
“IL SUCCESSO NON MI MANCA. OGGI AIUTO I POVERI, MA RESTO UN’ARTISTA” – LA "SUORA LAICA" CLAUDIA KOLL, GIA' MUSA DI TINTO BRASS, PARLA DELLA SUA CONVERSIONE DURANTE IL GIUBILEO DEL 2000: “LA MIA SPIRITUALITÀ È CARATTERIZZATA DALLA SCOMMESSA DI VIVERE IL VANGELO NEL QUOTIDIANO, NON SIGNIFICA CHE IO VOGLIA INTERPRETARE SOLO RUOLI DI SANTE E RELIGIOSE” – LE ESPERIENZE CON PIPPO BAUDO E NINO MANFREDI, L’INCONTRO CON PAPA GIOVANNI PAOLO II E LE PAROLE DI LEONE XIV CHE L’HANNO CONQUISTATA...
Giacomo Galeazzi per la Stampa - Estratti
«Dio non toglie niente, cura le nostre ferite, dà significato e senso a quelli che sono i nostri talenti e interessi più profondi», afferma Claudia Koll nel 25º anniversario della conversione che ha radicalmente cambiato la sua vita.
Il cinema e la tv le hanno dato la grande popolarità. Prova mai nostalgia del successo?
«No. Sono contenta quando ancora oggi incontro persone che mi mostrano il loro affetto. La mia conversione è stata frutto del mio cammino di fede e di una grazia di Dio che lo ha attivato e condotto».
Come conduttrice televisiva al festival di Sanremo e attrice nelle serie tv ha lavorato con mostri sacri dello spettacolo come Pippo Baudo e Nino Manfredi. C'era differenza tra persona e personaggio?
«Baudo e Manfredi sono stati due grandi professionisti da cui ho imparato molto. E certo. C'è differenza, ed è importante che ci sia, tra persona e personaggio. La persona ha bisogno di avere una connessione con se stessa e con la propria interiorità al di là del personaggio».
Spesso viene definita "suora laica" ma lei è una cristiana senza particolari consacrazioni. Cosa caratterizza la sua spiritualità?
«La mia spiritualità è caratterizzata dalla scommessa di vivere il Vangelo nel quotidiano, dall'amore alla Parola di Dio e dall'attenzione nei confronti dei poveri. Questo appartiene a tutti i cristiani, non richiede nessuna consacrazione particolare. Questa spiritualità si riflette anche sul mio modo di essere attrice. Non significa che io voglia interpretare solo ruoli di sante e religiose ma che Dio mi ha donato uno sguardo e una sensibilità che mi permettono di raccontare l'umano con una profondità maggiore».
L'impegno nelle "Opere del Padre", l'associazione che ha fondato per aiutare i poveri in Italia e in Africa, la rende soddisfatta della sua vita?
«Soddisfatta forse non è la parola giusta, direi che sono contenta di vivere la mia vita che è molto ricca di passioni. L'associazione Le Opere del Padre è nata vent'anni fa.
(...)
Lei ha frequentato l'Actors Studio di New York, come si svolge la sua attività di "counselor" di nuovi attori?
«Nell'insegnamento metto a servizio le mie competenze artistiche e quelle di counsellor professionista."L'attore è un atleta del cuore", come diceva Susan Strasberg, figlia di Lee, il fondatore dell'Actors studio. Per questo a volte accade che, interpretando un personaggio, emergano delle ferite del proprio vissuto, che possono avviare un processo di guarigione e di crescita».
In che modo?
«Ci sono delle tecniche della Gestalt therapy, che utilizzo come "counsellor", che mi erano già state trasmesse da Susan Strasberg e da Geraldine Baron dell'Actors studio per aiutare gli attori a salvaguardare la propria identità e a non farsi "schiacciare" dai personaggi. L'attore lavora con la propria umanità e tanto più vive la sua vita con intensità, lealtà e coraggio quanto più trasmetterà questa forza vitale nei suoi personaggi».
Attraversare la Porta Santa del Grande Giubileo del 2000 ha innescato in lei il cambiamento di vita che l'ha portata alla conversione. Cosa ricorda di quel momento fondamentale?
«Ricordo la fede e la preghiera delle persone che erano in fila per attraversare la Porta Santa. E poi la Pietà di Michelangelo, quella straordinaria scultura in cui Maria appare con il volto di una fanciulla perché Michelangelo si ispirò al versetto di Dante Alighieri che dice di Maria "Figlia del tuo figlio".
Quel volto mi riportò a quando, da ragazzina, dopo aver visto un film sulle apparizioni di Fatima avevo desiderato di andare in Cielo con Maria, tanto ero rimasta colpita dalla sua dolcezza».
Lei ha conosciuto personalmente papi e santi, chi l'ha colpita di più?
«San Giovanni Paolo II. All'udienza del mercoledì, quando mi fu data la possibilità di salutarlo. Io ero in piedi e lui era seduto perché stava male. Alzò lo sguardo verso di me. Mi guardò come per incontrarmi ed io vidi l'amore e la sofferenza nei suoi occhi. Compresi che Lui stava dando la vita per Cristo, per il Vangelo. Era il primo ottobre 2003, festa di Santa Teresina di Lisieux, giornata mondiale delle missioni. Compresi che un cammino di fede, vissuto con intensità e verità, porta a spendersi per il Signore».
Dopo la scomparsa di una figura universalmente amata come Francesco, quali speranze le suscita Leone XIV?
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«Leone XIV mi ha conquistata quando ha detto: ‘Viviamo in un tempo che premia l'autosufficienza, l'efficienza, la prestazione. Eppure, il Vangelo ci mostra che la misura della nostra umanità non è data da ciò che possiamo conquistare, ma dalla capacità di lasciarci amare e, quando serve, anche aiutare". Se noi non entriamo in contatto con la nostra fragilità, non possiamo entrare in contatto con quella degli altri e rischiamo di sentirci superuomini, autori della nostra esistenza».
Cosa si aspetta?
«Papa Leone apre alla speranza di poter avere uno sguardo di misericordia, e non di forza, sulle persone e sulla realtà.
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