1. IN QUEST’ITALIA CHE CAMBIA TROPPO IN FRETTA, SOLO RAFFAELE CURI SEMBRA NON ACCORGERSENE, I SUOI SPETTACOLI SONO L’UNICO BALUARDO DELL’IMMUTABILE CAFONAL ROMANO, L’UNICA SPREGIUDICATA RIVENDICAZIONE DI INCARNARE L’ASSENZA DI SIGNIFICATO DELLA SOCIETÀ MODERNA, O IL SUO NONSENSO BAGNATO DA MESSAGGI PSEUDO CRIPTICI 2. EVVAI CON MUSICHE POP A BOMBA, I SOLITI ATTORI COL PISELLO ALL’ARIA E ATTRICI DESNUDE, MASSIME INCONGRUE PROIETTATE QUA E LÀ, FIGURANTI SENZA CAPO NÉ CODA 3. IN VERITÀ, NEL DELIRIO DI UNA ROMA CHE AMA I MARZIANI DA SFOTTERE, UN CURI È VENUTO AVANTI: ECCOLO IN UN RADIOSO ALBUM DI PRE-SELFIE, EGO-MULTIPROIETTATO VICINO A UN INCONSAPEVOLE CARLO D’INGHILTERRA, VISPO VICINO A DE SICA O A KEN RUSSEL 4. QUESTA VOLTA AL SUO FIANCO AVEVA IL PREMIO OSCAR VIVENTE, DANTE FERRETTI, NEL RIUSCITO TENTATIVO DI TRASFORMARE UN MARE DI PROVINCIA IN UN “OCEANO ADRIATICO”

Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia

Video di Veronica Del Soldà per Dagospia


DAGOREPORT

Da anni gli spettacoli di Raffaele Curi, detto Effendi per la sua abbronzatura esotica e il suo legame con Fendi, sono seguiti da un'affezionata platea. A Roma dove, come diceva Flaiano, anche un marziano dopo poco perde le sue attrattive, Curi cerca di ipnotizzare il suo pubblico con un geniale stratagemma: fare ogni anno uno spettacolo drammaticamente identico a quello precedente - ma sempre audacemente privo di senso - in cui l'inconsistenza viene celebrata grazie all'insistita ripetizione degli stessi motivi riproposti in chiavi solo in apparenza diverse. Ed era proprio questo a ipnotizzare gli spettatori: prima il timore che Curi avesse introdotto un significato qualunque e poi la rassicurante certezza che nulla era cambiato.

In quest'Italia che cambia troppo in fretta, solo Curi sembra non accorgersene, i suoi spettacoli sono l'unico baluardo dell'immutabile, l'unica spregiudicata rivendicazione di incarnare l'assenza di significato della società moderna, o la pretesa sua ignoranza sottolineata da messaggi pseudo criptici.

Solo una volta, in quel paradisiaco ritorno dell'identico si era insinuata una nota allarmante, la riproduzione delle pagine di calcolo di Einstein. Il pubblico si era subito diviso in due categorie. Quella di chi cercava di ignorare quel conturbante segnale, sicura della capacità di ripetersi di Curi. E quella di pochi, cui aveva dato voce un nobile romano: "E che vo' dì? Quer che diceva Einstein: Vieni avanti cretino!"

Oggi sappiamo che era l'interpretazione giusta. Apparentemente lo spettacolo di Effendi Curi era identico al solito. Musiche banali - si dice pop - a bomba, i soliti attori e attrici nudi, massime incongrue proiettate qua e là, figuranti senza capo né coda. Invece dopo un po' il messaggio di Einstein si è avverato, Curi è venuto avanti. E da uno eccolo diventare trino: direttore artistico, regista e quest'anno anche protagonista: in un radioso album di pre-selfie, eccolo ego-multiproiettato vicino a un inconsapevole Carlo d'Inghilterra, vispo vicino a de Sica o a Ken Russel, elegante compagno di Menotti. Solo Nureyev sembrava consapevole della presenza del biondo maceratese, a giudicare dallo sguardo tetro e spazientito.

Questa volta al suo fianco aveva il premio Oscar vivente, Dante Ferretti. Una conturbante proiezione, faccione contro faccione, aveva fatto notare al pubblico la sorprendente somiglianza tra Curi e Ferretti: sarebbe bastato spostare sul cranio pelato di Ferretti il biondo toupet di Curi e la loro gemellanza sarebbe stata evidente.

"Sono ancora un bambino, mi diverto con poco", ha confessato Curi in una delle tante interviste. E, se non si considerano i soldi spesi dalla sua Mecenate, è proprio vero, si diverte davvero con molto poco. Curi non è mai cresciuto. Ed è questo che incanta il suo pubblico che da tanti anni non si aspetta nulla da lui. Nulla se non, come recita il titolo, un "Oceano Adriatico", un mare di provincia che si crede un oceano.

2. FERRETTI: ‘TROPPA COCAINA NEL LUPO DI WALL STREET? MA QUALE COCA, ERA BOROTALCO'
Simonetta Robiony per ‘la Stampa'

Dante Ferretti, il nostro scenografo più famoso, cinque candidature e tre premi Oscar oltre a una infinità di altri riconoscimenti, ha già fatto tutto: film italiani e americani, opere liriche, allestimenti museali, collaborazioni a mostre, ma il drammaturgo no, questo non l'aveva mai fatto. Fino a oggi: è infatti in scena prodotto dalla Fondazione Alda Fendi e ideato e diretto dall'amico regista Raffaele Curi, Oceano Adriatico, spettacolo di ricordi, emozioni, suggestioni, pensieri di Ferretti.

Lo spettacolo ripercorre, con pezzi di filmato e scene recitate, pezzetti di vita di Ferretti all'insegna di una frase che ne è anche il simbolo: «Ho messo l'infanzia in tasca e vado avanti», quello che il nostro scenografo ha fatto e fa nella sua vita caotica, piena di impegni e lavori, descritti con la semplicità di un artigiano, un dono ormai sempre più raro.

Dunque, Ferretti, per una volta recita?
«Per carità, faccio lo spettatore. Fortunatamente la mia brutta faccia di vecchio si vede pochissimo nel filmato: al posto mio Curi ha scelto un bambino, bellino assai. E mi fa piacere».

Allora cosa c'è di suo in Oceano Adriatico?
«I ricordi. La vita a Macerata. I tanti film visti la mattina quando saltavo la scuola dove andavo malissimo. I soldi che rubavo dalle tasche di mio padre per comprare il biglietto. Le estati passate su una panchina, con gli amici, a sbirciare le pellicole da un finestrone basso che ce le faceva vedere a metà. Il mare che non è l'oceano ma che è sempre segno di libertà e di futuro».

Cosa l'affascinava del cinema?
«Quello che sta intorno agli attori. Tutti i ragazzini vorrebbero diventare un divo. Io no. Volevo lavorare a costruire un film, ma non sapevo come fare. Un conoscente mi spiegò cos'era la scenografia. Da allora la mia vita è cambiata».

E infatti, a 18 anni decide di trasferirsi a Roma all'Accademia di Belle Arti, dove parte la sua fantastica carriera. Otto film con Pasolini, cinque con Fellini, otto con Scorsese....
«A Fellini che mi voleva subito dopo Satyricon gli chiesi di aspettare dieci anni: lo adoravo ma avevo paura che se avessi sbagliato qualcosa, sarei stato rovinato per sempre».

Di Pasolini non aveva paura?
«No. Ci capimmo subito».

E di Scorsese?
«È un uomo buono e generoso, Martin, anche se gira spesso film duri e crudeli. Adesso parto per Taiwan dove sono già andato tre volte per i sopralluoghi: presto Scorsese comincia a girare Silence, la storia di un gruppo di gesuiti che nel 600 pensavano di convertire al cattolicesimo i giapponesi e invece finirono crudelmente uccisi dai giapponesi disposti a tutto per difendere la loro identità».

L'ultimo film di Scorsese con Di Caprio, però, non l'ha fatto lei?
«E no, ero già impegnato con Silence: ci vogliono anni per far bene le cose».
Non c'era troppa cocaina?
«Ma quale cocaina! Era borotalco».

Progetti italiani?
«Ho detto di sì all'Expo di Milano. Mi occuperò di una strada».

Che c'è di bello in una strada?
«Non potevo tirarmi indietro: l'Expo è una grande occasione per l'Italia. Possiamo far vedere tutto quello che siamo capaci di creare, mica solo mozzarelle! Ho immaginato delle enormi statue, di quattro, cinque metri ispirate all'Arcimboldo, quel pittore che faceva ritratti con frutta e ortaggi. Farò lo stesso».

 

 

 

Vittorio Sgarbi in dolce compagnia Tutti a mangiare i Maccheroncini di Campofilone Tutti a mangiare i Maccheroncini di Campofilone Tutti a mangiare i Maccheroncini di Campofilone Tutti a mangiare i Maccheroncini di Campofilone Tutti a mangiare i Maccheroncini di Campofilone Tutti a mangiare i Maccheroncini di Campofilone Tutti a mangiare i Maccheroncini di Campofilone Spettacolo Oceano Adriatico Spettacolo Oceano Adriatico

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