1. FACCI: “SOLIDARIETÀ A RICCARDO MUTI COSTRETTO ALLA FUGA DAI COBAS DEL VIOLINO” 2. L’INDENNITÀ PER I CORISTI CHE DEVONO DONDOLARE LA TESTA MENTRE CANTANO E POI INDENNITÀ PER I BALLERINI CHE DEVONO MUOVERSI SU UN PALCO INCLINATO E POI INDENNITÀ DI LINGUA, INDENNITÀ PER METTERE IL FRAC, INDENNITÀ PER SUONARE ALL’APERTO, INDENNITÀ VIDEO SE TI RIPRENDONO, INDENNITÀ PER SPOSTARSI FISICAMENTE DALL’OPERA FINO A CARACALLA. INDENNITÀ DI BUFFONI: L’UNICA CHE MANCA DAVVERO A LOR SIGNORI 3. RICCARDO MUTI HA VOLUTO PROVARCI LO STESSO A REGALARE PRESTIGIO E CHANCE ALL’ORCHESTRA PIÙ SPUTTANATA D’OCCIDENTE, L’OPERA DE ROMA, UNA BARZELLETTA MONDIALE PERALTRO ABBRUTTITA DA UN PUBBLICO CHE NELLE OCCASIONI SPECIALI GLORIFICAVA IL CAFONAL DI DAGOSPIA: C’ERA PIÙ BOTULINO ALLE PRIME DELL’OPERA CHE NEI BOMBARDAMENTI DI SADDAM HUSSEIN SUL KURDISTAN, DELIRI DI VOLGARITÀ CARNASCIALESCA, RUMOROSE MALEDUCAZIONI, MANCAVANO SOLO BOMBOLO E IL PETOMANE

Filippo Facci per "Libero Quotidiano"

 

filippo faccifilippo facci

Parte degli orchestrali dell’Opera di Roma andrebbe cacciata a calci nel culo, e questo solo per la soddisfazione di anticipare una crisi economica che tanto lo farà comunque: l’unica incognita è quando. Prima ancora di dare piena ragione a Riccardo Muti - che ha lasciato l’Opera e non vi tornerà, statene certi - va che le orchestre di questo Paese sono quanto vi peggio sia disponibile sulla residua piazza sindacalese, e che quella di Roma è la peggiore in assoluto, una compagine che vivacchiava tra la serie B e la serie C e che Muti riuscì ad innalzare per qualche tempo prima di arrendersi allo schifo definitivo.

 

riccardo muti opera di romariccardo muti opera di roma

Non serve puntualizzare che in Italia sopravvive gente volenterosa e che ha fatto di necessità virtù (alla Fenice di Venezia, al Regio di Torino, ma tutto sommato anche a Santa Cecilia) anche perché la regola terminale tanto è un’altra: è quella di un contratto nazionale da 28 ore settimanali (praticamente 4 al giorno) per gli orchestrali più pagati e tutelati del mondo, col primo violino dell’Opera che già balzò alle cronache per i suoi 62 giorni lavorativi in 6 mesi; è quella di intere schiere di «artisti» che si trasformano in cobas dei metalmeccanici (meglio: della Cgil e della Fials) per rivendicare privilegi, scioperi, assemblee, ricatti, cancellazioni di spettacoli con biglietti già pagati, imposizioni di pause tra un atto e l’altro, benefit a pioggia, organici gonfiati, e poi la comica delle indennità.

 

riccardo muti opera di romariccardo muti opera di roma

L’indennità per i coristi che devono dondolare la testa mentre cantano (Scala, 2012, «prestazione speciale») e poi indennità per i ballerini che devono muoversi su un palco inclinato (Scala, 2012, chiesero una gratifica) e poi indennità di lingua, indennità per mettere il frac, indennità per suonare all’aperto, indennità video se ti riprendono, indennità per spostarsi fisicamente dall’Opera fino a Caracalla. Indennità di buffoni: l’unica che gli manca davvero.

 

Poi ci sarebbe tutto un discorso sulla qualità: magari una persona normale pensa che in Italia un direttore possa fare delle singole audizioni per valutare un orchestrale, ma è impensabile, deve farlo praticamente di nascosto. Questo perché anche le orchestre, da noi, sono state mediocrizzate dall’ipersindacalismo del posto fisso e dalle mentalità da orchestra Rai, che infatti sono tutte morte a parte una.

 

riccardo muti e napolitano all opera di roma per la prima di ernani riccardo muti e napolitano all opera di roma per la prima di ernani

Ma non dobbiamo parlare dell’estero: quello è un altro mondo dove spesso sono direttamente i musicisti (con largo anticipo sul previsto, talvolta) a chiedere quel congedo o prepensionamento che lasci spazio ai talenti: in Italia non lo fa nessuno. È così che tante vecchie cornacchie pesano per lustri sulla qualità delle orchestre.

 

Ma tutte queste cose Riccardo Muti le sapeva: ha voluto provarci lo stesso, regalare prestigio e chance all’orchestra più sputtanata d’occidente, l’Opera de Roma, una barzelletta mondiale peraltro abbruttita da un pubblico che nelle occasioni speciali glorificava il Cafonal di Pizzi&D’Agostino: c’era più botulino alle prime dell’Opera che nei bombardamenti di Saddam Hussein sul Kurdistan, deliri di volgarità carnascialesca, rumorose maleducazioni, mancavano Bombolo e Il Petomane.

 

ignazio marino e napolitano all opera di roma per la prima di ernani diretto da riccardo muti ignazio marino e napolitano all opera di roma per la prima di ernani diretto da riccardo muti

Poi arrivò Muti e come dire, ci provò. Ottenne anche degli indubbi risultati. Poi: nel dicembre scorso (prima dell’Ernani) un drappello di sindacalisti gli invase il camerino coi modi che hanno i sindacalisti. In febbraio irruppero nello stesso modo per protestare contro la politica di spending review proposta dal sovrintendente: questo mentre le prove saltavano e al loro posto c’erano le assemblee.

 

In maggio partì la tournée in Giappone e una ventina di orchestrali presentò improvvisi certificati medici e insomma non partì: fu necessario pagare dei sostituti. Poi la comica della Boheme a Caracalla: l’orchestra non si presentò e fu necessario rifondere tutti i biglietti venduti.

 

ignazio marino con i peperoncini all opera di roma per la prima di ernani diretto da riccardo muti ignazio marino con i peperoncini all opera di roma per la prima di ernani diretto da riccardo muti

Il sindaco, Ignazio Marino, ha detto che «è come se un americano comprasse un biglietto per il Colosseo e lo trovasse chiuso». Il dettaglio è che il Colosseo è unico, l’orchestra dell’Opera di Roma è poco più di una banda. Una banda a cui il Comune dà quasi 19 milioni di euro mentre il ministero dei Beni culturali si accingeva a versarne altri 20 per il risanamento: di che?

 

Oh, certo, i soldi per le orchestre sono calati in tutto il mondo, e in tutto il mondo hanno capito che gli organici vanno rivisti e che i soldi vanno agganciati alla produttività e non solo all’occupazione per l’occupazione. Che poi è quanto avevano inteso e avallato anche le leggi «Bray» e «Art domus» che prevedevano oltretutto un tetto per i compensi dei soprintendenti.

 

Ma non toccate i metalmeccanici, pardon i primi violini. Riccardo Muti ha fatto bene ad andarsene. Un conto, con gli anni, è rendersi più scafato e malleabile, mettere a parte boriosità d’altre epoche; altro conto è assistere impotenti al disfacimento culturale del Paese che Muti ama ancora, unica razionale spiegazione dei cinque anni trascorsi a martoriarsi nella Capitale.

Riccardo Muti dirige l Ernani all Opera di Roma h partb Riccardo Muti dirige l Ernani all Opera di Roma h partb

 

Ha voglia il direttore del ministero dei Beni culturali, Salvo Nastasi, a dire che «bisognerà affrontare in maniera definitiva il ruolo dei sindacati nei teatri lirici». Affrontare come? Col napalm? Con un trasferimento coatto in Corea? Un micidiale tweet di Renzi? Nei teatri italiani sono rimasti giusto i teatranti, ma la recita è finita. Anche il pubblico (quello pagante) ha già salutato. Fossero state delle fabbriche, dei teatri, senza l’intervento dello Stato, non esisterebbero più neanche gli edifici. Anche Riccardo Muti ha salutato. In campo artistico, la fuga di cervelli è quasi finita: perché sono quasi finiti.

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