
TUTTO È MEME QUEL CHE FINISCE MEME – A COSA E' SERVITA L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NEL NOSTRO PAESE? A CREARE GLI “ITALIAN BRAINROT”, GLI ANIMALETTI ANTROPOMORFI I CUI VIDEO-MEME SONO DIVENUTI UN FENOMENO INTERNAZIONALE -PER QUALCUNO, È ADDIRITTURA IL "PIÙ GRANDE CONTRIBUTO DELL’ITALIA ALLA CULTURA MONDIALE" - GLI "ITALIAN BRAINROT" HANNO GENERATO UN EFFETTO A VALANGA SUI SOCIAL E UN INDOTTO SENZA FINE: GADGET, TATUTAGGI, MAGLIETTE, VIDEOGAMES, CARTE DA GIOCO - UN SISTEMA PERVERSO CHE COINVOLGE ANCHE VIP, SOCIETA', AZIENDE: TUTTI A RILANCIARE QUESTI VIDEO ASSURDI PUR DI “STARE NEL TREND” - VIDEO!
TUTTO È MEME QUEL CHE FINISCE MEME
Alessandro Berrettoni e Riccardo Panzetta per Dagospia*
con la collaborazione di Ascanio Moccia
trallallero trallalla italian brainrot 1
L’intelligenza artificiale doveva rivoluzionare il mondo, stravolgere le nostre esistenze, ribaltare i canoni della vita umani ma, finora, si è rivelata poco più di uno strumento di cazzeggio. S'è annunciata come trasformazione epocale, si è ridotta in farsa.
Smanettoni di ogni latitudine usano l'IA per creare foto, video e meme di ogni tipo in una rincorsa senza senso all'ultimo like. Una stupidera collettiva con lo sguardo alla viralità. A che pro, non si sa.
L'ultima "genialata" prodotta dai perdigiorno del web è l'universo animato degli "Italian brainrot". Si tratta di personaggi immaginari, creature fantastiche dalle fattezze umane, creati con l'intelligenza artificiale.
Uno squalo con le sneaker, una ballerina con la testa a forma di tazza di cappuccino, un elefante-cactus con le ciabatte, un troll con il corpo a forma di albero, un tronco animato con un randello in mano. Questi mostriciattoli antropomorfi dai nomi improbabili (“Ballerina cappuccina”, “Cannelloni dragoni”, “Tungtung tung sahur”) sono accompagnati da una voce che ripete frasi senza senso, a volte offensive o addirittura blasfeme.
Il successo di questo "marciume cerebrale" (è la traduzione di "brainrot") non si sa dove nasca: nessuno è in grado di ricostruire le origini del fenomeno e capire quale sia il “gene originario”, come l’avrebbe chiamato il biologo Richard Dawkins, inventore del concetto di “meme” nel 1976 (ben prima che nascessero internet, i social o TikTok).
Il concetto di “brainrot”, il “marciume celebrale”, già nel 2024 era stato scelto dall’Oxford English Dictionary come parola dell’anno.
Si tratta di quel "declino" delle nostre capacità cognitive dovuto a un consumo eccessivo, tramite scroll compulsivo, di contenuti demenziali che hanno effetti nefasti per il cervello.
Una "droga" che tutti coloro che aprono TikTok, almeno una volta al giorno, conoscono bene. Un mix tossico di dopamina e senso di colpa: sappiamo che è sbagliato, ma non possiamo fare a meno di "consumarlo".
In un momento indefinito, qualcuno ha lanciato sui social il primo video della serie, divenuta successo planetario: animaletti-antropomorfi con un voice-over in italiano. E fu subito “Italian brainrot”. Un contagio immediato, pervasivo, esponenziale che ha innescato effetti emulativi e di condivisione incredibili. E forse mai visti, con questa portata.
Come sintetizza Francesco Gerardi sul sito di “Rivista Studio”:
“Italian Brain Rot, ormai si pronuncia tutto attaccato: immagini e testi così inutili, così stupidi, così offensivi che ovviamente sono diventati ossessione collettiva.
Dall’inizio del 2025, filologi improvvisati cercano di risalire all’origine di tutto, di trovare il paziente zero che per primo è stato contagiato da questa malattia.
Di sicuro c’entra TikTok […]. Pare sia tutto cominciato da profili italiani, ma vai a sapere. Ma chi ha avuto l’idea? Chi ha generato le immagini? Chi ha scritto i testi? Chi si è inventato i nomi? E perché, soprattutto?”
trallallero trallalla italian brainrot
[…] “Ovviamente, una spiegazione non esiste, inutile andare a cercare una frasetta di Umberto Eco che spieghi l’Italian Brain Rot da un punto di vista semiotico.
«Cannelloni Dragoni, il drago di pasta che brucia città con la besciamella infernale. Volaaaaa sopra Napoli, sputa ricotta bollente e cuoce i nemici dentro il forno del destino», racconta la voce, mentre nell’immagine Cannelloni Dragoni dispiega le sue ali fatte di maccheroni e, per chissà quale ragione, cosparse di sugo. Persino Eco si sarebbe arreso, qui.
cappuccino assassino e ballerina cappuccina italian brainrot.
L’italian Brain Rot potrebbe segnare la fine della post-post (forse bisognerebbe aggiungerci un altro post?) ironia di internet, il momento in cui la rete taglia definitivamente i ponti con la realtà e accetta – ammette – di essere ciò che tantissimi già la ritengono: un incubo, un’allucinazione, una realtà parallela nel multiverso della follia, abitata da mostri che ricordano vagamente gli esseri umani, da creature che lontanamente suonano come persone, piena di tutte le parole e vuota di ogni senso”.
Un’esagerazione? Forse, ma è vero che l’italian brainrot è una specie di caso di scuola limite, ultima de-generazione della teoria dei meme. È la prova definitiva di quello che tentava di spiegare il già citato biologo, e visionario, Richard Dawkins.
Era il 1976 e Dawkins, “entusiasta darwiniano”, ebbe un’intuzione geniale. Come si legge su Treccani Magazine:
“Dawkins propone un nuovo modo di guardare all’evoluzione che consideri come unità fondamentale della selezione non la specie o l’individuo, bensì il gene […].
[…] tenta un’analogia tra quanto avviene nell’evoluzione genetica e quanto avviene in quella culturale: si chiede cioè se sia possibile scoprire delle affinità tra i due meccanismi, e introduce dunque tale nuova nozione mutuata dal greco mimeme (‘imitazione’) che abbrevia seduttivamente per assonanza in meme.
Così egli scrive: «Proprio come i geni si propagano nel pool genetico saltando di corpo in corpo tramite spermatozoi o cellule uovo, così i memi si propagano nel pool memico saltando di cervello in cervello tramite un processo che, in senso lato, si può chiamare imitazione» (p. 201). I memi sono per esempio mode, concetti scientifici, brani musicali, o persino l’idea di Dio […].”
maglietta su trallallero trallalla italian brainrot
Ma soprattutto, i meme, che “si propagano saltando di corpo in corpo”, sono oggi gli italian brainrot.
Un meccanismo che si autoalimenta e che, secondo alcuni, è il “più grande contributo dell’Italia alla cultura mondiale”. Sicuramente, lo è per dimensione e eco. Dai brainrot sono nate magliette, carte in stile Magic, tatuaggi, ben due (forse tre) videogiochi, e ovviamente una meme-coin.
Un "multiverso" paragonabile al mondo Marvel, con spin-off, storie parallele (come la drammatica morte di Ballerina Cappuccina), intrecci, sequel, personaggi "collaterali" sempre nuovi. Compreso un b-universe che utilizza i mostriciattoli per parodie sconce e al limite dell'hard.
Per la logica perversa degli algoritmi, il fenomeno è destinato a espandersi. Come un Leviatano sempre più grande e più affamato. Ogni volta che qualcuno visualizza, condivide o mette like a uno di questi video-meme non fa che alimentarne il successo e a promuoverne la ripetizione da parte del software. In un loop auto-generato.
Nella spirale degli "Italian brainrot" sono finiti volti noti, società, aziende, vip, squadre di calcio: per ottenere visibilità sui social, sono “entrati nel trend", finendo per irrobustirne l'effetto a valanga. I social media manager hanno partecipato alla fiera dell'assurdo degli animaletti antropomorfi utilizzandoli per promuovere i loro contenuti.
L'esempio più assurdo è quello dell'account ufficiale del Partito Democratico americano, che per attaccare Elon Musk ha usato il celebre brainrot "Noooo, la polizia", senza accorgersi che l'audio culminava con una bestemmia.
Perfino il "boomer" Gerry Scotti, che sui social ha trovato una nuova giovinezza, per cavalcare l'onda dell'algoritmo di TikTok, ha pubblicato un video dove stila una classifica dei suoi “brainrot” preferiti. E pure il novello Papa, Leone XIV, è già finito "vittima" di una manipolazione in stile brainrot:
Quale possa essere il futuro sviluppo di un tale "marciume", è un mistero. Potrebbe evaporare nel nulla tra qualche mese e non sarebbe il primo meme a fare una fine simile.
Quel che resta, è l'incredibile "effetto moltiplicatore" avuto sugli utenti dagli "Italian brainrot": tutti si sono "messi al servizio" del fenomeno rendendolo uno tsunami.
Alla fine, questo "mostro" fagociterà se stesso? Come tutti i trend, ha una data di scadenza o riuscirà a "rompere" internet propagandandosi all'infinito? Ah, non saperlo...
2. L’ITALIAN BRAIN ROT È LA COSA PIÙ STUPIDA E INSPIEGABILE SUCCESSA SU INTERNET NEL 2025
Francesco Gerardi per www.rivistastudio.it
Per anni abbiamo pensato che a uccidere internet sarebbero stati i bot, le macchine, le intelligenze artificiali. Era scritto nella dead internet theory, che sarebbe andata così: un giorno internet sarà popolata più da macchine che da esseri umani, i “contenuti” li produrranno più le macchine che gli esseri umani, sarà impossibile capire chi è cosa, chi sta parlando a chi, come e perché, il senso e lo scopo delle informazioni scambiate.
Scopriamo oggi che la dead internet theory era sbagliata, almeno in parte: a uccidere internet non sono stati i bot ma gli italiani.
[…] Trallalero trallallà, parole che non ci si aspetta di sentire a un funerale. Eppure è così che comincia l’elegia funebre di internet: una filastrocca che inizia scema e prosegue blasfema, nel verso successivo ci sono due bestemmie, una contro il Dio giudaico-cristiano e l’altra contro l’Allah dei musulmani.
La voce che canticchia la filastrocca è quella voce androide che tutti ormai conosciamo e riconosciamo (si chiama Adam, è un prodotto di ElevenLabs pensato per dare una mano con il voice over a chi fa video di mestiere).
C’è anche un’immagine, che però non c’entra niente né con la voce né con la filastrocca. L’immagine ritrae un mostro, una chimera, un esperimento: è uno squalo antropomorfo, cammina sulla spiaggia appoggiandosi su tre zampe che sono gambe, a ogni piede una scarpa Nike azzurra con baffo bianco.
«Ero con il mio fottuto figlio Merdardo», prosegue la voce, prima di precipitare in un nuovo delirio. Non c’è ancora una filastrocca né un mostro dedicato a Merdardo né a Nonna Ornella, il cui salacissimo epiteto non posso qui riportare.
Brain Rot è una dicitura che esiste da un po’, anche da prima che l’Oxford English Dictionary la scegliesse come parola dell’anno 2024. Solo recentemente al brain e al rot è stato attaccato anche l’aggettivo italian.
Italian Brain Rot, ormai si pronuncia tutto attaccato: immagini e testi così inutili, così stupidi, così offensivi che ovviamente sono diventati ossessione collettiva. Dall’inizio del 2025, filologi improvvisati cercano di risalire all’origine di tutto, di trovare il paziente zero che per primo è stato contagiato da questa malattia. Di sicuro c’entra TikTok […]. Pare sia tutto cominciato da profili italiani, ma vai a sapere.
Ma chi ha avuto l’idea? Chi ha generato le immagini? Chi ha scritto i testi? Chi si è inventato i nomi? E perché, soprattutto? Persino i più incalliti shitposter – in origini e in purezza, lo shitposting era l’arte di mandare in vacca una discussione inondandola di contenuti senza scopo né senso – faticano a trovare una spiegazione.
«Bombardiro Crocodillo, un fottuto alligatore volante che vola e bombarda i bambini a Gaza e in Palestina», spiega ancora una volta la voce androide. Stavolta l’immagine ritrae un vecchio cacciabombardiere, al posto del muso ha la testa di un coccodrillo.
L’Italian Brain Rot è più di una tendenza, ormai. Lo potremmo definire fenomeno, se solo fenomeno non fosse una parola tanto abusata e tanto odiosa.
Su TikTok e Instagram, i video di Trallalero trallallà, di Bombardiro Croccodillo, di Lirilì Larilà (un elefante cactus che cammina nel deserto trascinandosi su due zampe e altrettanti sandali simil-Birkenstock, «la sua conchiglia è un orologio che fa tic tac […] arriva zio Ramon su una mongolfiera blu, gridando “ma che fai lì, ti piace pure il wifi tu») hanno accumulato milioni di visualizzazioni.
[…] Nelle wiki dedicate al Brain Rot (ci sono state anche pagine pubblicate su Wikipedia, i moderatori hanno dovuto fare un gran lavoro per rimuoverle tutte e subito), c’è una pagina-bestiario che raccoglie tutte le chimere generate dalla putrefazione del cervello italiano.
[…] Ovviamente, una spiegazione non esiste, inutile andare a cercare una frasetta di Umberto Eco che spieghi l’Italian Brain Rot da un punto di vista semiotico. «Cannelloni Dragoni, il drago di pasta che brucia città con la besciamella infernale. Volaaaaa sopra Napoli, sputa ricotta bollente e cuoce i nemici dentro il forno del destino», racconta la voce, mentre nell’immagine Cannelloni Dragoni dispiega le sue ali fatte di maccheroni e, per chissà quale ragione, cosparse di sugo. Persino Eco si sarebbe arreso, qui.
L’italian Brain Rot potrebbe segnare la fine della post-post (forse bisognerebbe aggiungerci un altro post?) ironia di internet, il momento in cui la rete taglia definitivamente i ponti con la realtà e accetta – ammette – di essere ciò che tantissimi già la ritengono: un incubo, un’allucinazione, una realtà parallela nel multiverso della follia, abitata da mostri che ricordano vagamente gli esseri umani, da creature che lontanamente suonano come persone, piena di tutte le parole e vuota di ogni senso.
È possibile che l’Italian Brain Rot altro non sia che uno specchio deformante: è così che gli esseri umani iniziano a vedere se stessi su internet, creature sproporzionate e sconclusionate, che semplicemente esistono e parlano.
D’altronde, cosa è meglio: usare l’AI per generare dei finti influencer affetti da Sindrome di Down e usare poi questi finti influencer per vendere pornografia ai gonzi (è successo davvero […])?
Oppure usare l’AI per spiegare che Pippobardo Sbombardone – un gigantesco ippopotamo robotico, con ali da cacciabombardiere e lanciamissili sul dorso – è il padre padrone e guerrafondaio di Bombardiro Crocodillo?
A confronto di tutti i modi certamente pericolosi e probabilmente criminali in cui l’AI è stata impiegata fin qui, l’Italian Brain Rot è innocua, persino benefica:
Brr Brr Patapim – una creatura «con le radici intrecciate e le gambe incrociate e il suo naso lungo come un prosciutto» – non vuole venderci nulla né convincerci di nulla, lui se ne sta per i fatti suoi a fare la guardia al suo bosco come un Ent tolkeniano, siamo noi che ci siamo ridotti al punto di guardare le figure e ascoltare le filastrocche pur di non pensare al mondo fuori e dentro internet.
In ogni caso, meglio Brr Brr Patapim delle celebrity che ti vogliono convincere a fare una full body scan da 2500 euro al San Raffaele.
[…]
C’è chi sostiene che il successo di questi mostriciattoli sia il segno che la disconnessione è l’unica salvezza possibile. Ma come con tutte le alternative rivoluzionarie, lo sappiamo che non è praticabile (i più onesti tra noi ammettono anche che non è desiderabile), è un proposito buono per gli accorati appelli e gli urgenti moniti.
Non a caso ne ha parlato pure Papa Francesco, durante il Giubileo del Mondo della Comunicazione (esiste davvero anche questo): a furia di scrollare, siamo tutti esposti al rischio di «marciume cerebrale», disse il Papa. Che, poverino, persino lui è stato vittima del Brain Rot […]
Date queste premesse (la maggior parte delle persone ha scoperto l’AI generativa guardando immagini del Papa con il Moncler e di un trippone che prendeva a calci in faccia un alligatore in una palude), davvero possiamo stupirci del fatto che oggi altrettante persone – magari fossero soltanto i Gen Alpha, come sostengono i precocissimamente rincoglioniti Gen Z – passino il tempo con Ballerina Cappuccina (“Ballerina Cappuccina è morta? Vi raccontiamo tutta la storia“, scrivono su Webboh), Chimpanzini Bananini, Trippi Troppi, Sovieto Elephino?
Certo questa melma di immagini, […] c’è il rischio, concretissimo, che infine copra tutta internet, seppellendola nella stupidità, immortalandola nell’idiozia. Ma credevamo davvero che la missione dell’AI generativa non sarebbe stata questa e che non sarebbe stata compiuta?
Credevamo davvero che l’invenzione dell’AI generativa avesse a che vedere col curare il cancro e abolire la povertà, come sostiene ancora quel paraculo di Sam Altman? L’AI Slop, di cui l’Italian Brain Rot è un sottogenere, è la versione ultrapotenziata dello spam: una rottura di coglioni di cui non ci libereremo mai, che sta venendo a prendersi i feed di tutti, e che al massimo possiamo trovare il modo di trasformare in umorismo come abbiamo fatto, appunto, con lo spam.
Nell’Italian Brain Rot c’è la verità, finalmente esposta, finalmente realizzata, di questa parte della quinta rivoluzione industriale: l’obiettivo è rimuovere finalmente la punizione collettiva che la natura ci ha inferto quando ci ha assegnato, unici nel Regno animale, il potere del pensiero. Come si fa a pensare, d’altronde, se tutto quello che riesci a sentire nella testa è una voce androide che ripete, all’infinito, trallalero trallallà.
3 - DI MEME IN MEME
La parola meme, come molti ormai sanno, è un neologismo introdotto per la prima volta nel 1976 dal biologo ed “entusiasta darwiniano”, come egli stesso si definisce, Richard Dawkins, nel suo volume divulgativo Il gene egoista.
In esso Dawkins propone un nuovo modo di guardare all’evoluzione che consideri come unità fondamentale della selezione non la specie o l’individuo, bensì il gene e, nel capitolo 11, intitolato Memi: i nuovi replicatori, tenta un’analogia tra quanto avviene nell’evoluzione genetica e quanto avviene in quella culturale: si chiede cioè se sia possibile scoprire delle affinità tra i due meccanismi, e introduce dunque tale nuova nozione mutuata dal greco mimeme (‘imitazione’) che abbrevia seduttivamente per assonanza in meme.
foto di papa francesco create dall intelligenza artificiale 2
Così egli scrive: «Proprio come i geni si propagano nel pool genetico saltando di corpo in corpo tramite spermatozoi o cellule uovo, così i memi si propagano nel pool memico saltando di cervello in cervello tramite un processo che, in senso lato, si può chiamare imitazione» (p. 201). I memi sono per esempio mode, concetti scientifici, brani musicali, o persino l’idea di Dio […].
Bisogna dire che questo estremo riduzionismo proposto dal biologo britannico non ha avuto un grande seguito nelle scienze sociali, in quanto troppo astratto […]
foto di papa francesco create dall intelligenza artificiale 16
Molta più fortuna il termine ha avuto nel suo uso in Internet , in cui ha perso il suo significato originale di “unità culturale minima”, divenendo invece un particolare oggetto virtuale assai più definito e specifico.
Sembra che ad applicarlo per la prima volta a un fenomeno della rete – ma non ancora a quello attuale – sia stato Mike Godwin, un avvocato appassionato di tecnologia, che in un articolo apparso su Wired nel 1994 […] definiva un “meme” il fatto che nel corso di ogni discussione on-line prima o poi saltasse fuori un paragone con Hitler e i nazisti, e raccontava di aver sperimentato […] l’uso di un “contro-meme”: ogni qualvolta qualcuno in un dibattito on-line tirava fuori quel “meme”, lui enunciava la cosiddetta legge Godwin, secondo la quale «A mano a mano che una discussione on-line si prolunga, la probabilità di un paragone riguardante i nazisti o Hitler tende a 1» – sappiamo che la legge di Godwin gode di una certa notorietà, ma non se sia riuscita a spazzare via quel meme antipatico.
Tuttavia, ancora non si trattava di un meme come è inteso oggi, ma piuttosto di un cliché insensato, di una banalizzazione efficace perché particolarmente offensiva e perciò contagiosa.
donald trump in versione papa leone xiv - meme creato con l'intelligenza artificiale
Il diffondersi del meme su Internet come inteso oggi, quella serie di immagini, o gif, o video diffusa in rete in modo virale e in continue variazioni, che ha raggiunto forme tanto raffinate da essere paragonata da alcuni a un’espressione d’arte, risale invece agli anni Duemila. Il carattere precipuo dei memi su Internet non è tanto la viralità, quanto il fatto che la loro trasformazione da replica in replica sia la loro essenza più profonda.
Come constatava forse un po’ stupito lo stesso Dawkins in un’intervista del 2013, mentre i “suoi” memi da un passaggio all’altro si modificavano, sì, ma in una logica darwiniana casualmente, in questi memi su Internet «non vi è alcun tentativo di accuratezza da una copia all’altra».
Tutto al contrario, l’accuratezza è nella variazione: il meme su Internet implica non un ricettore passivo e meramente imitativo, ma un fruitore che sia nel contempo un “ri-creatore”, il quale lo riattualizza ogni volta all’interno di un discorso dialettico, in infinite declinazioni, che sono perciò stesso comiche, o efficaci, o significative, o paradossali, e che non di rado lasciano perplessi e incapaci di comprenderne il senso coloro che non partecipano all’intero “discorso”.