DIO SALVI PIERO TOSI: IL RITORNO NELLA MISCHIA DEL PIÙ GRANDE COSTUMISTA ITALIANO

Anna Bandettini per "la Repubblica"

L'eccesso di entusiasmo quando si parla dei suoi leggendari costumi gli sembra sproporzionato. «Non sia troppo celebrativa, mi raccomando», avverte Piero Tosi congedandosi dopo due ore di ricordi, aneddoti, memorie. La sua vita artistica ha accompagnato la storia del cinema italiano dalla prima fila: è il più celebre e osannato costumista e scenografo italiano, il più imitato nel mondo, un misto di intelligenza, cultura, prudenza artigiana.

Sua l'idea del tailleur bianco "vissuto" di Anna Magnani in Bellissima; frutto della sua pazienza gli imperiosi abiti del Gattopardo, sempre di Visconti; sua l'invenzione del pantalone con le bretelle sul petto nudo di Charlotte Rampling in Il portiere di notte di Liliana Cavani icona di ogni deviazione sadomasochista.

Ora, a 86 anni questo ometto magro, elegante, misurato, in pensione da tempo, con l'unico impegno di docente al Centro Sperimentale di Roma (dove fino a pochi mesi fa arrivava in metrò), è tornato a lavorare: ha realizzato i costumi del Matrimonio segreto al Festival Spoleto dal 29 con la regia di Quirino Conti che di lui dice una cosa bellissima: «avendo conosciuto gli dei, è di una umiltà sovrana».

A convincere Tosi è stata l'amica Carla Fendi, mecenate del festival umbro, che gli siede accanto nel piccolo, sobrio salotto della casa romana di lui e con devozione appassionata ricorda quanto questo artista che lei ha conosciuto quando era stilista, sia avvinghiato a una stagione della cultura italiana segnata da un'alchimia di intelligenze, personalità,
creatività. «Un altro mondo -dice Tosi- Ecco perché è una pazzia tornare a lavorare, sfidando, per di più, gli acciacchi della vecchiaia. Io, poi, sono un ‘cacadubbi'. Ci sono artisti che hanno solo certezze e Visconti era uno di questi. Fellini invece era cinque ‘cacadubbi'».

Le mancano?
«Con Visconti ho fatto tutto. E quanto a Fellini c'era un grande amore. Con lui dovevamo fare, Rotunno, De Laurentiis e io Il viaggio di G. Mastorna, il film che non realizzò mai, per i dubbi e perchè parlava di morte di cui aveva terrore. Mi ricordo solo un provino con Marcello Mastroianni, bellissimo come non mai e di alcune scenografie che devono essere ancora lì, abbandonate in qualche teatro di posa. Mi mancano sì, perchè oggi si è spento un po' tutto. Il Novecento è stato un secolo bruttissimo, ma per l'arte, la letteratura, il cinema vivace, ricco di personalità, non solo d'ingegno. Ho conosciuto persone anonime incantevoli».

Qual era il segreto?
«La bottega che è il segreto dei grandi momenti creativi. Luoghi, occasioni in cui ci si incontra, si conversa. Le nostre botteghe erano i caffè, i ristoranti intorno a via del Corso: da Luciano in via della Croce, da Cesarina sedeva tutto il cinema. Sa quante idee tra quei tavoli».

È stato felice?
«Dubbioso come sono, ogni costume era tormenti infiniti, per me. La scelta del materiale, per esempio, per un costume è tutto. Io i pezzetti di stoffa me li portavo a letto e passavo la notte toccarli e ritoccarli per capire se andavano bene. Non le dico quando poi l'attrice doveva indossare il vestito che mi era costato sofferenze... Un costume deve dare il quid del personaggio. Nel Matrimonio segreto, per esempio, ogni abito è il carattere del personaggio: il vecchio padre avrà una giamberga tutta d'oro perché è la ricchezza, le due figlie cresciute per mariti ricchi, saranno due bon bon con glassa rosa e verde ....»

L'invenzione di cui va più orgoglioso?
«Il Gattopardo: un lavoro di autentica filologia. Ma l'illuminazione è stato il Portiere di notte vestendo Charlotte Rampling che era bellissima, per fare Salomè col pantalone militare tenuto su dalle bretelle sul piccolo seno nudo meraviglioso, un paio di guanti feticisti e il capello da SS».

Il suo attore preferito?
«Farei dei torti, ma la Loren... Nel ‘53 girava Ci troviamo in galleria di Bolognini, non era ancora nessuno. Per arrivare sul set attraversò via del Corso e il traffico si fermò. Lei, avvertiva quando gli occhi puntavano a lei, ma ci metteva ironia perchè non aveva dimenticato le sue umili origini. Ancora oggi è una timida».

La più facile da vestire?
"Se dico la Mangano poi senti Sophia! Ma a Silvana mettevi addosso una cosa qualsiasi e diventava un giglio. Era una donnina semplice, chiusa, una Rina Morelli. Odiava essere la 'bona' di Riso amaro. Ma che eleganza. La pelliccia di volpe di Ritratto di famiglia su di lei prendeva il volo».

E Anna Magnani?
«Avevo 21 anni e non avevo mai lavorato nel cinema. Zeffirelli mi aveva presentato a Visconti che mi aveva chiamato per Bellissima; la Magnani me la ricordo davanti allo specchio, provava il costume con le mani sulla pancia "qui mi ci vorrebbe una parannanza", diceva a se stessa. Perché lei era così parlava come se il suo fosse sempre un ragionamento interiore, ad voce alta».

Che ne è dei suoi costumi?
«Li ha la sartoria Tirelli, oggi guidata da Dino Trappetti. Tirelli tentò disperatamente di aprire un museo a Roma: io restaurai anche i costumi ma non se ne fatto niente e credo che ora siano buttati in una serra dove forse ci piove anche. Peccato. Continueranno altri a fare costumi. Gabriella Pescucci, Maurizio Millenotti, Milena Canonero tutti bravissimi, l'inglese James Acheenson. Io sono stato generoso con gli altri colleghi. Ho sempre lasciato spazio. Anche ai giovani. Per ilMatrimonio ho voluto accanto a me una ‘allieva', Santina Cardile. Mi son sempre detto che bisogna avere buoni rapporti con tutti. Se no, sai quante vipere avrei avuto addosso».

 

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