FUNERAL ZINCONE - LA FOLLA CHE VOLEVA, C’ERA - AMICI, LETTORI, COLLEGHI E ANCHE CHI LO AVEVA PENSIONATO DAL “CORRIERE” COME UNO STRACCIO VECCHIO E OGGI LO RIMPIANGE COME “MAESTRO” (FOTO)

Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia

1. GIULIANO ZINCONE - QUELL'ADORABILE CHE AVEVA IL SENSO DEL RIDICOLO
Da "Il Foglio"

"Spensierato cronista, mio simile, fratello, ma che stai a di'? Tu rivolti come un calzino, spacchi in due come una mela, tiri per la giacchetta, distribuisci patate bollenti. Per te ogni disastro è annunciato, certe eroine sono ‘madri coraggio' (quella di Brecht è una carogna), tu strabuzzi gli occhi oppure fai spallucce in mezzo al guado".

Ecco, tra i tanti modi possibili di ricordare Giuliano Zincone - grande giornalista, scrittore raffinato, persona adorabile, morto domenica scorsa, a Roma, a settantatré anni - quello che ci sembra più "zinconiano" è ricordare le sue meravigliose idiosincrasie.

Soprattutto la sua avversione naturale (naturale tanto quanto la sua proverbiale eleganza) nei confronti di sciatterie, frasi fatte, idee ricevute e gaglioffaggini, e della pigrizia lessicale che tradisce quella del pensiero. Nell'articolo citato all'inizio, scritto per il Foglio giusto un anno fa, Zincone chiedeva: "Ma come scriviamo, fratello? Nella vita normale mica usiamo queste parole, ci prenderebbero per matti".

Per lui, grande firma del Corriere della Sera ed ex direttore del Lavoro di Genova, entrato nel 2005 - con nostro grande orgoglio - nella famiglia dei collaboratori foglianti, ogni pezzo era l'occasione per mettere alla prova senso critico e bisogno di non illudersi su nessuna verità che non fosse quella disegnata da un tenace senso del ridicolo, dal rifiuto di ogni trombonaggine politica e professionale. Con noi, che raccoglievamo le sue proposte - fatte con leggerezza, quasi con timidezza, con l'atteggiamento di chi non ha lezioni da dare ma vita da raccontare - Zincone era molto generoso.

Gli piaceva discutere a lungo, pronto anche a cambiare idea, da uomo che aveva nutrito grandi illusioni ma che, anche dopo essersi (in parte) ricreduto, non rinunciava ad avere convinzioni. A volte, soprattutto nell'ultimo periodo, quando mettersi a scrivere cominciava a costargli troppa fatica, una sua telefonata corsara serviva ad allertarci su un particolare negletto della cronaca, su un paradosso, una contraddizione, su una piccola o grande "porcata" (come amava dire, sempre un po' iperbolico, sempre molto ironico, soprattutto verso se stesso).

Si trattasse dell'argomento più serio del mondo o di quello in apparenza più futile, della guerra in Libia ("E' sempre necessario schierarsi dalla parte di chi insorge? Certamente no, altrimenti avremmo incoraggiato l'Ira in Gran Bretagna e l'Eta in Spagna") o dello spot televisivo fessacchiotto di un aperitivo, il suo bersaglio era sempre il pensiero trombonesco o pseudo trasgressivo proposto ad usum dei non pensanti.

Non sopportava i "paragoni con il già visto" - lui che aveva davvero visto di tutto - come ha scritto a proposito di pantere, Onde e nuovi Sessantotto, di nuove Woodstock e nuovi Ventinove, di "nuovo (sic!) New Deal, o magari una nuova Bretton Woods, oppure un nuovo Keynes, una nuova (sic!) Nuova Frontiera".

Gli metteva tristezza chi "non riesce più a inventare niente e cammina (quando cammina) con la testa rivolta all'indietro, cercando simboli da imitare e/o da esecrare". Di fronte a questo, meglio far suonare le note dell'assurdo, come il suo amato Antonin Artaud: "Intendo raccogliere le firme necessarie per un referendum, allo scopo di restaurare la monarchia. Spero che il Foglio mi aiuti. Basterebbe cambiare la carta d'identità nella Costituzione: ‘L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro'.

Mah, il lavoro è una condanna biblica, e la sua esaltazione umilia i pensionati, i disoccupati, i bimbi, gli studenti, i bamboccioni. Quasi tutti, insomma. Proporrei: ‘L'Italia è un granducato che promuove il divertimento'. Ciò sarebbe postmoderno, incoraggerebbe il turismo e rilancerebbe il carnevale di Venezia". Gli unici accenti di rabbia, nella sua voce, risuonavano al ricordo dell'accusa (ridicola ma smontata solo dopo un processo) di essere stato al soldo del Kgb.

Ma poi era il primo a cercare la scappatoia del sorriso, da inventore geniale di mondi tragicomici paralleli, nella sua doppia vita di narratore e poeta, sensibile e refrattario a ogni tartufismo. A ispirarlo era soprattutto il politicamente corretto, magari applicato alle favole: "C'era una volta una bambina chiamata Copricapo. La mamma le domandò: ‘Che ore sono?'. ‘Sono le tre e tutto va bene', rispose la piccola - ‘Volevo ben dire', sorrise la genitrice fissando con occhi lucidi d'emozione il ritratto del nostro amato Presidente - poi aggiunse: ‘La Nonna e il Lupo vanno sempre d'accordo?'".


2. ADDIO A GIULIANO ZINCONE, UN ECCELLENTE GIORNALISTA ASSAI PIÙ CHE UN "GIORNALISTA ECCELLENTE". E UNA GRANDE PERSONA
Oliviero Beha per www.tiscali.it

Quando, e succede sempre più spesso, qualcuno spara a zero sui giornalisti come categoria, personalmente non mi sento offeso. Che a "sparare" sia Grillo o chiunque altro. Anzi, se ne ho l'occasione cerco di precisare di più e meglio le colpe di sistema della categoria. Sarà per la mia mentalità ipercritica, sarà perché come si dice in gergo i cuochi conoscono la cucina, ma non mi tiro indietro nella pessima opinione su di essa: è francamente impossibile se non a prezzo di una gigantesca malafede scindere responsabilità e colpe del sistema mediatico dallo stato di un Paese intiero.

E se l'Italia è in coma, come non riconoscere che la stampa scritta e radiotelevisiva ha contribuito pesantemente, prima come effetto e poi come causa di altri effetti, a rendere l'Italia così (anche al di là delle classifiche sulla libertà di stampa di Freedom House, il cui nome tradotto dovrebbe suggerire qualche cosa...)?

Ma per fortuna se il sistema è guasto non tutti i giornalisti si sono fatti guastare dal sistema, come professionisti dell'informazione e come persone. Uno di questi, non così numerosi, è stato il mio amico Giuliano Zincone, scomparso per il solito brutto male domenica scorsa a "soli" 73 anni. I "soli" virgolettato è riferibile alla gerontocrazia al potere da noi, dal Colle in giù.

Del grande spessore professionale di Giuliano, firma storica del "Corriere della Sera", trovate testimonianza un po' dappertutto, anche se meno di quel che merita specie come cronista di una profondità speciale. Cito solo inchieste memorabili, in Italia sulle morti sul lavoro d'antan, e in Vietnam. Come scrittore di qualità, tra i libri ne ricordo uno in particolare, "Giovanni Foppa vuole cambiare vita", un poemetto splendido sull'Italia del dopo Tangentopoli.

Ma è la persona che soprattutto vorrei descrivere a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo. Se dico anche soltanto che era un vero signore, nei tratti comportamentali e nell'anima se esiste, forse già dico qualcosa che oggi appare una rarità. Ma riferendomi anche al giornalista e all'ambiente e alla categoria e al sistema da cui sono partito qui per un necrologio che vuol essere non solo riguardoso ma "utile" a chi resta, soprattutto Giuliano Zincone non scriveva cose diverse da come si comportava nella vita.

Era "liberal" di pensiero, lo era nei rapporti umani. Non faceva come tanti, tantissimi, anche tra coloro che hanno vergato commossi ricordi densi di ipocrisia, "giornalisti eccellenti" che predicano benissimo in pubblico dai pulpiti di cui solitamente possono disporre perché si sono venduti l'anima e hanno leccato culi, e poi in privato o comunque nei rapporti interpersonali di lavoro e non solo ne combinano di tutti i colori.

In una sorta di circolo vizioso del "ricatto" metaforico, virtuale anche se quasi mai penale, nel quale sono tutti compresi, un circolo in cui non si fa una cosa giusta per evitarne un'altra che comprometta carriere personali, alla faccia della trasparenza e della correttezza. E' il festival della doppiezza.

Per Zincone né in vita né in morte nessuno può ipotizzare un'accusa o un appunto del genere. Era quello che sembrava ed era quello che diceva e scriveva. L'ipocrisia, etimologicamente un "sottogiudizio", non lo ha mai sfiorato. Era un eccellente giornalista, insomma, assai più che un "giornalista eccellente", di quelli che usano un potere spesso marcio e comunque dipendente (dalla politica, dai poteri forti, dall'imprenditore di circostanza ecc.) come se non ne dovessero mai rispondere in termini di responsabilità professionale, civile, etica, morale.

Ciao Giuliano, mi mancheranno occhiate, gesti, stile, racconti, citazioni sportive (del tuo Milan, o di quando Bulgarelli giocava con te centravanti, da ragazzi, a Bologna, e ti abbracciava quarant'anni dopo reincontrandoti, o del tuo roteare il polso da tennista di vaglia...), umanità. Tremo all'idea che al tuo funerale si mischi anche molta gente che ti ha fatto del male. Sai, ce ne sono di giornalisti eccellenti, eccome...

 

 

Vittorio Zincone Vittorio Zincone Pierluigi Battista Oliviero Beha Massimo Teodori e Ludina Barzini Il Feretro di Giuliano Zincone Fiori per Giuliano Diana De Feo Corrado Formigli Claudio Petruccioli Emanuele Macaluso Alessandro Sortino Ferruccio De Bortoli Il figlio Vittorio Marco Damilano

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