CHI LO PRENDE IN GOOGLE? - GLAUCO BENIGNI: “E’ INUTILE CHE GLI EDITORI SE LA PRENDANO SOLO CON GOOGLE. CHI COMANDA E' L’INSERZIONISTA PUBBLICITARIO. SERVE UN SOGGETTO NAZIONALE IN GRADO DI TRATTARE SUL COSTO DELLA PUBBLICITÀ ONLINE”

1 - PER CHI LAVORA GOOGLE?

Glauco Benigni per Dagospia

 

GLAUCO BENIGNIGLAUCO BENIGNI

Ho letto il pezzo di Cannavò tratto dal “Fatto Quotidiano”. Mi sembra evidente però che nella Partita non si nomina mai il "Morto" (il soggetto che fa finta di non esserci, cioè l’inserzionista pubblicitario). Ok, è tutto vero: Google attraverso Ad Sense gioca il ruolo di Super Concessionaria Planetaria: indicizza, ruba, rubacchia, reindirizza al sito degli Editori, ma non solo anche ai Bloggers e agli Youtubers (come del resto fa Facebook sui miliardi di pagine a sua disposizione)

 

Google non paga le tasse e se ne frega del Copyright... è tutto vero

Ma la domanda centrale è: PER CHI  LAVORA GOOGLE? Quando Google incassa, la sua amministrazione a CHI FATTURA i soldi? La risposta è molto semplice ma è Tabù.

Google lavora per gli Inserzionisti Pubblicitari: milioni e milioni di aziende che collocano ogni giorno inserzioni pubblicitarie negli spazi che Google offre, individua, crea, suggerisce, etc...

 

google-logogoogle-logo

Se si tirano i fili giusti l'intera storia finisce pertanto su due grandi tavoli: la IAA, il cartello delle Agenzie di Pubblicità Mondiale e la super UPA, il cartello dei grandi Produttori di merci e Servizi Mondiali (molti dei quali, a loro volta, non pagano le tasse nei territori dove traggono profitti).

 

Questi due macrosoggetti ovviamente vogliono raggiungere, con i loro messaggi, il maggior numero di potenziali consumatori con la minima spesa. QUINDI ... fanno di tutto per tenere basso il Costo delle Inserzioni...QUINDI...manovrano sul Cost per Thousand affinché il "Costo inserzione = Cpt x Numero dei viewers" sia il più basso possibile.

Il Cpt è quella quantità di denaro  che l'Utente Pubblicitario paga alla Concessionaria per raggiungere 1000 minchioni.

 

WEB INTERNET PUBBLICITA WEB INTERNET PUBBLICITA

Chi decide il valore del Cpt? Il Gatto e la Volpe ovviamente. Cioè il vertice dell' erogazione del denaro: gli Utenti e le loro Agenzie e la Concessionaria che vende gli spazi (in questo caso Google). Ma se non si comincia a discutere seriamente del Valore del Cpt , tutto il resto della Piramide verso il basso, incluse le Agenzie delle Entrate dei diversi Paesi, subisce il Gioco fatto dal Vertice.

 

Lo scrivo dal 1996: forse è arrivato il momento di attivare il Dibattito. E' abbastanza inutile attivare uno scontro tra il Cuoco (Google) e i Camerieri (Media) che portano la Pubblicità e i messaggi in genere ai lettori/spettatori sostenendo che il Cuoco guadagna di più dei Camerieri  (che peraltro è vero perché i Camerieri sono un po' stolti). La questione è costringere i Padroni del Ristorante a pagare un Equo Compenso a tutta la filiera senza approfittare dell'ingenuità dei Soggetti coinvolti (i Media e i lettori/spettatori).

 

PubblicitàPubblicità

2 - GLI EDITORI LO PRENDONO IN GOOGLE - IL MOTORE DI RICERCA SPERNACCHIA LA FIEG, CHE CHIEDE DI PAGARE I CONTENUTI EDITORIALI, COME AVVIENE IN FRANCIA - GOOGLE: “PORTIAMO GIÀ 10 MILIARDI DI CLIC E 9 MILIARDI CON ADSENSE AGLI EDITORI DI TUTTO IL MONDO. PUÒ BASTARE”

 

I 9 miliardi cui si riferisce Google sono quelli prodotti dal programma Ad-Sense tramite cui il motore di ricerca, come una specie di concessionaria, trasferisce le inserzioni a pagamento sui siti che ne fanno espressamente richiesta. Quella cifra, quindi, non rappresenta un compenso per i contenuti utilizzati…

 

Salvatore Cannavò per il “Fatto quotidiano” dell’8 novembre 2014

 

Google è “un motore del privilegio” e come tale deve pagare i diritti d’autore agli editori. La presa di posizione di Maurizio Costa, presidente della Federazione degli editori di quotidiani riapre il “caso Google” dopo la polemica dello scorso anno. Il deputato del Pd, Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, proponeva che la società di Larry Page e Sergey Brin pagasse le tasse sui suoi utili in Italia e non in Irlanda dove ha la sede legale.

 

Ma Matteo Renzi impedì che quella proposta si realizzasse. Ora, ad attaccare Google, si muovono gli editori di giornali anche se la mossa della Fieg punta ad altro: “Chiediamo solo che paghi il giusto chi utilizza contenuti editoriali di proprietà di altri” dice Costa in un’intervista a Repubblica. “È ora che questo gigante come qualsiasi aggregatore di notizie di Internet, riconosca il diritto d’autore per gli articoli, le foto, i video linkabili da Google News”.

 

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La mossa è inedita. Finora gli editori italiani non si erano spinti fino a questo punto e in Europa l’esempio più avanzato resta quello francese dove, grazie alla pressione del governo e al ruolo avuto dalla presidenza Hollande, lo scorso anno è stato siglato un accordo a tre – editori, Google, esecutivo – che ha obbligato il motore di ricerca a versare 60 milioni di euro per lo sviluppo dell’attività digitale degli editori.

 

 “A noi l’idea di questa una tantum, di un condono tombale, non piace” precisa il presidente Fieg. “Chiediamo si paghi in modo trasparente e con continuità”. La richiesta si basa sull’andamento del mercato editoriale. I giornali italiani vendevano circa 6 milioni di copie al giorno nel 2000 mentre nel 2013 sono arrivati a 3,7.

 

Un dissanguamento progressivo che sta bruciando posti di lavoro, riducendo spazi e mettendo in seria difficoltà i piani di sviluppo delle imprese. Al contempo, nonostante la crescita dell’informazione online – che riguarda ormai lo stesso numero di lettori giornalieri – i ricavi delle società editoriali dipendono al 94% dal settore cartaceo. La contraddizione è evidente.

 

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Anche per il sindacato che, infatti, con il segretario di Stampa romana, Paolo Butturini, plaude all’intervento di Costa che “ha centrato il problema” anche se, aggiunge Butturini, “omette di dire che in questi anni gli editori non hanno fatto altro che lavorare sulla compressione del costo del lavoro, con l’ovvio riflesso dello scadimento dell’informazione”.

 

Per il sindacalista vanno quindi “rimossi atteggiamenti vendicativi nei confronti dei giornalisti e, soprattutto, si deve puntare all’innovazione, che significa investimenti a medio e lungo periodo”, in questa prospettiva si può accettare “la sfida del cambiamento”.

 

La risposta di Google, però, non invita all’ottimismo. La nota che la società Usa dirama nel pomeriggio ricorda, infatti, che il colosso americano “invia ogni mese 10 miliardi di clic agli editori di tutto il mondo e che riceviamo di gran lunga più richieste di essere inclusi in Google News che non di essere esclusi”.

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Inoltre, aggiunge la società, “attraverso il programma AdSense, nel 2013 abbiamo ridistribuito 9 miliardi di dollari agli editori di tutto il mondo, una cifra in crescita di 2 miliardi rispetto al 2012”. Il messaggio è chiaro: noi vi aiutiamo già e senza di noi ci rimettereste certamente. Quindi, nessuna disponibilità a nuovi accordi.

 

I problemi non sono di facile soluzione. I 9 miliardi cui si riferisce Google sono quelli prodotti dal programma Ad-Sense tramite cui il motore di ricerca, come una specie di concessionaria, trasferisce le inserzioni a pagamento sui siti che ne fanno espressamente richiesta. Quella cifra, quindi, non rappresenta un compenso per i contenuti utilizzati. Allo stesso tempo, è anche vero che Google News funziona come una sorta di rassegna stampa che, per la lettura degli articoli, rinvia ai siti di provenienza. Quindi c’è un effettivo smistamento di traffico.

 

news google27Ottobre2003news google27Ottobre2003

“In realtà” spiega al Fatto Stefano Quintarelli, uno dei massimi esperti del settore, oggi deputato di Scelta civica, ci sarebbe un reciproco vantaggio da sfruttare. Invece di denaro, ad esempio, gli editori potrebbero sfruttare il lavoro di “profilazione” del cliente svolto da Google e che potrebbe essere loro riversato”. Ma anche secondo l’esperto di Internet, non esiste “la” soluzione quanto, invece, un monitoraggio della trasformazione in corso. Resta comunque l’ipotesi “google tax”: “Stavolta non la propongo” dice Boccia, “ma se il governo vuole la si fa in un attimo”.

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