the last days of roger federer

COSA SPINGE ROGER FEDERER, ZLATAN IBRAHIMOVIC, GIGI BUFFON A NON RITIRARSI NONOSTANTE L'ETA'? - SE LO CHIEDE LO SCRITTORE AMERICANO GEOFF DYER NEL SUO LIBRO "THE LAST DAYS OF ROGER FEDERER (E ALTRI FINALI)" - GABRIELE ROMAGNOLI: "SE È VERO CHE 'LA VITA È UNA CUPOLA DI VETRI COLORATI NEL BIANCORE DELL'ETERNITÀ' COME SPEGNIAMO LA LUCE? COME PUÒ RASSEGNARSI CHI HA DATO FULGORE A QUEI VETRI? LEGGENDO DYER, AFFIORANO TRE MODALITÀ…" (LA PIU' EFFICACE: LEVARSI DAL CAZZO)

THE LAST DAYS OF ROGER FEDERER

Gabriele Romagnoli per “la Repubblica”

 

Come finirà questo articolo? Ha senso chiederselo se si è appena cominciato a scriverlo? O a leggerlo? Tenete ben presente l'ammonimento della poetessa americana Louise Gluck: «Non esiste il finale perfetto. Di fatto, esistono infiniti finali. O forse, una volta che si sia iniziato, non ci sono altro che finali». Amen.

 

Questa citazione appare, quasi inevitabilmente, al termine dell'ultimo libro di Geoff Dyer, The last days of Roger Federer (e altri finali). Il lungo addio del tennista più amato del nostro tempo fornisce lo spunto per una riflessione polifonica sull'arte di concludere, a lungo sottovalutata. Grandi studi sugli incipit, ma l'importante è (saper) finire. E dunque conservare per l'ultima riga quel che insegna il congedo di Federer. Intanto, giochiamo.

 

roger federer

Per quanto siamo affamati di vita, esperienza, immortalità, andiamo pazzi per il terminale. Sarà perché siamo tutti autobus diretti al capolinea, a un certo punto del viaggio ci prende l'attrazione finale. Metti la parola "ultimo" in un titolo e sarà un successo: Ultimo tango (a Parigi), L'ultimo bacio, imperatore, dei mohicani, Ultimo in sé (il cantante o il capitano, fate voi). Corriamo a vedere il tramonto, ci colpisce il raggio verde, vorremmo durasse per sempre, ma sappiamo che non è possibile e proprio per questo ci estasiamo.

 

Se è vero che «la vita è una cupola di vetri colorati nel biancore dell'eternità » come spegniamo la luce? Come può rassegnarsi chi ha dato fulgore a quei vetri (dipingendo, ma anchecomponendo, scrivendo o, perché no, giocando a tennis) all'effetto dimmer degli ultimi giorni? Leggendo Dyer e le cronache contemporanee affiorano tre modalità.

 

valentino rossi

La prima è: non mollare mai, nonostante tutto. Nonostante il declino, lo sfioramento del ridicolo (qualche volta centrato in pieno), la vanità, in ogni possibile senso, dello sforzo fuori tempo massimo. Ibrahimovic che si proclama immortale, ma da bordo campo, Buffon nell'universo parallelo della serie B. Valentino Rossi sorpassato dai "figli". Certi scrittori che non smettono di pubblicare.

 

Chuck Palahniuk

Lasciamo a Dyer la prima pietra: Don DeLillo. Tirarne qualche altra? Chuck Palaniuk, e, osiamo, Michel Houellebecq. D'accordo: hai scritto Underworld , Fight club , Piattaforma , dovresti fermarti perché il resto è tutta discesa? Forse. O forse no, se quella è la tua vita. O piuttosto la sua rappresentazione? È necessità o inerzia? L'una e l'altro? Avanti, allora, con l'ineffabile speranza della rimonta, del colpo di coda.

 

sixto rodriguez

A volte riesce, ma i casi sono così rari che ce li ricordiamo come i miracoli nel Vangelo. Ali che torna campione a Kinsasha, a 32 anni. Sixto Rodrigues detto Sugar Man ripescato dall'anonimato a trent' anni anni da un esordio senza successo e divenuto un caso internazionale. Tanto vale sdraiarsi e credere in Nietzsche, aspettando l'eterno ritorno. Ogni artista dimenticato si sente un pantalone a zampa d'elefante in fondo al guardaroba: è solo questione di tempo, basta non morire prima. Prima di quando? Quanto vale la fama postuma? Non tanto, se in tanti rimettono insieme la vecchia banda per tentare il fatidico ultimo colpo.

 

juventus platini e trapattoni

Perché lo fanno? Concordo con Dyer: non per il brivido del rischio di fallire, ma per la certezza di fallire. Chiuderla così, con la propria arma in mano: pistola, pennello, computer o quel che si è afferrato nella vita, foss' anche il pugno di mosche. Oppure? La seconda modalità per uscire di scena è: giocare d'anticipo. Chiamare il personale sipario mentre i colleghi ancora recitano e il pubblico ha gli occhi accesi.

 

Salinger scomparso nei boschi, Platini rimasto nello spogliatoio, Jack Frusciante uscito dal gruppo e Björn Borg, a soli 26 anni, che perde due finali contro McEnroe e proclama: «O sei il numero uno o non sei niente» e nulla diventa. O meglio: fa il giudice nei concorsi di miss maglietta bagnata, produce intimo e bancarotte seriali. Niente, o poco meno. Un finale col botto, per farsi notare. Sì, ma dopo? Un poeta amico di Cioranaveva intimato di non voler più vedere nessuno, basta, si era ritirato dal mondo, chiuso nella sua camera.

 

IL RITIRO DI FRANCESCO TOTTI

La moglie ogni tanto usciva dal retro, suonava il campanello, fingeva un dialogo in cui respingeva il visitatore. Il mondo è un letto rifatto ogni mattino: della notte precedente non resta traccia. Dei famosi di oggi uno su mille sarà noto alla prossima generazione. Una volta chiesi a Giorgio Bocca, già ottantenne, perché scrivesse ancora tanto. Mi guardò perplesso e contro- domandò: «Ti ricordi X?», «No», «Appunto, ha smesso prima». Chi smette prima a volte pensa che ci sia un mondo là fuori più interessante dello spogliatoio o dello studio di registrazione.

IL RITIRO DI FRANCESCO TOTTI

 

 Dipende dalla capacità di saperlo vivere. Circoscritto dallo stadio illuminato nella notte di Roma, Francesco Totti era un puntino consapevole che là fuori ci sarebbero stati molto buio e molto caos, che la sua felicità sfumava, ma se avesse lasciato prima sarebbe stata la stessa cosa. L'ultima fase richiede un guizzo creativo perfino superiore a quello che ha consentito di raggiungere il picco centrale. La terza modalità allora è: reinventarsi. Una parola. Eppure. Bob Dylan, l'inventore del distanziamento sociale, ha continuato a riscrivere le sue canzoni.

 

BOB DYLAN 2

Ha cambiato le parole, il modo di cantarle, l'arrangiamento. Avrebbe detto Leonard Cohen: nuova pelle per le vecchie cerimonie. Lui pure, che gran finale. Esce dal monastero zen, scopre di essere rovinato, indossa un completo scuro, un cappello e gira il mondo con un nuovo repertorio. Non è saper invecchiare, è rinascere. È, perdoni Evtusenko, morire prima di morire, ma solo per aver lasciato andare il vecchio sé, o una parte di sé. È un trucco, in fondo. Come quello di William Turner, che non finiva mai veramente un dipinto.

 

federer

Se nulla è infinito, tu lascialo incompiuto. Di tutti i filosofi citati da Dyer quello che resta impresso è il suo osteopata. Alla domanda sulla durata dell'effetto dell'eventuale operazione chirurgica risponde: «Viviamo nel mondo di Zara. Niente dura per la vita, neanche la vita». E quindi, noi che siamo qui ad aspettare l'eterno ritorno di Roger Federer, a desiderare i suoi ultimi colpi, come l'affrontiamo il game conclusivo? Con una botta di saggezza: «Non giocare per il punto, gioca la palla».

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