1- NON è TORNATO SOLO IL BANANA: SONO RISORTI ANCHE CONTE E IL DUO TOTTI&ZEMAN 2- DOPO 122 GIORNI LONTANO DAL CAMPO, L'ALLENATORE BIANCONERO CONFESSA DI AVER PROVATO “DOLORE”. LA SUA JUVENTUS A PALERMO RESTA IN TESTA GRAZIE AL “DISSIDENTE” LICHSTEINER, CHE METTE DENTRO UNA GENIALE INTUIZIONE DI VUCINIC 3- IL PRIMO REGALO DI NATALE A CONTE LO FA STRAMACCIONI, CHE BATTE IL NAPOLI 4- DOPO IL DERBY ROMANO, NON C'ERA BOTTEGA CHE NON ESPONESSE LE INSEGNE DEL FALLIMENTO. TUTTI CERTI DI VEDERE ESONERI DEL BOEMO, TRAGEDIE SPORTIVE, SMEMBRAMENTI PROGRESSIVI DELL’ENNESIMO “PROGGGETTO” NAUFRAGATO 5- CON LA FIORENTINA, LAMPI DI BELLEZZA IN SERIE. TOTTI SEGNA LA METÀ DEI GOL DELLA SUA SQUADRA, MA È IL 4-2 FINALE NEL SUO COMPLESSO AD APPARTENERGLI. PER ABNEGAZIONE E UBIQUITÀ (CORRE TANTO, CORRE BENE), LA COPERTINA È ANCORA SUA: “IL TEMPO ERA SCADUTO, IO HO TIRATO, POI COME ANNAVA ANNAVA”. È ANDATA BENE...

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Si cita: "Come ho detto qualche settimana fa, mi è mancato l'odore dell'erba". Si valuta da sé evocando il Mourinho di Milano: "Forse un po' speciale sono anch'io". Si confessa: "Ho provato dolore". Giura che rimanere lontano centoventidue giorni dal campo gli ha provocato "dolore". Nello iato tra finzione e realtà, Antonio Conte ricomincia da dove aveva finito. Torna a guidare la Juventus e vince, con nitore inversamente proporzionale al risultato.

La Juventus di Palermo, compresa l'antica propensione a non chiudere le partite quando tutto (differenza di valori e occasioni create) lo consentirebbe. Ci pensa Lichsteiner, allora, uno dei giocatori che con il tecnico leccese ha il rapporto peggiore. Insieme a un altro dissidente, Quagliarella, lo svizzero avrebbe dovuto vedere la gara dalla panchina. Invece, causa forfait di Isla, gioca e mette dentro una geniale intuizione di Vucinic. Colpo di tacco, Lichsteiner solo davanti a Ujkani e definitivo 0-1.

Tre punti che nella settimana che in fila proponeva derby, trasferta di Champions a Donestk e temute rivincite siciliane ordite da ex juventini inespressi (Miccoli, Gasperini) confermano la leadership juventina e restituiscono la terza vittoria consecutiva. Se in Ucraina aveva deciso Giovinco, a Palermo, in una festa dello spreco (Matri, Vucinic, Vidal) risolve un difensore. I punti sono 38. Il titolo di campione d'inverno si avvicina. Il primo regalo di Natale per Conte, intanto, arriva in serata. Lo firma l'Inter di Stramaccioni. Batte il Napoli, lo supera in classifica e lo lascia a cinque punti della capolista.

NEL FREDDO DI MILANO.


Sale a meno quattro dalla Juve, di nuovo seconda, la squadra di Stramaccioni. Nella ghiacciaia di San Siro, Inter-Napoli non delude le attese. Non ha i ritmi da playstation della stupenda Roma-Fiorentina di sabato, ma è bella e a tratti illuminata dai solisti. Da una parte Guarin, Cassano e Milito. Dall'altra un Lorenzo Insigne che rimane negli occhi per idee, movimento e semplicità di invenzione. Nonostante questo e un sostanziale dominio, il Napoli perde.

Prende uno strano gol da Guarin dopo 8 minuti (angolo di Cassano con il colombiano che finge di allontanarsi e poi, dimenticato a centro area dai centrali di Mazzarri, segue la traiettoria della parabola e marca l' 1-0) e permette all'Inter di costruire il successo sul suo terreno preferito, quello del caro vecchio contropiede. La banda di Zanetti soffre (il Napoli sfiora tre volte il pari, ma Cavani sbaglia troppo) e quando sembra sul punto di cedere, realizza inaspettatamente il 2-0 con il secondo tiro in porta dell'intero primo tempo.

Del gol si occupa Milito (male De Santis) di nuovo a segno nel cuore dell'area dopo un mese di magre e le telecamere lo colgono a esultare sorridente: "cazzo, cazzo!". Nella ripresa, dopo aver rischiato di subire il 3-0 da Cassano fantozzianamente sfortunato ("scusi, chi ha fatto palo?"), il Napoli accorcia il passivo con il suo santo uruguaiano in mischia. Sul 2-1 l'Inter si difende anche in otto uomini, ma l'ingresso di Pandev in appoggio a Cavani, Insigne e Hamsik, poi colto da crampi e nonostante una follia di Pereira a un passo dall'autogol, non produce il punto auspicato. L'Inter, ancora nervosetta per il caso Sneijder, è attesa dalla Lazio sabato sera. Il Napoli dall'ennesimo decollo difettoso.

ZEMAN E TOTTI, W I VECCHI.

Dietro il terzetto, Zeman, Totti e la Roma. Il patto sacrale tra il tecnico dell'utopia e uno dei più forti calciatori dell'ultimo mezzo secolo, produce un'alchimia che in città conoscono bene. Un mese fa (salvo il magnifico pazzo Giancarlo Dotto, in direzione ostinata e contraria: "vedo del buono" dopo la sconfitta nel derby) non c'era bottega critica che non esponesse le insegne del fallimento. Tutti certi di vedere esoneri del boemo, tragedie sportive all'orizzonte, smembramenti progressivi dell'ennesimo "progggetto" naufragato.

Sarebbe forse accaduto se Totti, leva calcistica della classe '76, 221 gol, innumerevoli magìe che presto o tardi (come avvenne con Baggio) mancheranno anche agli antiromanisti viscerali, non avesse messo la propria storia tra la diffidenza e il tecnico di Praga. In primavera saranno vent'anni da quando su suggerimento di Mihailovic, Vujadin Boskov lo buttò dentro a Brescia. Vent'anni di Totti. Non uno qualsiasi. Non uno qualunque. Ha parlato "lui". In pubblico e in privato. Ha fatto capire da che parte stava e la Roma ha cancellato imbarazzi e discontinuità.

Con la Fiorentina, quarta vittoria consecutiva (Juventus a soli nove punti, Lazio agganciata a 29 in attesa della trasferta bolognese di lunedì notte) e lampi di bellezza in serie. Totti segna la metà dei gol della sua squadra, ma è il 4-2 finale nel suo complesso ad appartenergli quasi in toto. Intorno si muove l'orchestra, ma per abnegazione, ubiquità (corre tanto, corre bene), disincanto, la copertina è ancora sua: "Il tempo era scaduto, io ho tirato, poi come annava annava". È andata bene. Anche per Zeman. Di nuovo maestro, profeta, vate. Domenica c'è il Chievo. Verona aspetta la quinta. Poi, ma questo forse già da sabato sera, a Roma si tornerà a parlare di scudetto.

IL MILAN È ALLEGRI.

Visti i quindici punti di distanza, lo stesso non accadrà a Milanello. Ma il Milan è tornato e la vittoria nella tana del Torino non fa altro che confermare una tendenza. La capacità di recuperare il risultato. E la terminata anemia del suo attacco. Dopo la follia iniziale di Nocerino (passaggio sbagliato, autostrada per Santana e 1-0 del Toro), rimedia Robinho con un gol bellissimo. Poi la vittoria degli Allegri boys (Guardiola al momento è più lontano di Balotelli) è favorita dal dodicesimo uomo in campo, il portiere avversario Gillet. I suoi errori tagliano la partita e consentono anche a El Sharaawy il solito sigillo domenicale. Il 2-4 di Bianchi in chiusura vale solo per le statistiche. Se vuole evitare il solito ascensore con la B, il glorioso Torino deve stare attentissimo. Se Urbano Cairo vuole davvero ambire a La7, sarà bene non si presenti al tavolo delle trattative con una retrocessione.

HOTEL PAURA E INSULTI PESCARESI.

Il Chievo corsaro di Eugenio Corini, zitto zitto, ha staccato il gruppone delle squadre coinvolte nell'affaire retrocessione. Seconda vittoria in trasferta consecutiva dopo quella di Genova, meno meritata, ma fondamentale. Il Cagliari attacca, il Chievo segna. Il 2-0 finale, blindato dalle parate di Sorrentino e impreziosito da un capolavoro di Therau, spinge i veronesi a 18 punti. Dalle parti di Atalanta e Parma (2-1 sabato pomeriggio) e ampiamente sopra le derelitta che si alternano sul fondo. La più disperata sembra il Genoa, sconfitto anche a Pescara (2-0) per la settima volta nelle ultime 8 gare e penultima (ma il Siena è penalizzato di sei punti). Del Neri si insulta con i suoi giocatori nello spogliatoio, in campo la squadra pare non seguirlo arrendendosi senza particolari sussulti di dignità ai modestissimi abruzzesi. Ora Preziosi pensa a richiamare De Canio e a rinforzare una squadra con i doni di Lotito (Matuzalem, Sculli, Zarate). C'è ancora tempo. Il Pescara intanto sale a 14.

SE GLI ULTIMI NON SARANNO I PRIMI.

Dietro come detto, ultimo rimane il Siena, piegato in casa propria con lo stesso punteggio della settimana precedente. Tre a uno aveva vinto la Roma in rimonta, tre a uno vince il Catania di Maran (ottavo a 22, applausi) dopo aver sofferto nella prima parte. Rosina illude, Castro e Bergessio ribaltano il quadro. Cosmi che nonostante la modestia del gruppo sta facendo più del massimo, è depresso. Difficile dargli torto.

 

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