"NOI ARTISTI STIAMO DIVENTANDO BORGHESI RAMMOLLITI. NON RIUSCIAMO PIÙ A RACCONTARE IL DISAGIO E IL DISSENSO" – SERGIO RUBINI PARLA DELLO STATO COMATOSO DEL MONDO ARTISTICO ITALIANO SOTTO LA NUOVA “EGEMONIA CULTURALE” DELLA MELONI E DEL MINISTRO GIULI: “IL CINEMA È IMBRIGLIATO DA REGOLE CHE HANNO A CHE FARE CON L'ECONOMIA E CON LA POLITICA. È UN'INDUSTRIA GESTITA DA UOMINI DEL PASSATO CHE CERCANO DI INTERPRETARE I CAMBIAMENTI E NON SOGNANO” – “BASTA CON LA RETORICA CHE TOCCA AI GIOVANI. MA QUESTI POVERI CRISTI CHE POSSONO FARE SE IL SISTEMA È GOVERNATO DA ADULTI SALDI SULLE LORO POLTRONE? SERVIREBBE CHE…”
Estratto dell’articolo di Carmine Saviano per “la Repubblica”
SERGIO RUBINI - FOTO DI CLAUDIO PORCARELLI
«Odio la liturgia del teatro. I camerini, gli applausi. La polvere del palcoscenico mi dà fastidio. Calato il sipario, l'attore dovrebbe andare a nascondersi a casa e lasciare agli spettatori solo il ricordo del personaggio». Nonostante l'odio e la polvere, domani Sergio Rubini porta in scena al Teatro Bellini di Napoli Quarantena napoletana, monologo tratto dal libro di Eduardo Cicelyn. […]
Rubini, ricorda come definì il periodo del Covid?
«Assolutamente no».
"Siamo entrati in scena senza conoscere le battute".
«Mi sembra calzante, no?».
Siamo usciti dai lockdown con qualche battuta in meno o con qualche battuta in più?
«Anestetizzati e senza possibilità di capire che il mondo era cambiato».
Spieghi.
«Con la pandemia il Novecento si è definitivamente concluso. Sento che manca la possibilità di immaginare un futuro. Arranchiamo».
Siamo messi così male?
«Non mi sembra ci sia uno straccio di visione».
Se lo dice lei che di mestiere fa l'artista e che quelle visioni dovrebbe contribuire a generarle…
«Semplice analisi. Guardi al cinema: è imbrigliato da regole che hanno a che fare con l'economia e con la politica. È un'industria gestita da uomini del passato che cercano di interpretare i cambiamenti e non sognano più. Vanno le piattaforme? E allora tutti sulle piattaforme? Va la serialità breve? E allora tutti sulla serialità breve».
[…] «Sono impaurito. È come se sentissi di non poter raccontare fino in fondo il disappunto, il disagio, il dissenso. Non siamo più artisti. Siamo borghesi, in qualche modo benestanti; in qualche modo rammolliti».
[…] Come pensa di uscirne? Affidandosi ai giovani?
«Basta con la retorica che tocca ai giovani. Ma questi poveri cristi che possono fare se il sistema è governato da adulti saldi sulle loro poltrone?».
Sventoliamo bandiera bianca?
«Servirebbe che noi tutti, insieme, fossimo disposti a cedere un centimetro dello spazio che abbiamo, anche meritatamente, occupato. Non so se accadrà».
[…] «L'arte è ontologicamente "contro". Lo è anche, ripeto, in modo puerile. Ma genera dissenso. Apre spazi dialettici. Ci fa chiedere: "È giusto quello che mi è chiesto di fare?". Porsi domande: è quello che insegnano i grandi vecchi e i maestri».
Ce ne sono ancora?
«Il punto è che non vengono neanche riconosciuti. Penso ad esimi e autorevolissimi colleghi che accanto al nome di Federico Fellini hanno messo gli aggettivi "noioso" e "prevedibile". Lasciamo stare…».
Andiamo avanti, invece. Si riferisce a Luca Guadagnino.
«Lasciamo stare». […]
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