DUE PICCIONI CON UN “GET LUCKY” - CON IL LORO ULTIMO SUCCESSO, I DAFT PUNK HANNO UN GRANDE MERITO: AVER SCONGELATO DUE VECCHI GENI CHE HANNO CAMBIATO LA MUSICA, GIORGIO MORODER E NILE RODGERS

1 - GIORGIO MORODER "LA MIA STORIA INFINITA DALL'OSCAR AI DAFT PUNK"
Bruno Ruffilli per "la Stampa"

«My name is Giovanni Giorgio but everybody calls me Giorgio». Ospite di lusso nell'ultimo vendutissimo album dei Daft Punk, dove racconta la sua vita e la sua musica, Giorgio Moroder non canta, parla, tra intrecci di ritmi e sintetizzatori che si inseguono per quasi dieci minuti. Di origini altoatesine, Hansjörg Moroder è uno dei padri della dance: resterà nella storia per la diabolica combinazione di elettronica e sensualità di I Feel Love, sussurrata da Donna Summer, ma anche per i tre Oscar, i tre Grammy, i milioni di dischi venduti in tutto il mondo. «Mi chiamo Giovanni Giorgio, però tutti mi chiamano Giorgio», esordisce al telefono. Ha 73 anni ed è reduce da un forte mal di schiena che lo ha costretto ad annullare una serata.

Non era in pensione?
«Mi ero allontanato dalla musica, facevo altro, giravo il mondo. Poi mi hanno chiamato i Daft Punk ed è ricominciato tutto».

Li conosceva?
«Sì, mi piace molto One More Time, un ottimo lavoro».

E ora fa il deejay...
«Ho iniziato per caso, ora è un nuovo lavoro: dopo Tokyo andrò ad Amsterdam, poi a casa a Los Angeles per un festival con Skrillex e Calvin Harris».

Che per età sarebbero suoi nipoti...

«Diciamo figli».

Nel tempo era stato un po' dimenticato, come affronta la ritrovata popolarità?
«La cosa più bella è quando suono Flashdance o Love to Love You Baby: il pubblico è composto da giovanissimi, ma le conoscono anche se non erano nati quando sono state pubblicate. E adesso ricomincio a scrivere, due brani nuovi sono già pronti».

Ci aspetta un disco?
«Non so, per ora sto lavorando con una cantante di New York, poi ho ripreso un vecchio demo di Donna Summer e l'ho finito; ho anche finito un brano per un suo album di remix che esce fra un mese. A giorni incontrerò un regista famoso, vedremo...».

Negli Anni 70 e 80 lei rappresentava il lato pop della musica elettronica, dall'altra parte c'erano nomi come Tangerine Dream, Brian Eno, Devo. Si è sentito mai tagliato fuori?

«Nel 1975 avevo inciso un disco molto sperimentale. Allora facevo cose simili ai Kraftwerk, ma Einzelgänger non ha venduto per niente, e questo non mi ha spinto a continuare: ti impegni più volentieri se pensi che quello che fai potrebbe avere successo».

Ma lei ha reso popolari idee dell'avanguardia...
«I Feel love è stato il primo pezzo dance completamente sintetico e ha avuto un'influenza enorme, ha lanciato l'elettronica come musica da discoteca. Negli anni ho sentito diverse rielaborazioni, eppure per me l'originale rimane il migliore, rivoluzionario, mi pare che oggi manchi la voglia di provare nuove soluzioni».

Ha sentito la versione di Madonna?
«Sì, dal vivo a Los Angeles. Una buona interpretazione. Non è che poi sia un pezzo difficile da cantare...»

E Avicii?
«Ho cominciato a lavorare con lui e David Guetta ma loro per il momento sono sempre in giro a metter dischi, passano un sacco di tempo in aereo. Spero di andare in studio a fine estate».

Com'è cambiato il suo lavoro con le nuove tecnologie?
«Certo, ci sono i computer, ma la vera differenza rispetto a trent'anni fa è il processo: quasi mai un brano viene pubblicato come era stato concepito. Il compositore scrive otto battute, il cantante quattro, il risultato nasce da tanti compromessi. Io invece preparavo una canzone, Donna Summer o Cher la incidevano com'era».

«Una volta che hai liberato la mente dal concetto di armonia e correttezza della musica, puoi fare quel che vuoi», racconta in Giorgio by Moroder. È per questo che ha sempre sperimentato?
«Con le colonne sonore devi cambiare per forza: Fuga di mezzanotte era sullo stile di I Feel Love, Call me con i Blondie era un pezzo rock perché il film lo richiedeva, bisogna adattarsi all'idea del regista. I brani disco li facevo per me, ma poi per i film ci voleva una ballata come Take My Breath Away . E Notti Magiche con Nannini e Bennato per Italia 90 era un'esperienza ancora diversa, ogni volta che ho avuto la possibilità di fare cose nuove l'ho sfruttata».

La collaborazione più curiosa?
«Quella che non c'è stata. Era per Rambo III: Stallone voleva in chiusura un brano folk. Io l'ho scritto, sono andato a casa di Bob Dylan, una casa tutta in legno, lui ha ascoltato la canzone diverse volte, poi ha detto di no, credo per il tipo di film. Ma penso che la musica gli sia piaciuta».

Con chi ha lavorato al meglio?
«Mi sono trovato bene con quasi tutti. Donna Summer era un'amica, un'interprete straordinaria, una donna generosa. Bowie molto preparato, molto professionale. Con Freddie Mercury c'è stato qualche problema, gli inglesi sono come dire... bravissimo cantante e musicista, ma di carattere un po' difficile».

C'è qualcosa di tipicamente italiano nella sua musica?

«La gente dice che sono bravo con le melodie. La melodia è per me un tratto assolutamente italiano, in questo siamo davvero i migliori del mondo».

Claudio Abbado è stato da poco nominato senatore a vita per meriti artistici, se la prossima volta toccasse a lei?
«Dal 2005 sono commendatore della Repubblica Italiana; essere senatore sarebbe un onore. Però sarebbe difficile essere in aula, da molti anni la mia vita e i miei affetti sono negli Stati uniti».

E per un deejay set tornerebbe in Italia?
«Per uno show importante, il mio ritorno è un grande evento (e qui ride, ndr.)».

2 - NILE RODGERS IL FONDATORE DEGLI CHIC HA 60 ANNI
Ernesto Assante per "la Repubblica"

Quando è nato sua madre aveva 14 anni e suo padre era un musicista amico di Thelonious Monk e di altri hipsters dello stesso calibro. E leggendo la sua biografia si scopre che a 18 anni aveva già fatto cose «che voi umani... «: dalle jam session con Jimi Hendrix a consumare l'LSD con Timothy Leary. E poi, tanto per arrivare ai naturali livelli della leggenda che incarna, ha scritto, prodotto e suonato musica con David Bowie, Madonna, Diana Ross, INXS, B52's, Rod Stewart, Duran Duran, Robert Plant, Sister Sledge... E soprattutto è il fondatore e il leader degli Chic, l'uomo che ha fatto ballare l'intero pianeta al suono di Le Freake Good times.

Nile Rodgers oggi ha 60 anni, è sopravvissuto a un cancro alla prostata, ed è per l'ennesima volta in cima al mondo: il suono della sua chitarra segna in maniera determinante Get lucky, il tormentone dell'estate, il brano dance più bello dell'anno, firmato dai francesi Daft Punk e cantato da Pharrell Williams; è appena uscito un cofanetto con 46 successi che portano la sua firma; ha da poco finito di lavorare a un nuovo singolo con David Guetta; sta per lavorare con un altro dei dj più famosi del momento, Avicii; e i suoi Chic sono di nuovo sulla strada, per una lunga serie di concerti che lo porteranno anche a un unica data italiana (Aosta, 31 luglio): «È un momento fantastico, ricco di impegni. Ma in fin dei conti tutta la mia vita è sempre stata così, mai troppi momenti liberi, sempre, sempre musica ».

Si aspettava il successo di Get lucky?
«No, non puoi mai sapere se una canzone è un successo mentre la realizzi. Lo puoi sperare, senti quando hai qualcosa di buono tra le mani, dopo tanti anni è facile avere presentimenti, e in questo caso era chiaro a tutti che avevamo fatto un gran lavoro. Ma
Get lucky l'abbiamo registrata più di un anno fa, quando i Daft Punk non avevano nemmeno ancora un contratto discografico. E non era davvero possibile immaginare tanto successo».

Ha un suono in controtendenza con l'elettronica dominante.
«Sì, è stata una scelta davvero coraggiosa da parte dei Daft Punk. Ho trovato coraggioso anche aver scelto me e la mia chitarra. La gente continua a dirmi che se c'è un suono dominante in una canzone, questa oggi non viene nemmeno trasmessa dalle radio, e per questo ho pensato che la mia presenza in Get lucky avrebbe reso il brano irrilevante. Invece avevano ragione loro».

È un cambio di tendenza?
«No, la musica elettronica domina il mondo e sarà così ancora per un bel pezzo. Ma esiste ancora un pubblico che ama la buona musica, qualsiasi suono o forma abbia».

Get lucky è stata registrata a New York, agli studi Electric Lady, gli stessi dove lei da giovanissimo ha suonato con Jimi Hendrix.
«No, con Jimi feci una jam session allo Scene, che era un altro club del Greenwich Village dove ci s'incontrava spesso. L'altro club era il Generation dove molti di noi andavano. Jimi lo comprò e lo trasformò in uno studio di registrazione. Proprio lì ho inciso il primo singolo degli Chic».

Le piace ancora suonare dal vivo con loro?
«È fantastico, anche se Bernard Edwards e Tony Thompson non ci sono più (morti entrambi, ndr), è tutto molto diverso. Ma siamo una grande band dal vivo, abbiamo un repertorio straordinariamente ricco e suoniamo davvero bene. Anche se gran parte della mia storia musicale è chiusa in uno studio di registrazione, suonare dal vivo mi diverte pazzamente».

C'è una nuova generazione che viene a vedere i suoi concerti.
«Moltissimi ragazzi, è entusiasmante. Ma anche gli adulti vengono, perché in realtà quasi nessuno ci ha visto davvero dal vivo, gli Chic sono stati in circolazione in concerto solo nella fase del grande successo discografico. Per molti è una scoperta vedere quello che sappiamo fare. Vede, io non sono un musicista particolarmente famoso con il mio nome, sono stati famosi gli Chic, e per un breve periodo di tempo, quando l'era trionfale della disco music è finita siamo tornati nell'ombra. Il mio lavoro è quindi stato soprattutto quello di produttore, arrangiatore, ho fatto del mio meglio per aiutare altri musicisti a mettere
a fuoco la loro visione. Oggi mi riconoscono anche come star. Posso dirlo? Fa piacere».

Com'è stata l'era della disco music?
«Fantastica e creativa, dava spazio a chiunque, era rivoluzionaria. E sono entusiasta che la dance oggi sia popolare di nuovo. Io non mi sono mai visto come un musicista dance, ma è una cultura aperta, inclusiva, ricca di gioia e di amore, e ha permesso a un pazzo come me di essere parte di una comunità. E questo spirito di comunità ha permesso alla disco di sopravvivere».

Ci sono stati anni in cui era odiata...
«Eravamo sulla sponda opposta del punk, ma non ho mai pensato che fosse una cosa del tipo "noi contro di loro". Di fatto non è stato il rock a cancellare la disco, ma l'avvento del rap. Una sera avevamo Kurtis Blow che apriva i nostri concerti con The Break se
la sera dopo tutti si erano già dimenticati di noi».

Sono stati David Bowie e il rock a riportarla al successo...
«Per tre anni è stata davvero dura, nessuno ci voleva. Poi David Bowie mi chiamò per registrare Let's dance. Anche a lui le cose non andavano bene, il punk e la new wave avevano fatto piazza pulita di molte star degli anni Settanta nel campo del rock. E fu un successo enorme, per lui, che non aveva mai venduto così tanti dischi, e per noi, perché da quel momento gli Chic tornarono a essere importanti e tutti bussavano alla nostra porta, da Madonna ai Duran Duran».

Cosa manca alla musica di oggi che c'era allora?
«Il coraggio, la voglia di fare cose diverse dal mainstream. Oggi c'è troppa paura di sbagliare, e per evitare gli errori si scelgono le strade più tranquille, quelle percorse dagli altri. I musicisti dovrebbero rischiare di più».

Quali sono gli artisti con cui ha lavorato più volentieri?
«Sarei ingiusto se dicessi che ho lavorato meglio con gli uni o con gli altri, sarebbe come dire se ho voluto più bene a un figlio o a un altro. Le mie canzoni sono come i figli che non ho avuto, le amo tutte allo stesso modo».

E qualcuno con cui avrebbe voluto lavorare?
«James Brown, assolutamente. L'ho conosciuto, ma non ho mai avuto l'occasione di lavorare con lui. È stato un genio, un innovatore straordinario, un musicista incredibile, un performer unico. Senza di lui molti di noi non sarebbero nemmeno arrivati alla musica, e molta della musica di oggi non esisterebbe nemmeno».

 

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