gursky

CLIC! DOPO 2 ANNI RIAPRE LA HAYWARD GALLERY A LONDRA CON UNA GRANDE RASSEGNA SU ANDREAS GURSKY, UNO DEI PIU’ GRANDI FOTOGRAFI DEGLI ULTIMI 30 ANNI – RIELLO: ''MINIMAL E POP ART SI FONDONO NELLO SCATTO DEL MAGAZZINO DI AMAZON A PHOENIX'' - LA FOTO DEL PORTO DI SALERNO CHE HA CAMBIATO LA SUA CARRIERA – VIDEO

 

Antonio Riello per Dagospia

 

andreas gursky pyongyang VI

Dopo essere stata chiusa per circa due anni la Hayward Gallery ha appena riaperto i battenti, completamente ed energeticamente rinnovata. Il direttore di questa istituzione, situata a Sud del Tamigi vicino al National Theater, e nota a Londra soprattutto per l’indipendenza coraggiosa delle sue scelte, è attualmente Ralph Rugoff (lo stesso Rugoff che è stato da poco nominato Direttore della Biennale Arti Visive di Venezia 2019).

 

La riapertura è avvenuta con una grande retrospettiva che copre più di trent’anni dell’attività professionale di Andreas Gursky.  Nato a Lipsia nel 1955 (allora Germania dell’Est) si è formato, prima nello studio fotografico dei genitori e poi, sotto la feconda direzione di Bernd e Hilla Becher, all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf. La cosiddetta “Scuola di Düsseldorf” ha in effetti sfornato parecchi altri importanti artisti-fotografi di livello internazionale, tra i quali Thomas Struth, Candida Höfer, Axel Hütte e Thomas Ruff (al quale la WhiteChapel Gallery, sempre qui a Londra, ha recentemente dedicato una grande rassegna terminata il 21 Gennaio 2018).

 

andreas gursky amazon centre phoenix

Tutti conosciamo Gursky per essere stato fin dalla metà degli anni novanta il geniale testimone fotografico della produzione di massa e dei grandi accumuli di oggetti e beni di consumo. “Salerno” (1990) ha rappresentato, secondo l’artista, proprio il lavoro che ha inaugurato questa sua attitudine. La foto, ripresa dall’alto, mostra la banchina del porto di Salerno piena zeppa di merci varie e containers. Un luogo reale e dei prodotti veri si trasformano in una composizione quasi astratta di forme e colori. La distanza dell’obiettivo rende la situazione quasi irreale (o perlomeno in qualche modo “artificiale”). Sembra un pavimento dove un bambino giocando abbia disposto ordinatamente tutte le proprie automobiline.

 

In “Prada II” (1997) sono gli oggetti della Moda e il loro display (ovviamente assai familiari) a trasmutare in qualcosa di strano ed alieno. C’è anche un altro celebre scatto che mostra un magazzino di Amazon, a Phoenix, strapieno di roba: Minimal e Pop Art sono vi sono generosamente mescolati, con una bella dose di arte ed astuzia.

 

andreas gursky

Nello stesso ambito concettuale notevole anche la serie di lavori che riprende, sempre da prospettive a “volo d’uccello”, l’ambiente di Wall Street e di altre Borse (Tokyo, Chicago e Hong Kong). Visioni di mondi affollatissimi ed estremamente indaffarati, metafore visive di una finanza caotica e autoreferenziale, realtà che si preferisce pensare possano esistere solo nella fantasia inesauribile degli artisti. “Tokyo, Stock Exchange” (1990) ne è un ottimo esempio.

 

Gursky, nelle sue animate folle, anche quando si tratta semplicemente dei partecipanti ad un rave party come nel caso di “May day IV” (2014), sovrappone sempre diversi livelli di microstrutture e macrostrutture finemente intrecciate tra loro. Un indeterminato, ma reale, principio di organizzazione dinamica ne emerge decisamente visibile e riconoscibile.

 

riello

I lavori frutto del soggiorno dell’artista a Pyongyang, capitale della Korea del Nord, sono probabilmente quelli più “documentaristici” della mostra, ma non certo i meno affascinanti. “Pyongyang VI” (2007) riproduce le classiche celebrazioni di piazza delle dittature di stampo orientale con decine di migliaia di persone che interagiscono ordinatamente tra loro per formare enorme immagini e scritte inneggianti al regime. Anche se già viste, sono visioni che rimangono sempre impressionanti e in qualche modo particolarmente preoccupanti.

 

La tecnologia ha sempre avuto un impatto significativo nelle scelte espressive degli artisti rendendo disponibili, di volta in volta, mezzi e tecniche che hanno consentito di costruire linguaggi inediti. L’artista tedesco ha saputo sfruttare e portare alle estreme conseguenze tutte le potenzialità della stampa su carta di grande formato (negli anni novanta appena messa a punto) per mostrare icasticamente il concetto stesso di “grande quantità” (non importa se il soggetto siano cose o persone). Alla Hayward ci sono in verità anche opere di dimensioni ridotte, ma il “grande formato” rimane comunque una delle sue cifre stilistiche più riconoscibili.

 

andreas gursky

Fin dall’inizio della carriera Gursky parte ad esplorare le relazioni esistenti tra l’ambiente naturale e l’attività antropica. La foto “Mülheim, Anglers” (1989), rappresenta con esattezza questo spirito. L’artista definiva in quegli anni se stesso come uno che produceva “interpretazioni di luoghi”, dichiarando apertamente di non essere un reporter obiettivo della realtà ma piuttosto un manipolatore della stessa, animato paradossalmente dallo lo scopo di “renderla più vera”. La post-produzione e l’uso di strumenti digitali sono sempre stati per lui altrettanto importanti che la qualità dello scatto stesso. “F1 Pit Stop” (2007) ben esemplifica qui l’idea di una sofisticata ed intelligente “photoshoppata”.

 

L’architettura è sempre stata una altra ossessione di Gursky, sempre disperatamente alla ricerca, nel caos delle immagini, della presenza di strutture ordinate e stabili per mantenere (non importa se solo illusorio e temporaneo) un certo grado di controllo sulla realtà.

 

“Kamiokande” (2007), è una foto particolarmente suggestiva scattata all’interno di una gigantesca grotta piena di acqua sotto il monte Ikeno, in Giappone, adibita a laboratorio scientifico per osservare i neutrini. Un’immagine in bilico tra immaginario fantascientifico (è piena di intrichi di tubi e di complicate apparecchiature di misura) e visione romantica (si intravede, in lontananza, una persona su una fragile e piccola barchetta che sta a galla sul lago sotterraneo). “Paris, PCF” (2003) invece suggerisce sapientemente schemi e pattern dove di fatto non ci sono (siamo nella sala principale della sede del Partito Comunista Francese). “Paris, Montparnasse” (1993) enfatizza e potenzia una architettura residenziale rendendola una compatta costruzione ideale. “Darkroom” (2016) infine riprende in modo diverso, e forse ancora più visionario, lo stesso tema.

may day IV andreas gursky

 

Alcune recenti foto prese dal satellite, “Antartica” (2009) fanno invece forse un po’ troppo “National Geographic”: sono stranamente quasi banali rispetto al resto e viene da chiedersi come mai siano state incluse nella mostra, della quale costituiscono certamente la parte più debole.

 

Gursky infine ha provato recentemente anche ad interrogarsi sulle nuove forme esistenziali della fotografia: lo smartphone e i relativi social. Il risultato resta ambiguamente confuso, sebbene in maniera estremamente interessante. L’opera “Utah” (2017) racchiude in sé tutte i dubbi e le incertezze del mezzo fotografico di questi ultimi anni. Verrebbe da dire che oggi “fotograficamente tutto sembra finto, mentre invece è drammaticamente vero”, a differenza di un tempo, quanto era quasi sempre vero l’opposto. La “magia” della fotografia contemporanea sta adesso esattamente in questa (apparente e sorprendente) contraddizione.  

 

 

Hayward Gallery, SouthBank Centre

337-338 Belvedere Rd, Lambeth, Londra SE1 8XX

25 Gennaio – 22 Aprile 2018

 

 

andreas gursky

 

 

 

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