
“HO LE MANI PICCOLE MA UN GRANDE CULO” - ORSOLA BRANZI, IN ARTE LA PINA, VOCE STORICA DI "RADIO DEEJAY" (E DI RADIOTAXI), SI RACCONTA: “LA RADIO MI DA’ DIPENDENZA. DICIAMO CHE È UNA DROGHINA. HO CAPITO CHE LA GENTE HA BISOGNO DI ESSERE ANZITUTTO RASSICURATA. CIASCUNO POI PORTA LE SUE CROCI. ABBIAMO PERSO LA CAPACITÀ DI PERDERE. TOCCA ESSERE TUTTI EROI, GUERRIERI, ESEMPI E CAMPIONI. CHE PALLE, CHE FATICA. IO SONO PER RICONQUISTARCI IL DIRITTO A NON FARCELA, AD ESSERE SPAVENTATI O NON ALL’ALTEZZA” – E POI FEDEZ, PINO DANIELE, LE FUGHE IN GIAPPONE CON IL MARITO E LE DIFFERENZE CON I COLLEGHI: "IO SONO BRAVA..."
Mario Luzzatto Fegiz per corriere.it - Estratti
«Radiotaxi 8585. Stiamo cercando il vostro taxi» recita una voce inconfondibile. Quella di Orsola Branzi, in arte La Pina. Il radiotaxi raccomandato dalla Pina? «Un attestato di stima che credo di meritare» replica lei asciutta.
A parte il cucirsi addosso nomi d’arte, lei di lavoro cosa fa esattamente?
«In questo istante cerco una stanza dove nessuno mi disturbi per poterle dedicare attenzione».
La Pina è molto più di una semplice conduttrice radiofonica o rapper. È un fenomeno culturale, un’artista poliedrica che ha saputo, con intelligenza, autoironia e una buona dose di incoscienza, ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama mediatico italiano. La sua carriera testimonia una capacità di evolversi, rimanendo sempre fedele a sé stessa e al suo pubblico.
Con la sua risata contagiosa e la sua capacità di affrontare qualsiasi argomento con leggerezza, è diventata un simbolo della body positivity, in lotta contro gli stereotipi, dimostrando che la vera bellezza risiede nella diversità e nell’autenticità.
Pseudonimi?
«Parecchi. Ma quello giusto è La Pina, un marchio a fuoco, qualcosa che include e rimanda alla familiarità, alla confidenza».
Come nasce il nome d’arte?
«La mia è una carriera atipica. Nasco a Firenze ma cresco a Milano e qui porto avanti gli studi superiori. È proprio in questi anni che entro in contatto con il panorama artistico dell’hip hop, conoscenza poi approfondita a Bologna, dove mi trasferisco per frequentare il corso universitario di Scienze dell’educazione. Qui fondo il gruppo Le Pine, con cui inizio la mia attività di rapper. Dopo varie defezioni, resto sola all’interno della formazione e adotto allora il nome d’arte La Pina».
Cosa fa esattamente?
«Il lavoro più bello del mondo. Da decenni trasmetto dalle 17 alle 19 su Radio Deejay».
Da quando?
«Da 29 anni. Come vola il tempo...»
Ha fatto radio, tv dischi, doppiaggi.
«Lasciata l’università, torno a Milano, dove mi avvicino al produttore discografico Esa. In pratica alterno il lavoro radiofonico a quello di artista. Del 1995 è infatti il mio primo album (Il cd del-)la Pina, cui seguono Piovono angeli nel 1998 e Cora nel 2000. E poi ci sono le collaborazioni saltuarie con altri artisti.
Ne sono esempio i brani Che peccato e Stupida RMX realizzati con Alessandra Amoroso; Jolly Blue con Max Pezzali e Fedez; o ancora Le Ragazze di Porta Venezia – The Manifesto registrato con Myss Keta, Roshelle, Joan Thiele, Elodie e Priestess. Da ciascuno ho imparato qualcosa. Soprattutto da Fedez, carino, imprevedibile, e professionale o la Amoroso nella canzone Stupida, divenuta un inno degli adolescenti»
(...) Ho capito che la gente ha voglia di sentirsi vista e ascoltata per quello che è senza dover rispondere ad aspettative alte, ha bisogno di essere anzitutto rassicurata. Ciascuno poi porta le sue croci. Abbiamo perso la capacità di perdere. Tocca essere tutti eroi, guerrieri, esempi e campioni. Che palle, che fatica. Io sono per riconquistarci il diritto a non farcela, ad essere spaventati o non all’altezza».
Fare radio dà dipendenza?
«A me sì. Diciamo che è una droghina. Se cambi dosaggio diventi nervoso. È come andare dallo psicologo. Ogni tanto faccio un mese senza alcol oppure un mese senza carboidrati ma per ora all’analisi non rinuncio».
In una delle sue rare interviste dichiara «culo grande e mani piccole».
«Ho detto questo? Volevo dire che sono molto fortunata. Non ho un culo enorme ma non mi dispiacerebbe, in compenso ho le gambe molto lunghe e le mani piccole».
La sua popolarità fra i gay come la spiega?
«Non penso che ci sia molto da spiegare, sono cose che avvengono. Si condividono cause e sensibilità. Per il resto non faccio niente di particolare. Vado ai Pride, ma quelli piccoli, senza sponsor. Milano e Roma sono meno interessanti, con troppi sponsor. Quindi per me pochi carri ma significativi, sentiti, veri».
Incontri fondamentali?
«Nel mio lavoro ho avuto modo di incontrare persone di cui ho stima. Con Pino Daniele fu un incontro folgorante fra due anime in pena. Scoprimmo varie affinità, dimenticando di essere in diretta radio».
E Pepe/Emiliano, suo marito?
«Pepe è la cosa più bella che poteva capitarmi. Siamo casa e bottega, per nulla mondani e pieni di rituali domestici. Amiamo andare in Giappone, ci andiamo appena possibile perché li tutto è sicuro, gentile, pulito. Abbiamo una casetta piccola ma funzionale. E una dispensa curata da Emiliano. Niente disordini alimentari».
Ha mezzo milione di follower.
«Tanta roba, tanti e veri, non finti o taroccati. Mai comprato il consenso. Posto solo se ho veramente qualcosa da dire. Io sono una speaker, non una giornalista».
Differenze fra lei e altri colleghi?
«Io sono molto brava».
In diretta è dura?
«Alle 17 comincia la trasmissione. Bisogna essere pieni di energia e allenamento per due ore di lavoro adrenalinico. A fine trasmissione prendiamo un aperitivo, in radio o al bar sotto agli studi. La diretta è una tensione emotiva forte. Mi ci vuole una mezz’ora per ritornare in me, per un po’ parlo a voce alta».
Rapporto con i bambini?
«Ho sempre il bisogno di sorprendermi. Mi rompo i cogl... molto facilmente, noia sempre in agguato. I bambini e le bambine mi sorprendono. Quelli degli altri. Io e Emiliano non ne abbiamo voluti di nostri».
Cosa vuole la gente?
«Sfogarsi. Ciascuno porta le sue croci. Come dicevo prima, abbiamo perso la capacità di perdere, dobbiamo essere tutti eroi. C’è chi ha una disabilità sofferta, gente che combatte per sopravvivere. Di fronte al fallimento pensiamo di non farcela. Se sei malato devi essere un eroe o un guerriero, non puoi aver paura o essere debole e fragile».
(...)
Rapporto con la tv?
«Mi piace guardarla, non farla. Io sono una grande guardatrice di tv. Ma il mio mezzo è la radio. Ho una voglia fotonica di radio. Mai sazia di radio...»
Anni straordinari?
«I Novanta».
Musica preferita?
«Quella dei Clash e, naturalmente, la musica di Pepe».
Il trionfo radiofonico: Radio Deejay e «Pinocchio».
«Se la musica mi ha aperto le porte del mondo dello spettacolo, è la radio il mezzo che mi ha resa un volto (o meglio, una voce) familiare per milioni di italiani. Pinocchio è un programma di alleggerimento, per accompagnare chi ritorna a casa. Partiamo dalle notizie selezionate, un pretesto: sono gli ascoltatori i veri autori della trasmissione. Mandano messaggi esilaranti e noi non possiamo resistere alla voglia pazza di farci raccontare tutto. A volte ci confidano i loro problemi.
Non posso vedere come sono vestiti, cosa hanno nel frigo e questo mi frustra, ma già dalla voce so se sono in piedi o seduti. Cerco di compensare mitragliandoli di domande. Il mio ruolo è di farli sentire capiti e accuditi».