sveva sagramola

E’ IN TV TUTTI I GIORNI DA 26 ANNI MA DICE DI ESSERE SCHIVA (PENSATE SE FOSSE STATA PURE ESPANSIVA), SVEVA SAGRAMOLA, CONDUTTRICE DI “GEO” SI RACCONTA: “SOGNAVO DI DIVENTARE MISSIONARIA. AI TEMPI DI 'MIXER' (AH, MINOLI!, NDR) HO GIRATO IL MONDO CON GABRIELE MUCCINO - PUNTURINE? NE FECI 2 A 40 ANNI. ACCETTO LE RUGHE E NON RICORRO A INTERVENTI ESTETICI. USO I VESTITI VECCHI, NEL CAMERINO GLI ABITI STANNO LÌ ANCHE DA QUINDICI ANNI" (CHIAMATE I NAS) - "L’AMORE? L’HO SCOPERTO TARDI, ORA STO CON…”

Luca Bergamin per il “Corriere della Sera” - Estratti

 

(…)

 

Sveva Sagramola

Da 26 anni presenta Geo . È considerata la conduttrice più dolce della televisione.

«È una dolcezza che nasconde un’anima di acciaio. Sono una persona molto forte, altrimenti non avrei saputo conservare una conduzione per 26 anni, tutti i giorni. Senza equilibrio, una donna affettiva e sensibile come me non avrebbe potuto superare tante vicissitudini della vita. Sono assai cocciuta».

 

Chi la conosce sostiene che Sagramola è autentica: sullo schermo come nella vita.

«Da 32 anni vado in video per comunicare. Ho una natura schiva, la classica ragazza da ultimo banco di scuola: stare defilata ti protegge e ti dà uno sguardo sulle cose che accadono in prima fila. Ha aiutato anche la scuola di Mixer . (…)

 

Lei è un po’ argentina, pur se non è nata in Sudamerica.

«Mia mamma ci ha vissuto per vent’anni, poi è arrivata in Italia e ha conosciuto mio padre, ufficiale di cavalleria. Si sono sposati, hanno avuto quattro figli. Io sono una boomer . Si sono separati quando avevo 11 anni: lei ha iniziato a lavorare come fotografa, vivendo la propria dimensione umana e femminile in un periodo complicato per le donne sole ed emancipate».

 

Aveva il sogno di diventare infermiera e missionaria.

Sveva Sagramola

«Sì, poi è subentrata la passione per la filosofia, la letteratura, l’antropologia. Ho avuto un compagno viaggiatore che mi ha fatto innamorare dell’Asia, soprattutto l’India; così mi sono aperta a una dimensione di curiosità, conoscenza e osservazione delle persone: mescolarmi, entrare nelle case, capire le culture, stare nei posti. Nulla di più lontano dalla comfort zone dei viaggi di oggi.

 

La prima volta a Varanasi, sulla riva del Gange, all’alba mi trovai di fronte a una povertà immensa, alla disperazione più totale che noi occidentali stentiamo ancora a comprendere».

 

Poi toccò all’Africa, anche in compagnia di Gabriele Muccino.

«Ho girato tanti reportage insieme ad Amref Italia, iniziando con largo anticipo a raccontare il rapporto dell’essere umano con la dimensione naturale. La mia tesi di laurea è stata in Kenya sul popolo pastorale dei Turkana. Parlando con loro compresi che erano vittime inconsapevoli di un modello di sviluppo lontano nel tempo, non sapevano nulla di gas serra, non mi capivano. Gabriele filmava i cortometraggi per Mixer e i lanci per Professione Natura. Insieme abbiamo girato il mondo dalla Tanzania alla Patagonia, vivendo autentiche epifanie in paradisi incontaminati.

Sveva Sagramola

 

A Geo, grazie anche ai bravissimi documentaristi che collaborano con noi, affrontiamo il tema del nostro modo di stare al mondo, il rapporto tra economia, energie sostenibili, alimentazione, agricoltura».

 

Come si salva la Terra dai gas serra?

«Non certo con la tecnologia. Questo modello produttivo è iper consumistico, siamo arrivati a un punto limite che ha creato un’estrema disuguaglianza sociale. Alla crescita va unito il benessere sociale di tutti e la cura. Prima della raccolta differenziata, bisogna non essere predatori, bulimici nel consumo: meno hai e più sei libero di esprimere quello che hai dentro».

 

Lei si comporta davvero così a casa sua?

«Uso i vestiti vecchi, nel camerino gli abiti stanno lì anche da quindici anni, li trasformo con la costumista, li rovesciamo. Per me acquisto solo capi classici, che durano nel tempo. Faccio la spesa in quattro posti diversi: oggi nutrirsi bene è un lavoro. Per la frutta e verdura vado al mercato rionale: conosco tutti, discutiamo dei prezzi. Leggo gli ingredienti sull’etichetta, evito cose raffinate, cerco di privilegiare lo sfuso. In questo greenwashing imperante, ci mettono un attimo a spacciarti una cosa per un’altra».

 

Ha sposato un argentino che fa Dolce di cognome.

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«Diego è l’approdo alla soglia dei 40 anni in un momento in cui ero convinta che non sarei più stata in grado di costruire una vita stabile. Non nutrivo aspettative, mi sentivo assolutamente libera, con lui è venuto tutto semplice. L’avevo conosciuto quando avevo 15 anni e andai a trovare i miei cugini argentini. Trascorremmo un dicembre insieme al mare, ma non ci fu nemmeno un bacio. Lo rividi nel 1997 e pensai: affascinante, ma abita lontano. Dopo la crisi del 2001 si trasferì a Madrid, la distanza si era ridotta, mio cugino Paulo ha fatto da Cupido».

 

Vostra figlia si chiama Petra, la spiaggia di Patmos su cui affaccia la locanda.

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«Sulla baia di questa isola c’è un enorme sasso che si chiama così: un luogo di eremitaggio per i monaci, lo dipingo spesso nei miei acquerelli. A Diego è venuta in mente l’idea di forza e bellezza che c’è nella pietra. Unito al cognome Dolce è un poesia».

 

Tra un anno ne compirà sessanta. Che effetto le fa?

«I numeri tondi fanno sempre impressione. Io ho scelto di invecchiare in modo naturale, in un dialogo continuo col corpo che cambia. Accetto le rughe e non ricorro a interventi estetici. Feci due punturine a quarant’anni. Diego disse che prima se le sarebbe fatte anche lui, e poi mi avrebbe lasciato».

 

(...)

 

Magari a Mediaset? Tanti stanno lasciando la Rai.

«Ho visto avvicendarsi in Rai tante direzioni e governi, ogni volta c’è chi sale e scende, va e resta. La Rai è patrimonio culturale di talenti, spiace sempre perderne. Conta il servizio pubblico. Il pluralismo resterà e la Rai non diventerà monocolore».

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