simone inzaghi luciano spalletti giuseppe beppe marotta

“C’ERA UNA VOLTA IL POTERE DELLA JUVENTUS, OGGI È L’INTER IL CLUB PIÙ POTENTE D’ITALIA. SPALLETTI SE NE STA ACCORGENDO” – “IL NAPOLISTA” COMMENTA LA TENSIONE TRA IL TECNICO AZZURRO E SIMONE INZAGHI DOPO LA SUA FRASE DEL CT SUL CASO-ULTRÀ DI SAN SIRO (“IO SO RIATTACCARE IL TELEFONO”): “MAROTTA SA TRATTARE CON I MEDIA: IN PUBBLICO E DIETRO LE QUINTE. E QUANDO SCOPPIA UNA GRANA, IL SUO LAVORO SOTTERRANEO SI SENTE ECCOME. NON A CASO NON C’È UNA DICHIARAZIONE IN FAVORE DELLE FRASI (CONDIVISIBILI) DEL CT..."

Massimiliano Gallo per www.ilnapolista.it

SPALLETTI INZAGHI

 

Il potere vero è quello silenzioso. Quando un uomo rappresentativo esce allo scoperto, vuol dire che è in difficoltà. Era la regola aurea di Enrico Cuccia per decenni signore del sistema bancario italiano. Non ha mai rilasciato un’intervista. Ed era la regola aurea della Democrazia Cristiana: una notizia smentita è una notizia data due volte. Si lavora nell’ombra. Relazioni. Influenze. Imbeccate. Il potere agisce così.

 

giovanni agnelli giampiero boniperti

Nel calcio italiano per decenni ha dominato la Juventus. Non solo la Juventus. Ma soprattutto la Juventus. Un sistema di relazioni fitto e articolato, che abbracciava direttori di giornali, politici influenti (per fare due esempi, i compagni Togliatti e Berlinguer erano juventini), altre caselle chiave del sistema di potere istituzionale. Al momento opportuno, l’obbedienza juventina veniva fuori. Ci si metteva a disposizione della casa madre. Smussa qua, pungola là. C’era la fascinazione di Gianni Agnelli certo, ma dietro quella che Moratti definì sudditanza psicologica (a proposito degli arbitri) c’era un lavoro di diplomazia e, come si direbbe adesso, di spin.

 

MUGHINI CON LA MAGLIA DELLA JUVENTUS

Oggi la Juventus è lontana parente di quel sistema di potere. Potremmo dire che l’universo Juve si è rammollito. La difesa pubblica dei bianconeri è affidata a influencer che possiamo serenamente definire poco presentabili. Lo scadimento è evidente. Siamo lontani anni luce da Mughini che per anni in tv con intelligenza e sarcasmo si immolava alla causa anche negli anni bui di Calciopoli. Oggi la galassia juventina è di terza fascia.

 

Sì talvolta viene intervistato Sandro Veronesi ma i titoli non li sceglie lui, il suo pensiero viene annacquato. La Juve riflette gli Elkann che incarnano una presidenza immateriale. Non si dove siano. Né cosa facciano. Sono eterei. L’ambiente Juve ha perso peso specifico. Da Boniperti a Giuntoli, giusto per fare un esempio, il passaggio è traumatico. Giuntoli con la politica c’entra come Messner con il mare. Ma senza politica non vai da nessuna parte.

 

GIUSEPPE MAROTTA

DAL SISTEMA JUVENTUS AL SISTEMA INTER

Lo sa bene Giuseppe Marotta il grande tessitore. L’uomo che non a caso ambisce per sé a una carica istituzionale, non lo ha mai negato. Anzi. Marotta è un diplomatico di rango. Sa stare al mondo. Sa trattare con i media: in pubblico e dietro le quinte. E quando scoppia una grana, il suo lavoro sotterraneo si sente eccome.

 

Basta osservare quel che sta accadendo con la vicenda Spalletti-Inzaghi. Non si trova un rappresentante istituzionale che si sia pubblicamente schierato col ct della Nazionale che ha avuto l’ardire di rompere il corporativismo (molto border line con l’omertà) che contraddistingue il calcio italiano. E ha detto frasi condivisibili sulla telefonata tra Inzaghi e il capo ultras.

 

inzaghi spalletti

«Mai successo che qualcuno mi abbia chiamato per queste cose, è una novità che mi ha sorpreso. Perché poi non so quali siano stati i rapporti precedenti: uno ti telefona, non lo conosci, non hai mai avuto a che fare con lui, penso sia difficile poterci scambiare parole. Io rispondo a tutti, anche ai numeri che non conosco, ma poi so riattaccare». Non ci pare di aver letto Abodi o Gravina sulle parole di Spalletti. E dopo questo isolamento non ci stupirebbe se il ct facesse una mezza marcia indietro. (E infatti e’ accaduto).

 

spalletti

Oggi la Gazzetta dello Sport scrive di fuoco amico su Inzaghi, dando per assodato che il corporativismo (per non dire l’omertà) debba essere la regola numero uno del calcio italiano. La Gazza definisce Spalletti il ct col bazooka. Qua e là, sui social, sono riemersi video degli ultras a Castel Volturno ai tempi del Napoli. Vale la pena ricordare che Spalletti subì uno striscione a dir poco sgradevole al termine del primo anno: “La Panda te la restituiamo, basta che te ne vaje”. Col chiaro riferimento all’automobile che gli venne rubata il primo anno al Napoli.

 

Di errori ne ha commessi anche lui, ci mancherebbe. Ma non quell’incontro. Ce ne fu un altro. In piena battaglia tra De Laurentiis e gli ultras, dopo lo 0-4 in casa con il Milan, Spalletti disse che non sarebbe andato in panchina senza il tifo della curva. Dichiarazione che ebbe il suo peso nella famosa fotografia tra De Laurentiis e gli ultras. Fotografia fortemente caldeggiata anche dalle istituzioni che temevano violenze nella festa scudetto (eravamo già ai preparativi).

 

SPALLETTI INZAGHI

Senza tregua con il tifo organizzato, il presidente sarebbe stato individuato come responsabile unico della eventuale eliminazione in Champions. Eliminazione che avvenne ugualmente, anche col tifo. Ovviamente. Spalletti sbagliò e a nostro avviso sbagliò perché era in piena contrapposizione con De Laurentiis.

luciano spalletti foto mezzelani gmt019

 

 Quando non si è lucidi, si commettono errori. Ma Spalletti fu anche l’uomo che da solo, da solo, fronteggiò la folla che contestava nell’estate che precedette lo scudetto, quella in cui andarono via Mertens, Insigne. Koulibaly, Fabian Ruiz.

 

Nessuna santificazione. Ma Spalletti ha squarciato un velo. E oggi il silenzio sulle sue frasi sono eloquenti sia dell’imbarazzo del calcio italiano che non sa che pesci pigliare, non sa come muoversi e quindi fa finta di niente, fischietta, si gira dall’altra parte; sia del potere dell’Inter che oggi è un club che sa come muoversi, ha tifosi eccellenti pronti a dire la loro, abile a districarsi nelle maglie del potere.

 

È un merito, sia chiaro. E stiamo riconoscendo un cambio della guardia, un avvicendamento nella gerarchia del potere. Lasciamo agli ingenui la libertà di credere che il calcio si decida esclusivamente durante i cento minuti delle partite.

 

 

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