IL MARACANÀ DI POLITO AL POSTO DEL “BROCESSO” SU RAI3 – BISCARDI: “IO VADO IN ONDA DA 30 ANNI”

Malcom Pagani per il "Fatto quotidiano"

Golbo di Stato. Sgub. Polemiche che fioccheranno come nespole. Cavalcando la spaventosa minaccia di "un bar sport intelligente" in cui non sarà più possibile "parlare in tre o quattro per volta", le truppe di Antonio Polito si apprestano a occupare Rai3. Il programma (prima profanazione) si chiamerà Maracanà e con la promessa di ibernare le passioni pallonare deputandole ai "non addetti ai lavori" si candida a ideale sonnifero autunnale del lunedì sera.

Tavor-Maracanà, figlio di una riesumazione pretesa dall'archeologo di fama, il neodirettore di rete Andrea Vianello, ossessionato dal recupero delle reliquie, dalla spending review e dall'idiosincrasia allo share, ci farà sognare.

Spingendoci al sacro esercizio della memoria, mandando indietro il ricordo a quando nel postribolo televisivo di Aldo Biscardi, con Sky che all'epoca significava solo cielo, scambiavano ruolo, proscenio e opinioni luminose Carmelo Bene e Gianni Brera. In trepidante attesa che il dottor Emanuele Macaluso, superi barricate, molotov e filo spinato (il grazioso benvenuto del cdr di Rai Sport a Polito) per motteggiare sulle primavere dell'immarcescibile Pirlo, l'ex direttore de Il Riformista ha ascoltato la benedizione a metà dell'Aldissimo.

La solita sublime insalata russa da consumato gaffeur. Prima l'abbraccio: "Polito è un giornalista bravo e capace, sono sicuro che farà un buon programma", poi la puntualizzazione di stampo vagamente iettatorio: "E mi infastidisce che la Rai organizzi un Processo simile al mio? Ma per carità. La Rai ha già fatto un Processo del lunedì: lo condusse Marino Bartoletti per un paio d'anni, poi venne soppresso. Sono abituato. Anche Mosca fece un Appello del martedi, su Italia1, ma anche quel programma durò solo qualche anno". Infine la ratifica di un'inimitabilità: io, invece, sono orgoglioso di andare in onda da oltre un trentennio".

Tre decenni di meraviglie orchestrate da un "genio del mediocre" (Aldo Grasso), bifronte e trasversale. A suo agio con sacro, profano e dirigenti del Pci, Aldo scriveva biografie autorizzate del Papa e si augurava a modo suo che l'Occidente trionfasse, meglio se in diretta.

"A nome di tutta l'umanità mi auguro che venga catturato, magari anche durante il Brogesso, quell'assassino di Bid Labben". Era una neolingua, quella di Biscardi, tra juvendini e bresidenti, figlia della provenienza molisana e dell'indifferenza alle scuole di dizione.

Erano anni difficili, quelli della giovinezza del mancato avvocato Biscardi, stagioni in cui trottare era un'esigenza. Biscardi seppe piegare le incertezze a suo vantaggio come pochi altri. Se la pronuncia era incerta, si poteva sempre prestare il proprio volto alla rèclame di un corso d'inglese: "Denghiu", come tempo prima, aveva prestato mani, corpo e pensiero alla grande scuola di Paese Sera. Seguiva i Mondiali, Biscardi, poi li processò, rubando il nome del programma da un'intuizione di Gianni Rodari, insieme a tutto il circo della Serie A.

Senza mai avvertire il peso dell'usura. Pronto a travestirsi da paciere per incendiare gli ascolti. Facendosi fare il gesto dell'ombrello da un Pertini gardenese. Trascinando in primo piano le scaramanzie di figurine irripetibili. I calzini rossi del presidente dell'Ascoli, il meraviglioso Costantino Rozzi, fidato compagno di Biscardi nel territorio del non-sense: "Presidente, era fuorigioco?", "No". "È sicuro?" "Ma che scherza? Io sono geometra e di allineamenti me ne intendo".

Le sfuriate del pisano Romeo Anconetani, quelle del leccese Franco Jurlano, le domande esistenziali: "Dove giocherà Roberto Baggio l'anno scorso?", le confusioni geosemantiche: "Cerchiamo di non provocare scintille polemiche, altrimenti si sollevano polveroni che intorbidano le acque" i salti d'epoca: "Questa è l'ultima puntata del millenovecentosette", le pornostar fidanzate con i pallonari : "È uno sgubbone, ma la sequenza non è pronta, la stanno ancora montando", gli ormoni di Maradona, turbato da una soubrette: "Aldo, non sai quanto me la vorrei fa'", le indicazioni ai collaboratori: "Passami quel fac, no, non facs, quello è il plurale, io ne voglio uno solo".

Poi l'enfasi, l'orgia di complimenti all'ospite di turno, le bombe di Maurizio Mosca, il superlativo assoluto elargito con generosità, l'occhio della critica, accolto con andreottiana, serafica imperturbabilità. Michele Serra provava a graffiare: "Nella cornice straordinaria dell'Hotel Mariuccia di Frosinone, in collegamento diretto concesso grazie al nostro amico sbonzor, ospiti senza precedenti, nell'intenzione cordiale del momento, sportivamente rinnovando il plauso sempre convinto, pur nella diversità delle opinioni, felicemente insieme" e Biscardi lo tembestava di telefonate per invitarlo in trasmissione.

Di tutto questo, nel Maracanà di Polito rischia di non esserci traccia. "Il 70 per cento degli italiani è cretino" giurava Aldo. Non sapeva che quelli che decidono in loro vece i palinsesti, a volte, possono essere molto competitivi.

 

 

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