TELE-BRUNETTA - IL TALK-CIVETTA DI RAI3 “AGORÀ” È UN CLASSICO DELLA PATACCA DEL PLURALISMO SPACCIATO PER VERO”

Renato Brunetta per "il Foglio"

La mattina feriale di RaiTre è molto istruttiva se non altro per conoscere la Rai. La composizione del menu di quelle ore di luce aiuta a compenetrarsi nella filosofia generale della rete. Basta un po' di attenzione e appare nitidamente la Costituzione non scritta, ma molto materiale e molto pratica di questo territorio liberato dalle noie della legge sul pluralismo e la par condicio e battente bandiera "de sinistra" (rossa è un po' troppo). Da lì, con passo lieve si può risalire al posto che occupa RaiTre nel complesso del servizio pubblico e dunque alla mens dominante di tutto il falansterio della Rai.

Insomma: guarda RaiTre di mattina e puoi per induzione comprendere di che pasta sia oggi RaiTre ma alla fine - senza esagerare in deduzioni e con beneficio di inventario - persino l'Ente di stato. Un insieme di ideologia, di bravura e di furbizia, dove anche la limpidezza esemplare di taluno serve come documento universale di buona fede. Insomma, si assegna a qualcuno, dopo essersi assicurati che trattasi di ore marginali, il ruolo biblico ma sempre nuovo di foglia di fico.

Carotina al totem del pluralismo, dopo averlo bastonato e svuotato nelle midolla. La mattina di RaiTre è il regno di un monarca assoluto e incontestato: "Agorà". Accanto a questo monumento ateniese c'è, come dice la parola stessa, un nanetto: "Brontolo". Studiamo un poco la struttura dei programmi e la dose rispettiva di pluralismo, usando il metodo delle presenze spartite per appartenenza cultural-politica. Andiamo con ordine. Anche alfabetico ma non solo. Cominciamo con "Agorà".

In onda tuttora, in piena estate, è il programma le cui insegne occupano la Main Street di RaiTre City. Se ne comprende il peso strategico se si pensa che questo talkshow ha generato il direttore di tutta la comunità di programmi di questo pianeta rosso. Andrea Vianello ha guadagnato lì i galloni di direttore di RaiTre, carica che ha assunto abbandonando malvolentieri la tolda di comando del programma passata a Gerardo Greco.

Vianello è stimato da tutti, senza enfasi bullistiche, di sinistra sì, ma attento ai dosaggi. Insomma, una specie di Floris senza Crozza e senza Pagnoncelli, senza quel birignao perenne del primo della classe professionista, ma anche lui con i sondaggi dell'agenzia di sinistra (Swg) e quei movioloni con spezzoni di filmati e "spigolature della politica" che marcano il territorio e lo rendono inospitale a chi non sia della parrocchia (indovina quale). E' considerato un marchio esemplare, "Agorà".

Un sempre fresco. Al punto da non mandarlo neanche in vacanza. "L'informazione mattutina di RaiTre non va in vacanza e anzi cresce. La politica e l'approfondimento sono i piatti forti della versione estiva del talk mattutino di RaiTre. ‘Agorà' si trasforma in ‘Agorà estate' e una coppia inedita di conduttori, Serena Bortone e Giovanni Anversa, raccoglie, per il periodo estivo, il testimone di Gerardo Greco, che tornerà regolarmente al suo posto il 23 settembre. ‘Agorà estate' va in onda, dal primo luglio al 20 settembre, tutte le mattine dal lunedì al venerdì, dalle 8:00 alle 10:30, posticipando dunque di 30 minuti la chiusura classica fissata per le 10:00".

La parola decisiva di questa prosa reclamistica è nell'ultima riga: "Chiusura classica". "Agorà" è un classico. Un esempio di equilibrio, un canovaccio da esportazione. Per questo Vianello è stato promosso. E' il cavaliere del brand, che non è un cognac prodotto fuori dalla regione omonima, ma una faccenda di lusso. Come scrive la Rai medesima: "Non tradendo il proprio Dna, che ha reso ‘Agorà' - alla soglia delle 600 puntate - uno dei brand più apprezzati nel panorama del talk televisivi, l'edizione estiva continua a tenere aperta una finestra sul mondo".

Un classico del pluralismo? O forse della patacca del pluralismo spacciato per vero? Il calcolo è tremendo e sorprendente. Abbiamo esaminato le 186 puntate della trasmissione, nella stagione televisiva 2012-2013, dal 24 settembre 2012 al 28 giugno 2013 (condotta fino a tutto marzo da Vianello).

Ci siamo basati su una fonte al di sopra di ogni coloritura: i dati dell'Osservatorio di Pavia. Ecco che i soggetti politici appartenenti all'area del centrosinistra hanno totalizzato 291 presenze, pari al 45,9 per cento delle presenze totali. Gli ospiti riferiti all'area del centrodestra hanno raggiunto 222 presenze, pari al 34,3 per cento. I politici invitati dalle file del centro hanno realizzato 89 presenze, equivalenti al 12,2 per cento. Quasi non pervenuto il Movimento 5 stelle con 2 presenze. Si noti.

Fino al 24 febbraio, cioè per i primi cinque mesi di trasmissione, a voler prendere in considerazione come criterio il dato elettorale, il centrodestra aveva una maggioranza schiacciante. Dopo di che, per i successivi quattro mesi, la differenza che avrebbe dovuta essere tenuta in conto è stata dello 0,3 per cento (in concreto: stessa quota). E come diavolo è possibile far passare per pluralismo e par condicio un regalo clamoroso di presenze, tempo e spazio per i partiti di centrosinistra?

Che ragione professionale c'è? La differenza dell'11,6 per cento non è misurabile col bilancino, perché il bilancino si sfonda. Basta il buon senso, basterebbe fare un pluralismo un tanto al chilo, e la parità sarebbe imperfetta ma accettabile. Qui siamo invece al commerciante che sbaglia perché è umano, ma sbaglia sempre sul peso a proprio favore. Precisamente il centrosinistra, se teniamo buono il dato costante del 30 per cento, ha avuto il 50 per cento in più di spazio rispetto al dato di rappresentanza.

E' vero che le altre componenti hanno beneficiato del rifiuto, o quasi, del M5s a intervenire in trasmissione. Ma quello che doveva essere dei grillini è stato assegnato d'ufficio alla coalizione di Bersani supponendo una parentela di schieramento che indurrebbe Grillo a mordere Vianello e Greco. Risultato della palese illegalità, seppur più moderatamente praticata che non Fabio Fazio, Lucia Annunziata e più vicina al modello Floris, è stata la promozione del conduttore a dirigente. Come si dice, il furto (di democrazia) paga.

Qui non discutiamo di professionalità dei conduttori, e neanche delle loro fin troppo palesi simpatie gauchiste. Ciascuno ha i suoi problemi. Il discorso riguarda l'attitudine fatale di impastare i programmi virando programmaticamente a sinistra ma pretendendo che non sia vero. Con una forza di convinzione tale che nessuno o quasi si prende la briga di verificare il numero dei giocatori in campo.

Se poi uno se ne accorge e lo rimarca, come ho fatto io, la reazione canonica è mostrare stupore, appellarsi all'opinione generale, e poi sostenere, con totale scempio dell'evidenza - come ha fatto il direttore generale Gubitosi nella micro risposta alla mia interrogazione sul programma di Floris: "‘Ballarò' non può essere etichettato come programma ‘a senso unico'". E perché? Perché sì, risponde la Rai. Perché Floris è Floris, basta la parola, si sa che ama il contraddittorio. Eh no.

Chiariamo un punto: noi non etichettiamo, constatiamo. Anzi, scendo dal plurale maiestatis all'io: mi prendo la responsabilità di firmare con nome e cognome un esposto: tocca all'AgCom etichettare appiccicando una sanzione di mancato pluralismo o di campione di par condicio. Programmi a senso unico? Di certo Annunziata e Fazio sono specialisti del ramo, una stizzosa l'altro giulebboso. Ma Floris e "Agorà" no. Non dico che sono a senso unico. Ma che, come in certe statali di montagna nei tratti dove i Tir arrancano, il senso di sinistra è a doppia corsia.

Un'altra RaiTre però è possibile. Esiste, nel giardino delle sequoie, un pino nano, "Brontolo" condotto da Oliviero Beha, firma anche del Fatto, e che ha tra gli autori un giornalista Rai di grande equilibrio come Luciano Camprincoli. Uno di sinistra, sia chiaro. Lo spazio è quello del lunedì mattina. Uno analizza i dati e cosa trova? Nel periodo dal 24 settembre 2012 al 24 giugno 2013, su 38 puntate, ha ospitato 84 politici: 31 di area centrodestra, pari al 37 per cento delle presenze totali, 35 riferiti all'area del centrosinistra, pari al 41 per cento delle presenze totali, e 18 riconducibili alla coalizione di centro, pari al 22 per cento del totale.

Com'è ovvio prevale la sinistra, siamo gente di mondo e lo capiamo, la ditta è quella lì. Al punto che per correttezza ho inviato all'AgCom le seguenti osservazioni: "... Il programma ‘Brontolo' ha saputo sostanzialmente rispettare, da un lato l'equilibrio delle presenze delle forze rappresentate in Parlamento, dall'altro la completezza dell'informazione, la pluralità dei punti di vista e il contraddittorio". Beha si capisce benissimo che non ha in mente di portare il programma a spingere il popolo a votare da una parte o dall'altra. E guarda un po' anche le presenze riflettono questa impostazione.

Perché per "Brontolo" si rende possibile quello che dovrebbe essere la normalità così come deriva dal rispetto del contratto di servizio in vigore tra ministero dello Sviluppo e rete concessionaria? Forse perché è schiacciato in un angolo, non lanciato come decisivo. Un balocco da esporre per far vedere che RaiTre non ha, nonostante il nome, tre narici. Siamo così in grado di capire un po' la philosophy emergente da questo primo blocco di trasmissioni analizzate. Sono di tre tipi.

1. I programmi con cui la rete si identifica commercialmente. Sono Fazio, che va due volte la settimana in prima serata, con grande enfasi di propaganda e la grancassa specie di Repubblica, con cui è imparentato grazie all'autore Michele Serra e al Deus ex machina, Roberto Saviano. E c'è Giovanni Floris. Sono i massimi simboli dell'extraterritorialità della rete, due subcomandanti Marcos, dolci e mascherati. La bandiera dello stato indipendente dell'Amaca sventola dunque con suprema sfacciataggine su "Che tempo che fa" e con qualche maquillage su "Ballarò".

2. Poi ecco il programma simbolo, quello civetta, il biglietto da visita, meno commerciale e ufficialmente correttissimo, in realtà col trucco, che è "Agorà", che non si spegne mai, estate e inverno è la luce del cammino. Nessuno che ne abbia mai svelato la cifra di faziosità con la vaselina.

3. La foglia di fico. "Brontolo" è un programma perfetto, equilibrato. Dunque emarginato. RaiTre è accettato e promosso dal quartier generale della Rai come luogo della grande sperimentazione. In fondo RaiUno e RaiDue esistono per giustificare, rendere digeribile, con la loro media di pluralismo decente, o quasi, lo scempio consentito e persino teorizzato di RaiTre. Resta immortale, come esempio di negazionismo dell'evidenza, la nota con cui i vertici della Rai rispondono uniformemente alle puntuali osservazioni sullo sbrego programmatico della par condicio a "In mezzora", "Che tempo che fa" e "Ballarò": "In linea generale... il rispetto complessivo del pluralismo informativo da parte della Rai". Se fossi francese parlerei di paraculismo di stato.

 

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