La casa era stata pignorata, poi era cominciata la procedura esecutiva che avrebbe dovuto concludersi con l’asta di vendita. E invece grazie alle bombole del gas e alle molotov si è trasformata in tragedia. E loro adesso rischiano l’accusa di strage.
I tre fratelli hanno cinque anni di differenza. Franco è nato nel 1960, Dino nel 1962, Maria Luisa nel 1965. Chi li conosce li descrive come «venuti giù dalla montagna»: «Erano strani. Come i loro genitori. I tre figli sono stati allevati senza rapporti con il mondo esterno. Solo i campi da coltivare e le mucche da mungere.
Ne avevano trenta e le pascolavano di notte per evitare sguardi indiscreti. Tra i campi avevano anche sistemato un faro per lavorare senza la luce del sole. Si sentivano in guerra con il mondo. Nel casolare non c’erano né luce né gas. Nel novembre 2024 si erano già barricati in casa. Riempiendola di gas e impedendo lo sgombero. Per questo la procura aveva deciso di perquisirli per cercare armi.
La storia comincia quando Franco Ramponi chiede al Credito Padano un mutuo di 70 mila euro per impiantare un frutteto nelle terre di famiglia. «I pagamenti delle rate del mutuo cessarono quasi subito e noi avviammo una procedura esecutiva», dice al Fatto Quotidiano Sandro Carra, avvocato che allora seguiva la banca. «Ramponi denunciò la perdita della carta di identità e uno scambio di persona, per sostenere di non aver mai firmato quel mutuo.
Poi disse che la firma falsa l’aveva messa suo fratello. Tesi difficile da credere, sia perché parte di quel mutuo fu usata per pagare i suoi debiti, sia perché il notaio e la banca li conoscevano bene».
Si tratta della stessa storia che Franco Ramponi raccontò all’Arena di Verona, segnalando che quella era la firma del fratello. E che nonostante il riconoscimento della falsità la procedura era andata avanti. «Il tribunale mi contesta di non essere rientrato da un debito fatto con la banca, ma che io non ho firmato.
È stato mio fratello Dino ad accedere al prestito che non ha onorato, solo che ha firmato col mio nome, perché sono io il proprietario. Ci sono perizie calligrafiche che parlano chiaro: quella non è la mia firma». Tutto inutile. La banca vince la causa in primo grado. Poi cede i crediti a una società specializzata nel recupero.
Qualche anno prima un incidente con un trattore guidato da uno dei fratelli causò la morte del camionista Davide Meldo. Il trattore era privo di luci e lampeggianti. Il 30 novembre Franco Ramponi aveva dichiarato che sarebbe andato in Comune a chiedere un alloggio temporaneo ed era preoccupato perché «la stima della casa e della stalla fatta dal tribunale è molto al ribasso». [...]
DUE FRATELLI, UNA SORELLA E LA VITA DA MEDIOEVO "NON CI CACCERETE MAI"
Estratto dell'articolo di C.G. per “la Repubblica”
Franco Maria Luisa DINO RAMPONI
Era iniziato tutto con un incidente nel 2012: uno dei fratelli Ramponi si era scontrato con un camion mentre guidava il trattore di notte a fari spenti. L'autista era morto, erano scattati i risarcimenti e le finanze della famiglia avevano iniziato il tracollo.
Nel 2014 la sottoscrizione di un mutuo ipotecario, firmato da Dino Ramponi a nome del proprietario della casa, il fratello Franco. O quantomeno è quello che ha sempre contestato la sorella in un'infinita battaglia legale, che si è conclusa però col riconoscimento della legittimità del prestito. E una montagna di debiti che era diventata una valanga.
milo manara - disegno per i carabinieri morti nell'esplosione del casolare a Castel DAzzano
Così era scattato il pignoramento del casolare, che la famiglia possedeva da generazioni, in una località chiamata la pesa perché era dove una volta c'era la pesa pubblica. Ma loro — tre fratelli nati e cresciuti lì, non sposati, senza figli — non volevano andarsene.
«Non aprivano la porta a nessuno — spiega il vicesindaco Antonello Panuccio — vivevano come nel Medioevo, come gli amish, avevano uno stile di vita rurale, vetusto. Senza luce elettrica, senza gas, per questo avevano le bombole in casa. Avevano solo queste trenta mucche, che pascolavano di notte perché la strada che dovevano attraversare per arrivare nei loro campi di giorno era molto trafficata.
Dopo la morte dei loro genitori si erano chiusi ancora di più in loro stessi. Vivevano isolati, fuori dalla società». Ma «non avevano mai chiesto aiuto, erano adulti, lucidi perfettamente in grado di intendere e di volere», precisa la sindaca Elena Guadagnini. In occasione dell'ultimo tentativo di sgombero, un anno fa, Maria Luisa Ramponi era salita sul tetto e aveva minacciato di darsi fuoco. Cappello calato in testa e sciarpa rosa, aveva dichiarato: «Con mio fratello lottiamo da cinque anni per avere giustizia. Ha avuto un pignoramento ingiusto, gli hanno portato via tutta l'azienda agricola, terreni ed adesso la casa.
CASOLARE OCCUPATO DOPO ESPLOSIONE
[...] Anche il Comune era stato contattato per tentare una mediazione con l'autorità giudizaria. «Avevano provato con tutti, con dei loro parenti, col medico di base, col parroco — prosegue il vicesindaco —
Alla fine una nostra assistente sociale aveva agganciato la donna perché lei era venuta a informarsi per l'erogazione di un sussidio, non mi ricordo se il reddito di cittadinanza o quello di inclusione, e da lì l'aveva convinta a partecipare a dei tentativi di mediazione. C'era andata un paio di volte ma aveva sempre ripetuto la stessa cosa: no, io da casa mia non me ne vado neanche se mi date una casa in centro. Gli avevamo anche proposto degli altri pascoli più su». Era questo il tema. Le bestie.
castel d'azzano ESPLOSIONE DURANTE LO SGOMBERO DI UN CASOLARE
Lo conferma anche un vicino, Marcello Fusini: «I servizi sociali l'anno scorso avevano trovato un accordo per dargli una casa. Ma loro vogliono una casa anche diroccata, con la stalla per le mucche». [...]
«ABBIAMO RIEMPITO TUTTA LA CASA DI GAS» LE MINACCE NEL VIDEO E LA VITA ISOLATA
Estratto dell'articolo di Angiola Petronio per il "Corriere della Sera"
«Lottiamo da cinque anni per avere giustizia. Mio fratello ha avuto un pignoramento ingiusto, hanno portato via tutta la nostra azienda agricola e adesso vogliono la casa. Oggi volevano fare lo sgombero e noi ci siamo opposti in tutti i modi, abbiamo riempito la casa di gas».
Intabarrata in un paltò, uno zuccotto calato sulla testa e una sciarpa rossa al collo, parlava così, il 24 novembre dello scorso anno, Maria Luisa Ramponi. Rabbiosa, lucida. Quasi l’anticipo di quel che sarebbe accaduto lunedì notte in via San Martino 22, la strada della strage, una poderale costeggiata da una frequentatissima pista ciclabile tutta curve tra la quiete di vigneti e serre.
castel d'azzano ESPLOSIONE DURANTE LO SGOMBERO DI UN CASOLARE
Proprio quel giorno, poco dopo che con Franco e Dino si erano barricati in quella cascina diroccata per cui era stata decisa la vendita all’asta, quelle parole furono raccolte dal nostro fotografo Angelo Sartori che filmò l’intervista alla donna mandata ieri online in esclusiva dal Corriere .
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Anche nel settembre del 2021, nel tentativo di salvare il casolare dall’asta, Franco e Dino avevano minacciato gesti estremi. In quel caso uno di loro era salito sul tetto del tribunale di Verona urlando che si sarebbe lanciato nel vuoto, mentre Maria Luisa aveva giurato che si sarebbe data fuoco mentre si cospargeva di alcol nel parcheggio.
castel d'azzano ESPLOSIONE DURANTE LO SGOMBERO DI UN CASOLARE
A bloccarli, allora, furono due vigilantes. Franco è nato nel 1960, Dino nel 1962, Maria Luisa nel 1965. «Erano venuti giù dalla montagna ed erano “strani”. Come i loro genitori», racconta chi li conosce. Madre e padre quei tre figli li avevano allevati a loro immagine e somiglianza: nessun rapporto con l’esterno. Solo loro cinque. E i campi da coltivare. E le mucche da mungere all’alba. Finiva lì il mondo di questi fratelli, ancora più uniti dopo la morte del padre e della madre.
«Una vita grama», ripetono qui. Nessuna amicizia, neanche un saluto per chi li incrociava lungo la strada. E ancora: avevano sistemato tra i campi un grande e potente faro al solo fine di illuminare le coltivazioni e potervi lavorare indisturbati la notte. Al riparo da sguardi indiscreti. [...]