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CINEMA DEI GIUSTI - GARRONE NEL "RACCONTO DEI RACCONTI" CON POCHISSIMI SOLDI PROVA A METTERE IN PIEDI UN FANTASY COLTO, CON GRANDI PRESENZE INTERNAZIONALI E DUE ADORABILI ALBA ROHRWACHER E MASSIMO CECCHERINI - RIESCE A MANTENERE UN EQUILIBRIO TRA LE STORIE E UN RITMO NATURALE PER TUTTO IL FILM. UN FRULLATO DEL '600, DI BAVA E DI "GAME OF THRONES"

 

 

Marco Giusti per Dagospia

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In equilibrio su un filo infuocato. In balia dei nostri desideri e dei nostri piccoli poteri. Sapendo che a ogni richiesta di violentare il corso delle cose di dividere il non divisibile, corrispondera' un'altra violenza. Una morte per una vita. Non e' il mondo solare di C'era una volta di Francesco Rosi ne' quello della Trilogia della Vita di Pasolini, quello di Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, che ha coprodotto il film con Rai Cinema e Jeremy Tomas, e lo ha scritto con Massimo Gaudioso, Ugo Chiti, Edoardo Albinati, e che verra' presentato a Cannes in concorso il 14 maggio.

 

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Il suo mondo e' magari un frullato del '600 fantastico de "Lo cunto de li cunti" di Basile, come nel film di Rosi, degli horror a basso costo di Bava, coi loro castelli italiani, e del fantasy dei giorni d'oggi alla "Games of Thrones", un immaginario che non e' possibile non citare oggi, anche aggirandolo, Ma dentro c'e' anche il fantastico d'autore alla Garrone, che dopo "Gomorra" e' comunque obbligato all'invenzione visiva costante.

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Nel bene e nel male. Cioe' rischiando soldi e professionalita'. Con budget tutto sommato risicato per un fantasy, 12 milioni di euro senza banche italiane di mezzo (quando Moretti ne costa 7, sembra), cosa abbastanza vergognosa. Costruito come un gioco a incastri tra tre racconti diversi, uniti dal sangue e dal desiderio e dalla presenza dei circensi interpretati dagli adorabili Alba Rohrwacher e Massimo Ceccherini, il film riesce a mantenere un non facile equilibrio fra le storie, e un ritmo naturale che ci piace pensare gia' presente nei testi di Basile.

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Magari non avra' la forza contemporanea di "Gomorra", ma non e' neanche riuscito a meta' come "Reality", e, a parte qualche momento meno rifinito (qualche purista del fantasy insorgera'), riesce a mantenere anche l'equilibrio fra l'ambizione della grande illustrazione pittorica baviana, che Garrone ha giustamente riconosciuto in conferenza stampa, come ha riconosciuto le citazioni da Goya (e ovviamente non conosce i Chapman), e la modernita' modaiola del fantasy post Games of Thrones e post videogame.

 

Modernita' modaiola quanto vi pare, ma che ha degli standard troppo alti per un film italiano. Diciamo che almeno Garrone, rispetto ai suoi colleghi italiani, ci prova a mettere in piedi un fantasy colto, piu' vicino a Bava senior che al Bava junior di "Fantaghiro'", inserendo nel testo di Basile sia i grandi mostri non digitalizzati come ai tempi del peplum nostrano (che nostalgia) sia le grandi presenze internazionali come Salma Hayek, Toby Jones, Vincent Cassel, John C.Reilly.

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Non si capisce perche' abbia voluto girare il film in inglese con attori fin troppo mischiati, c'e' pure Renato Scarpa, che appare sia in "Mia madre" che in "Youth", magari avra' pensato al mercato internazionale. Certo e' che le cose piu' belle gli arrivano dall'incredibile paesaggio italiano, i castelli di Andria e di Donnafugata, il labirinto, da una sceneggiatura magari un po' misogina, ma colta e funzionante, e da un artigianato vecchio stile da cinema bis per trucchi e regia. Al punto che una delle scene che preferisco, il re di John C.Reilly con lo scafandro seicentesco che uccide il drago, ci riporta di peso al peplum fantasy di Guido Malatesta e Carlo Rambaldi, mentre costumi e musica non sono riuscitissimi.

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Personalmente avrei dato piu' spazio alle belle facce italiane, come Alba e Ceccherini, piuttosto che puntare sulle star straniere, anche se Salma Hayek che divora il cuore del mostro, Toby Jones che vive in segreto con una pulce mostruosa, Vincent Cassel in mezzo all'orgia e Stacy Martin novella Lady Godiva sono immagini notevoli proprio come costruzioni cinematografiche senza i soliti compiacimenti felliniani.

 

Funziona un po' meno l'orco con le manoni gigantesche che porta via la figlia di Toby Jones. Certo, non hanno tutti i torti quelli che vedono nel film una sorte di normalizzazione delle possibilita' rivoluzionarie della fiaba. Qua tutti i tentativi per uscire dalla propria pelle di vecchio, di povero, di sterile, di deviante, vengono puniti, e l'ottica un po' troppo maschile porta spesso alla distruzione dei desideri femminili, ma e' un ottimo film giustamente costruito per il pubblico e per i festival, un ritorno al genere inaspettato e generoso.

 

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Come erano gli altri film di Garrone, anche se qui rischia in proprio produttivamente. E non e' una bella cosa che su un progetto simile le nostre banche si siano tirate indietro e molti dei nostri tecnici piu' noti e plurioscarizzati abbiano arricciato il naso sentendo un budget non hollywoodiano. Ha fatto benissimo Garrone a dar vita a un progetto difficile e a tentare comunque un mercato piu' grande del solito.

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Altrimenti saremo sempre i registi che piangono sugli anni di merda che viviamo e sulla crisi della borghesia di Roma Nord e la fine del Pd. Certo la pulce gigante poteva venire meglio. Dedicato a Nico e a Marco, i due "padri" di Garrone, quello naturale e quello acquisito, cioe' Marco Onorato, compagno della madre e suo direttore della fotografia, scomparso dopo "Reality" e qui sostituito con lo strepitoso Peter Suschitzky, l'occhio di David Cronenberg. In sala dal 14 maggio.

 

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