vincino

IL MONDO VISTO DA VINCINO – LA PREFAZIONE DI FERRARA A “MI CHIAMAVANO TOGLIATTI”, L’AUTOBIOGRAFIA DEL VIGNETTISTA: “HA LA FACCIA COME IL CULO DELLA SATIRA, SE NE IMPIPA DI TUTTO E DELLA BELLA FIGURA PRIMA DI OGNI ALTRA COSA. GENIO, TALENTO, AZIONE, MITO SONO IL SUO TESORO DISEGNATO E PROIETTATO NEL NULLA DEL MONDO, E GUARDATE COME LO HA SPERPERATO” – NATANGELO: “È UNO STRATEGA IMPEGNATO IN UNA PERENNE PARTITA A SCACCHI CONTRO IL POTERE, QUALSIASI ESSO SIA”

1 –Prefazione di Giuliano Ferrara a “Mi chiamavano Togliatti” di Vincino

 

VINCINO MI CHIAMAVANO TOGLIATTI

Vincino è un populista, un antisistema, pero conosce la storia, e un populista che si e informato. Uno dei suoi fantasmini o silhouette dice a un altro, per spiegarsi tante cose tra padri e  gli: «Voi avete avuto la guerra, noi il ’68. Meglio noi».

 

C’e nient’altro da dire. Vincino ha sempre paura, e sempre in fuga da chi lo vuole prendere a botte, strilla in questura  fino a impietosire i poliziotti che lo corcano, ne prende tante, ne da qualcuna, scherza e bi- scherza, arriva nella redazione di “Lotta Continua” e dice di levare l’argenteria dai tavoli della redazione, niente revolver, perchè e un fifone di coraggio, formato a Palermo tra i morti di mafia che non riesce a disegnare se non in pantomima, ha la faccia come il culo della satira, se ne impipa di tutto e della bella figura prima di ogni altra cosa.

 

VINCINO

 

 

Il suo completo disinteresse si rovescia nell’ironia dell’avidita, si dispera come Leporello per la sua mesata: c’e sempre il problema del compenso a Vincino, che è per di piu architetto, ma che vergogna, laureato con il minimo dei voti, e questo e un vanto, militante ma venduto, un piccolo borghese che ha strillato le sue battute, e stillato i suoi disegnini, nel “Corriere” e nel “Foglio”, da cui lo abbiamo provvidenzialmente licenziato, e anche se per burla lui si è messo paura, e se ne vanta per un quarto di secolo.

GIULIANO FERRARA

 

L’infamia di Vincino non ha confini, la generosita naturale non lo riscatta, la dissipazione non lo ricompone, nel suo andare dinoccolato, fumato, nel suo barbonismo principesco, nel suo sorriso diffidente e ineguale mostra di non essere una persona integra.

 

E questa è la sua estetica, la sua arte burlesca e malinconica, è disintegrato, tira via, non vuole si veda il minimo sforzo, si finge infernale per comporre vignette tipiche del paradiso, si batte ossessivamente per il free speech a patto che si capisca sempre bene quanto poco gliene freghi, e quando minaccia i commessi della Camera e la Nilde Jotti, tutta gente molto integra, di buttarsi di sotto se non gli fanno prendere appunti disegnati in tribuna, e chiaro il capriccio infantile, evidente la cialtroneria di cui i comunisti superintegri come il caro onorevole Pochetti, che lui chiama Pochino, lo accusano con enfasi vocale, mica in torto.

VIGNETTA VINCINO DAL FOGLIO FERRARA E LA GIORNATA DI LAVORO AL FOGLIO

 

Purtroppo per lui è un letterato di genio a cavallo di due secoli, se tira una riga c’e una storia, se tondeggia e colora ecco un romanzo, ma appena senti la storia vedi che è secca come una riga, appena sei nel romanzo ti catapulti nell’Ottocento, nel secolo dello stile.

 

Altri fanno satira, lui ha fatto stile. I suoi errori di italiano sono commoventi, un artefatto naturale che nemmeno Madame Bovary. La presa sul tempo, il suo punctum senza studium, e puro Roland Barthes.

 

vincino vauro

La sua vignetta e l’archetipo vivente del clic. Il cialtrone sofisticato è stato al “Foglio” la nostra speranza, il nostro specchio, la nostra risorsa d’acqua e di alcol e di fumo. Fino a un certo punto.

 

 Agli inizi il principe Carlo faceva l’erotomane, lui ce lo mandava molto visibilmente arrapato e con l’Union Jack, il prode caporedattore Buracchio aveva dei dubbi, lui lo degradava per fax a “redattore addetto alle vignette”, a me toccava la bella figura libertaria del direttore, sior direttore, che autorizza con sovrano sprezzo del pericolo.

 

A forza di cialtronate Royal Watch fece di me un autocrate liberale, che vergogna. Poi Berlusconi fece un’esplorazione politica delle sue e Vincino ne disegno sedici che ruotavano allegri e affannati nell’aria a gran velocita con la dicitura «Dura la vita dell’esplorator», il suo amore passionale per il Cav. era incantevole. Questo gran ruffiano. Rendeva grottesca pure la nostra fronda.

 

RENZI BY VINCINO

La grandezza di Vincino non sono i giornaloni e i giornalini a cui si e legato, sopra tutto per soldi, la sua forza e stata “Il Male” e tutti quei giornali che in questo suo memoir racconta da vantone e da ballista.

 

Però sono stati giornali veri, nati d’insuccesso, coronati da successo, strangolati dall’anarchia e capaci di sfondare il muro del suono e delle copie, di fare tendenza, di farci scorticare dal ridere, dal sorridere, dal piangere lacrime amare, capolavori d’arte aggressivi e surreali, oltraggiosi e immodesti, che hanno fatto il culo al protocollo della democrazia liberale molto prima del vaffanculo di Gribbels.

IL MALE DI VAURO E VINCINO LE BRIGATE CONFINDUSTRIA

 

Vincino in quel letame disorganizzato si muoveva come un pesce nell’acqua, tiro fuori talento d’attore, imitava Craxi, si travestiva, procedeva di falso in falso in compagnia di Sandro Parenzo, di Ugo Tognazzi e di altri gentiluomini di malaffare.

 

E un uomo e un autore che ama l’assurdo, l’irriverenza e la sua seconda e terza pelle, dice di aver fatto la scuoletta con “Il Becco giallo”, con “L’Asino” di Podrecca, con Scalarini, dice di amare e imitare Reiser, mostra segni di camaraderie con figuri loschi e pericolosi della sua combriccola italiana, gli Sparagna, i Vauro, gli Staino, i Saviane, l’ardente Pazienza, insomma tutti i corruttori del linguaggio politico via satira la piu distruttiva, in questo libro c’e un curriculum impeccabile e totalmente falso.

vincino dagostino verderami

 

Sta con questi suoi fratelli, ed e chiaro che alla radice c’e un rapporto con suo padre, formidabile  gura di manager dei cantieri navali di Palermo al centro di un sistema di potere che e stato la vera natura dell’Italia repubblicana negli anni d’oro, altro che Benito Crazzo ladro, un uomo integro  no alla durezza del simbolico che Vincino amava  no al punto di farne il ribaltone incarnato che si sa, sport che i  gli praticano dai tempi di Edipo alla stagione di Freud e di Jung.

 

Ma Vincino è dei nostri? No, e his own man, fa quel che cazzo gli pare, ritira qualche vignetta se la tipografia è ferma per un suo oltraggio, obbedisce se sia il caso, in prevalenza fugge, sfugge, svicola e sta al fronte in modo sfrontato, mostra il petto e ritira la mesata.

 

Aristocratico, svagato, estremista, cedevole, si presenta come un lumpen, come un dannato della vignetta inscritto nel suo recinto sacro, che peraltro non ha come si sa confini, Vincino disegna sprazzi, nuvolette, ovali, tableau disordinati, concatenazioni scatenate, non vignette se non occasionalmente.

giuliano ferrara

 

D’altra parte e lui la vignetta che conta, il suo esame di stato con la pianta dell’Ucciardone spacciata al caro Franco Berlanda come un Panopticon dell’utopia, e lui il volgare truffatore che grida Viva il duce per salvarsi il culo, che si abbassa a scrivere agli esami da professionista, dopo due prove incredibilmente disegnate, per avere la Casagit.

 

E lui che crede troppo negli altri, nella vita miserabile e limitata in cui siamo costretti, nell’amore e nei viaggi e nella dissimulazione, per credere anche a se stesso. Genio, talento, azione, mito sono il suo tesoro disegnato e proiettato nel nulla del mondo, e guardate come lo ha sperperato.

 

2 – VINCINO, IL "POVERACCIO" CHE NON HA FATTO LA STORIA MA L' HA RACCONTATA

Mario Natangelo per il “Fatto Quotidiano”

 

IL MALE DI VAURO E VINCINO IL MALE DI VAURO E VINCINO

"Io non ricordo come ricordo questo ricordo però ricordo": così inizia l' autobiografia Mi chiamavano Togliatti di Vincino, vignettista de Il Foglio e motore (im)mobile della satira italiana dagli anni 60 a oggi.

 

Una vita raccontata per giornali, da L' Ora di Palermo a L' avventurista di Lotta Continua, poi Il Male, Tango, Il Foglio, Corriere della Sera e ancora altri.

 

Una storia di riviste senza una lira e di contratti milionari, banchetti mondani e pezze al culo, risse furiose, morte e galera. Il vignettista Vincino è uno stratega impegnato in una perenne partita a scacchi contro il potere, qualsiasi esso sia, ma la cui minaccia è sempre uguale e l' autore ce la svela con un incubo avuto ai tempi in cui raccontava a disegni il Maxi-processo di Palermo: che uno di quei mafiosi gli tagliasse le mani.

vincino 15 anni dagospia

 

Non che lo uccidesse, badate bene: che gli tagliasse le mani. Si è discusso molto di cosa sia la satira, specie dopo la carneficina di Charlie Hebdo del gennaio del 2015: nell' autobiografia di Vincino c' è l' essenza della satira.

 

"Un altro incontro con i fascisti avviene a Gela, mentre torno a casa da solo di notte. Cinque fascisti mi attorniano: 'Rosso, di': Viva il Duce!'. E io: 'Viva il Duce!'. Me la scapolo così. Lo so, non è onorevole ma mi salvo il culo": la satira 'se la scapola', quando può, sfugge a una situazione pericolosa sfilando via la testa dal cappio. Ma nel cappio la testa ce la infila volentieri, il cappio è l' essenza della satira: senza cappio, non c' è satira.

 

verdini vincino 3

E di quanti cappi racconta Vincino, e di quante provocazioni ritirate per scapolarsela. Accetta di tacere una volta per continuare a colpire, perché la voce non si spenga mai e le mani non siano tagliate.

 

Dal primo giornalino scolastico sul quale ha iniziato a pubblicare vignette (all' età di undici anni) fino a oggi. Da Gianni Riotta a Enzo Biagi passando per Eugenio Scalfari, Lucia Annunziata, Claudio Sabelli Fioretti e altri ancora, Vincino dipinge un ritratto spietato non solo della classe politica, ma anche del mondo giornalistico.

 

vincino con valentina e michele ainis

Ma sia chiaro: Vincino non è un eroe, Vincino si presenta come un poveraccio che non ha fatto la storia ma l' ha raccontata, combattuta e spesso subita. Vincino è pragmatico, senza soldi non si campa: "Non ho mai rifiutato soldi", scrive, e quando lo criticano per avere accettato un premio 'borghese' come il Premiolino (uno dei più importanti premi giornalistici italiani) e i relativi 3 milioni di lire, lui risponde con una vignetta che recita: "Lettore, se ritieni che debba rifiutare il premio, invia Tre Milioni specificando: per Vincino acciocché rifiuti il Premiolino". Vincino è un poveraccio, ma è uno che si è divertito da matti. Vincino è uno che non ha avuto pietà per nessuno e mai per se stesso. Vincino è uno che i limiti della satira "li infrangiamo tutti con convinzione e pervicacia".

vincino

 

Vincino ha fatto lavori per il Pci facendosi pagare dalla Lega delle cooperative (Tangentopoli, do you remember?), Vincino ha scoperto chi c' era dietro il Golpe Tejero in Spagna, Vincino ha minacciato di buttarsi di sotto - alla Camera, dinanzi a un' inferocita Nilde Iotti - perché volevano impedirgli di disegnare dal vivo. Vincino è uno che scrive "un' autobiografia disegnata a dispense - Tomo I° (abbiate fede)" sapendo benissimo che il Tomo II non ci sarà ma noi avremo fede. Eccolo, Vincino.

Ecco la satira.

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