ARBASINO E' VIVO! - “SELF-MADE MAN DI ORIGINI DECADENTI (NATO A VOGHERA NEL 1930, RINATO A ROMA NEL 1957) CON LA TENTAZIONE DI VIVERE COME SE. CIOÈ COME SE ABITASSIMO UNA SOCIETÀ CIVILISSIMA, ILLUMINATA E COSMOPOLITA...” - L'INTERVISTA DEL 2014 DI MALCOM PAGANI: ''I NOSTRI BEST-SELLER VENDONO MOLTISSIMO. SONO UN PRODOTTO DA BANCO. UNO SHAMPOO. FORSE SONO PIÙ ALTERNATIVO, IO'' - VISCONTI E ANTONIONI (“CHE PALLE”), SU NANNI MORETTI IL “MORALISTA”, SU MORAVIA “PERMALOSO”, SUGLI ANNI ’70: ‘’FIGLI DEI FIORI IN CALIFORNIA, ASSASSINI IN ITALIA”…

Malcom Pagani per il “Fatto quotidiano” del 14 luglio 2014

 

Pur refrattario all’elaborazione di un saggio sul maleducato da carrozza: “Il tempo è prezioso e la tolleranza costa già un notevole sforzo”, Alberto Arbasino soffre treni, scompartimenti e vicini ciarlieri. “Prendere le cosiddette vetture silenziose, che poi tanto silenziose non sono, è un’accortezza inutile”. Parlano tutti ad alta voce: “Dei fatti loro, dell’intimo, del personale”.

 

arbasino

E il vento caldo delle sue piccole vacanze in Spagna: “Andavamo alle Baleari. Ibiza era meravigliosa e Formentera non era altro che una lingua di sabbia tagliata dal taxi che ci portava da un lato all’altro dell’isola per il pranzo” o “i flautisti da giardino che ascoltavo d’estate dall’ammezzato di una delle mie prime case romane” non tornano a visitare la stagione dei suoi 84 anni.

 

Luglio è quasi a metà, sulla terrazza il fico ha foglie di un verde innaturale e Arbasino indossa la camicia color kaki di chi sa come attraversare il suo deserto: “Di sera esco ancora volentieri, anche se scivolare dalla Via Veneto prefelliniana alla cena in Piazza Navona, non mi accadrà più. Con Ercolino Patti, Sandro De Feo e Cesare Brandi succedeva spesso. Cesare aveva un piccolo pied-à-terre e dopo una giornata di lavoro casalinga non covava il desiderio della minestrina nel tinello.

 

Così si usciva in gruppo e si stava insieme fino alle due di notte. Mi stupivo. Lavoravano come ossessi e scrivevano senza sosta, ma non rinunciavano a vivere. Ridursi male comunque era difficile. Non tralignavamo mai. Un bicchiere, forse due. Si beveva il giusto, con moderazione”. Della grande casa con le sue iniziali sulla porta, conosce oro, incenso e giacimenti.

 

 

arbasino

Quando cerca nella biblioteca un volume di De Chirico: “Me lo regalò lui in Via della Vite, in fondo ci sono anche delle note a penna”, insegue un nome sulla Garzantina: “L’editore fiorentino di cui le parlavo era Carocci”, sventa l’attentato dell’ospite superando agile uno zaino sulla moquette o rimpiange con discrezione la mancanza di un computer: “Non lo possiedo, per alfabetizzarsi è tardi, ma ne sento la mancanza”, Arbasino denuncia il perpetuo movimento che dalla fine degli anni 50, immobile non l’ha fatto mai restare.

 

Anche se i baffi di quando intervistava Borges sono un ricordo fotografico, è nell’autoscatto del tempo che fu: “Self-made man di origini decadenti (nato a Voghera nel 1930, rinato a Roma nel 1957) con la tentazione di vivere come se. Cioè come se abitassimo una società civilissima, illuminata e cosmopolita...” e nei versi ancora attualissimi di Super-Eliogabalo: “Senza pietre di paragone/ né pretese di perfezione/ se ragiono/ a tono/ funziono/ a una condizione/ diventare ciò che sono/ non chi impersono” che Arbasino può vantare la curiosità di chi ha guardato il mondo senza curarsi delle “ultime novità”.

 

Lo stile nemico della semplificazione: “Per far contenti tutti e raggiungere le edicole degli areoporti non si può rinunciare all’ambiguità, alla notte, al mistero, all’oscurità”. L’amicizia con Agnelli: “Ci vedevamo spesso, dietro la sua raffinatezza pulsavano frequentazioni e lezioni erudite, Mario Tazzoli, Luigi Carluccio e Franco Antonicelli che alle signore di Voghera consigliava di servire i cioccolatini in coppe di cristallo”.

 

Il mondo dell’avvocato come ouverture per altri 92 splendidi e diseguali Ritratti italiani raccolti per Adelphi. Ironia, affinità elettive, distanze e convergenze di Arbasino con i pensatori del suo tempo si allineano sotto l’ombrello di un illusorio ordine alfabetico. Sono volti, echi e disegni di passato senza data. Incontri con imprenditori, registi e letterati. Quadri non sovrapponibili.

 

arbasino

Cornici di un’età irripetibile. Sulla parete d’ingresso, nel tratto grasso di un pennarello nero, uno schizzo che Pasolini donò allo scrittore durante un’intervista: “Arbasino, in un atto di industria culturale (abbietto, naturalmente)”. Gli zigomi duri, nota Arbasino: “Sono i suoi” come la freccia che Pasolini indirizza a se stesso: “Io mentre aspetto che scriva le domande a cui nobilmente rispondere”.

 

Lei arriva a Roma negli anni Cinquanta.

Avevo poco più di vent’anni e non la pensavo diversamente da Paul Nizan: ‘Non permetterò a nessuno di dire che è la più bella età della vita’. Quando si parla di Arcadia bisognerebbe essere cauti. In Italia la ricostruzione era a buon punto, ma ci sembrava comunque un’epoca noiosissima, una lunga stagione morta.

 

Sfogandosi con lei, Pasolini parla di un “ridicolo decennio”.

È un decennio di paradossi e contraddizioni. Di ultimi fuochi, di cambiamenti, di libera sessualità dietro le dune e le pinete e di libri straordinari. Lo osservavo, lo criticavo, lo subìvo il decennio dei ’50, poi adocchiavo la letteratura e mi chiedevo: ‘Come è possibile?’. Di mese in mese, anzi di giorno in giorno, in libreria era una festa. Il Pasticciaccio gaddiano, Menzogna e Sortilegio, Il Disprezzo e La noia, gli ultimi due romanzi veramente belli di Moravia.

alberto arbasino

 

Glielo disse che erano gli ultimi?

Con Alberto ce ne facemmo e dicemmo di cotte e di crude. Da ragazzo era antipatico. Da uomo maturo dispettoso, prepotente ed eccessivamente prono al partito. In vecchiaia ci rappattumammo. Non ripeteva più ‘uffa uffa’ con severo cipiglio, ma in trattoria, davanti alle pere cotte, gridava: ‘Semo tutti peracottari’. Gli era venuta voglia di ridere. È superfluo dirlo, ma mi manca moltissimo, non solo nell’ultima veste giocosa.

 

Eravate entrambi permalosi?

Lui sicuramente. Io mai, altrimenti non sarei arrivato fin qui. Alberto era ispido ed era capace di lunghissimi silenzi. Quando compì settant’anni gli portai 7 fazzolettini da Parigi. Aveva il vezzo di annodarli al collo e mi impegnai nell’acquisto. Li avevo cercati con perizia: grandi marche, colori magnifici, confezione adeguata. Li soppesò e poi disse: ‘Li conosco, a Roma li chiamano strangolini’.

 

Faceva parte degli intellettuali suscettibili?

piero tosi e luchino visconti

Lui no, ma non mancavano. C’erano persone che non tolleravano neanche l’afrore del giudizio critico e si adombravano se non si ragionava delle loro opere dal superlativo in su. In supporto non mancavano mai teorie di corifei. Gente che generosamente si prestava all’equivoco: ‘Chi osa mettersi contro da oggi in poi non è credibile’, ‘Chi non capisce è sciocco’, ‘Chi non si spella le mani è un buzzurro’.

 

 

Di Antonioni, incline all’offesa, lei scrive cose non tenere.

elsa morante alberto moravia

Con intuizione corretta, Antonioni fotografava tedio, imbecillità e incomprensioni sentimentali della società europea sottoposta all’industrializzazione forzata. Metteva sotto la lente quel disagio che i milanesi bramarono di provare nell’istante immediatamente successivo all’edificazione del primo grattacielo cittadino. Ma nel suo cinema, la pretesa letteraria si risolveva in bozzetti incongrui e programmatici. La serietà con cui agghindava i suoi improbabili personaggi, le mezze calzette elevate a paradigma del Paese, involontariamente comica. Passata la sbornia e svanito l’equivoco, in effetti, si rise.

 

 

Altro moloch dal carattere puntuto, Luchino Visconti.

alberto arbasino

In lui la componente populistica e quella dannunziana convivevano contribuendo all’essenza di un Visconti che nel retropalco e nell’isolamento sembravano esattamente la stessa persona. Uno che ideologicamente pendeva per il proletariato, detestava la classe media e respirava circondato dallo sfarzo. Un signorotto di geniale talento, ben allevato da genitori che lo portarono alla Scala fin da bambino, con una sua corte di zelantissimi sottomessi, affannati nell’eseguirne gli ordini. Frequentarlo annoiava e addolorava. Giovanni Testori, un caro amico, era sfruttato malamente. Sul versante teatrale poi, anche se gli dobbiamo spettacoli sommi come Anna Bolena e La sonnambula, l’elenco di quelli infelici ha voci in quantità. A un certo punto, anche dal loggione, prevalse lo strepito collettivo: ‘Che palle’.

 

 

In “Ritratti italiani”, parole liete sono riservate a Giorgio De Chirico.

alberto arbasino

Era unico. Straordinario. Diverso da chiunque altro. Avvertiva l’estraneità al mondo circostante, viveva al passato remoto, si sentiva inadeguato persino all’allegro, innocuo circo di Piazza di Spagna. De Chirico abitava a pochi passi dalla filiale della Banca Commerciale Italiana e temeva di essere costantemente rapinato da briganti e mascalzoni. ‘Ho paura sia a ritirare che a depositare’ mi diceva e io: ‘Maestro, perdoni, ma che razza di traffico ha con questa banca?’.

 

Il denaro per lei è stato importante?

Non troppo, ma ho sempre considerato ovvio essere pagato per scrivere: il mio lavoro. Nel ’67, ai tempi de Il Giorno di Italo Pietra, un ex comandante partigiano che ben conoscevo per antichi vincoli familiari e che dei suoi anni universitari a Pavia amava dire: ‘Ballavamo il Charleston e traducevamo Sofocle meglio degli altri’, mi trasferii in un amen al Corriere Della Sera. A Il Giorno mi pagavano regolarmente, ma da anni collaboravo senza l’ombra di un contratto. All’ennesimo rinvio della questione mi spostai in Via Solferino. Un problema simile lo ebbi anche a Repubblica. Ero stato eletto deputato con il Partito Repubblicano e l’amministrazione del giornale fu laconica: ‘Un contratto con un deputato non si fa’.

 

Divenne deputato nel 1983.

NANNI MORETTI

Me lo chiesero due fior di personaggi come Giovanni Spadolini e Bruno Visentini. Una volta con Visentini si andava a Treviso. Lui si trasformava, parlava in dialetto e diventava incomprensibile. Di preferenza litigava con uno scrittore autoctono che però dal trevigiano si era emancipato. Aveva viaggiato. Quando si incontravano non c’era facezia che non li accendesse in discussioni infinite.

 

Niente a che vedere con la timidezza di Gadda e Manganelli.

Manganelli, uno scrittore sublime, era schivo. Lo incontravi al ristorante, in una sala appartata, avviluppato in se stesso. Mandava l’ambasciata di un cameriere per salutarti, poi si raccomandava: ‘Non dire a nessuno che mi hai visto’. Gadda era diverso. Me lo ricordo su una mia vecchia spider con Bonsanti sul sedile posteriore.

 

Terrorizzato dalle curve e con la mano sul freno, Gadda era pronto a intervenire. Una sera, tornando dalla proiezione de La Bella di Lodi, chiese di fermarsi all’Hilton di Monte Mario. Si impelagò in un discorso da ingegnere sugli ascensori con un altro ingegnere, il fratello di Fabrizio Clerici. Tecnicismi da ossessi che evaporarono in un istante quando all’orizzonte si scorse la sagoma di un prelato.

umberto eco

 

Gadda, l’uomo che vestiva in blu, non dimenticava mai la camicia bianca e certe discutibili cravatte acquistate in uno spaccio di Via della Mercede, all’improvviso si illuminò: ‘Così dovevo nascere. Essere americano, farmi prete e vivere in un grande albergo bevendo succo d’arancia’. Erano anni curiosi. Anni in cui gli uomini non sapevano farsi la barba e Mimì Piovene, di casa a San Giovanni, si lamentava: ‘Sono diventata la barbiera del Laterano’.

 

Di Umberto Eco ha scritto: “Costruiva oggetti complessi che agli incolti mettevano paura”.

È vero e fu un’operazione di rara intelligenza. Con i libri di Eco, laureati e laureandi scoprivano la complessità dell’esistenza in maniera abbastanza semplice. Il successo fu assoluto. L’attenzione della critica, sacrale. Non a caso, da allora e per sempre, Eco ha fatto il fornitore di oggetti apparentemente complessi.

 

 

Le è simpatico?

Simpaticissimo. Anzi, simpaticissimi. Lui e la moglie.

 

Il verbo di Eco inizia a imporsi nei ’70.

Un decennio abbastanza atroce. Si viveva sulla retorica del ’68 rapidamente diventata una retorica tremenda. A San Francisco c’erano i figli dei fiori, in Europa gli assassini. In California, con gli spazi larghi tra i palazzi, i prati e la sensazione di libertà, la spinta a delinquere era anestetizzata dal contesto. Da noi in fondo, in ambiti più asfittici, l’agguato era nell’aria e la storia fosca dei Guelfi e dei Ghibellini, dei Montecchi e dei Capuleti, non faceva altro che ripetersi.

spadolini

 

Altra icona dei ’70, Nanni Moretti. Nel suo ritratto si sostiene che il regista sia privo di cinismo.

Il cinico non perde tempo a deplorare il proprio cinismo con malspeso rovello. Moretti è un cuor d’oro sempre animato dal senso civico e dal bisogno di stare dalla parte giusta. Il rischio moralismo, quando si vuole essere educati, corretti e civici, c’è. Il ritratto del perfetto moralista, in certi film in cui il nostro porta in scena se stesso, anche.

 

Se scrivere è un lavoro, leggere che cos’è?

È un altro lavoro. Va compensato. Costa fatica. Non a caso non ho letto i libri che partecipavano al premio Strega.

 

 

Nessuno?

Nessuno. Neanche per sogno. Chi mi paga? Nei libri dello Strega di quest’anno non mi viene in mente nulla che valesse l’aggravio della lettura.

 

Perché?

ARBASINO AL PIPER

Per la stessa identica ragione per la quale se sul giornale vedo gesti normali insigniti delle nove colonne, mamme che mettono lo zucchero nel caffè o profeti che pensano di stupire usando la parola cazzo, giro pagina. Non me ne importa niente. Non mi vien voglia di leggere. Tanti anni fa non si usavano letterariamente gli antichi sapori o le ricette della nonna mescolandole impunemente con le malattie del papà o l’agonia della mamma.

 

C’erano libri diversi. Scrittori migliori. Il proprio minuscolo io o il proprio ombelico non erano ritenuti validi motivi per sbarcare in libreria e anche se le chiese politiche erano più invadenti di oggi, c’era più understatement anche nella presa di posizione. Se si esclude il Pci, non pulsavano le maldestre voglie di appartenenza e la conclamata aderenza al nuovo progetto politico sul tavolo che oggi rendono impossibile qualsiasi sfumatura. C’è una percepibile ansia di salire sul carro. Consiglierei prudenza, magari il carro si rivela meno solido del previsto.

 

È un problema culturale?

ARBASINO 1

Ma la cultura è un affare bizzarro. Come ho scritto in Ritratti italiani, di fronte al rotocalchismo, quella vera sparisce. Basta un lieve sospetto e non la si trova più. Pensare che in un’epoca lontana sorridevamo dell’ingenuità di Carlo Ponti, un produttore che a differenza degli epigoni contemporanei, a Milano aveva studiato davvero. Nell’ufficio all’Ara Coeli, oltre il suo tavolo, teneva la Pléiade con la costa della copertina rivolta verso l’interlocutore. Ci chiedevamo: ‘Ma se volesse leggerla lui, che periplo dovrebbe fare per raggiungere il sapere?’.

 

È sparita anche la letteratura italiana?

Si è deciso a tavolino che i best-seller dovessero essere al livello del fruitore. E così, una volta abbattuto il gusto a colpi di orrori, visto l’apprezzamento per il buco della serratura di stampo familiare, via libera ai sapori, alle ricette della nonna, ai lutti e alle corsie d’ospedale. Vendono moltissimo. Sono un prodotto da banco. Uno shampoo. Un codice in più nello scontrino del supermercato. Forse sono più alternativo, io.

 

 

Sull’affezione premiologica della letteratura italiana lei montò uno speciale per la Rai in epoca non sospetta.

ARBASINO PROVE CARMEN

Più della liturgia dello Strega, non ho dimenticato Casa Bellonci. I corridoi strapieni di libri, lo spazio totalmente colonizzato dai volumi, una cosa da restare sbalorditi. Per la Rai in effetti assemblai un’ora e mezza di premi nazionali da Venezia a Firenze. C’era un ritmo serrato e allo spettatore sembrava si trattasse di un unico premio.

 

L’intento era quello. Quando andai da Maria Bellonci spiegandole che non avrebbe potuto parlare per più di 30 secondi quasi mi rise in faccia: ‘Ho bisogno di più tempo’. Si cambiò 10 volte, il risultato era inverosimile. Maria vestita da donna, da uomo, a pois. Divertentissimo. Lei lo sapeva. Era una furbona.

 

 

È furba anche una letteratura in cui l’intimo dolore sfiora la pornografia?

Furba sicuramente, pornografica non so, certamente irrilevante. Come può affascinarmi il calvario della prozia? Il ‘sapesse quanto abbiamo sofferto signora mia?’. Vabbè, anche se c’è chi non si diverte e gli scrittori danno l’impressione di divertirsi poco, signora mia sarà contentissima.

alberto arbasino (5)ARBASINO RITRATTI ITALIANIALBERTO ARBASINO RITRATTI E IMMAGINICalasso arbasinoARBASINO Monicelli Moretti 152arbasino le-piccole-vacanzearbasinoMontanelli Arbasino Bocca Alberto Arbasino

 

Ultimi Dagoreport

giuseppe conte elly schlein matteo ricci giorgia meloni francesco acquaroli

DAGOREPORT - COME E' RIUSCITO CONTE, DALL’ALTO DEL MISERO 5% DEI 5STELLE NELLE MARCHE, A TENERE IN OSTAGGIO IL PD-ELLY? - L'EX ''AVVOCATO DEL POPOLO'' È RIUSCITO A OTTENERE DALLA "GRUPPETTARA CON L'ESKIMO" LE CANDIDATURE DI ROBERTO FICO IN CAMPANIA E PASQUALE TRIDICO IN CALABRIA, E SENZA SPENDERSI GRANCHE' PER MATTEO RICCI. ANZI, RIEMPIENDO I MEDIA DI DISTINGUO E SUPERCAZZOLE SULL’ALLEANZA (“NON SIAMO UN CESPUGLIO DEL PD”) – IL PIU' MADORNALE ERRORE DEL RIFORMISTA RICCI E' STATO DI FAR SALIRE SUL PALCO L'"ATTIVISTA" DEL NAZARENO, AGITANDOSI PER GAZA ANZICHE' PER UNA REGIONE DOVE LA GLOBALIZZAZIONE HA IMPOVERITO LE INDUSTRIE (SCAVOLINI, TOD'S, ETC.), LA DISOCCUPAZIONE E' ARRIVATA E I MARCHIGIANI SI SONO SENTITI ABBANDONATI - VISTO IL RISCHIO-RICCI, E' ARRIVATA LA MOSSA DA CAVALLO DELLA DUCETTA: ''ZONA ECONOMICA SPECIALE'' E UNA PIOGGIA DI 70 MILIONI DI AIUTI...

al-thani netanyahu trump papa leone bin salman hamas

DAGOREPORT – STASERA INIZIA LA RICORRENZA DI YOM KIPPUR E NETANYAHU PREGA CHE HAMAS RIFIUTI IL PIANO DI PACE PER GAZA (ASSEDIATO IN CASA DALLE PROTESTE E DAI PROCESSI, PIÙ DURA LA GUERRA, MEGLIO È). NON A CASO HA FATTO MODIFICARE LAST MINUTE IL TESTO RENDENDOLO PIÙ DIFFICILE DA ACCETTARE PER I TERRORISTI CHE, A LORO VOLTA, INSISTONO SU TRE PUNTI: UN SALVACONDOTTO PER I CAPI; UN IMPEGNO A CREARE LO STATO DI PALESTINA; IL RITIRO DELL’ESERCITO ISRAELIANO, ANCHE DALLA ZONA CUSCINETTO – PRESSING FORTISSIMO DI VATICANO, ONU E PAESI ARABI PER CHIUDERE L'ACCORDO – EMIRI E SCEICCHI INFURIATI PER IL RUOLO DI TONY BLAIR, CHE BOMBARDÒ L’IRAQ SENZA MAI PENTIRSI – L’UMILIAZIONE DI “BIBI” CON LA TELEFONATA AL QATAR: L’EMIRO AL THANI NON HA VOLUTO PARLARE CON LUI E HA DELEGATO IL PRIMO MINISTRO – L’OBIETTIVO DEI “FLOTILLEROS” E L’ANTISEMITISMO CHE DILAGA IN EUROPA

luca zaia matteo salvini roberto vannacci

IL CORAGGIO SE UNO NON CE L'HA, MICA SE LO PUO' DARE! LUCA ZAIA, ETERNO CACADUBBI, NICCHIA SULLA CANDIDATURA ALLE SUPPLETIVE PER LA CAMERA: ORA CHE HA FINALMENTE LA CHANCE DI TORNARE A ROMA E INCIDERE SULLA LEGA, DUELLANDO CON VANNACCI E SALVINI CONTRO LA SVOLTA A DESTRA DEL CARROCCIO, PREFERISCE RESTARE NEL SUO VENETO A PIAZZARE QUALCHE FEDELISSIMO – SONO ANNI CHE MUGUGNANO I “MODERATI” LEGHISTI COME ZAIA, FEDRIGA, GIORGETTI, FONTANA MA AL MOMENTO DI SFIDARE SALVINI, SE LA FANNO SOTTO...

elly schlein tafazzi

DAGOREPORT: IL “NUOVO PD” DI ELLY NON ESISTE - ALIMENTATA DA UN'AMBIZIONE SFRENATA, INFARCITA SOLO DI TATTICISMI E DISPETTI, NON POSSIEDE L'ABILITÀ DI GUIDARE LA NOMENKLATURA DEL PARTITO, ISPIRANDOLA E MOTIVANDOLA - IL FATIDICO "CAMPOLARGO" NON BASTA PER RISPEDIRE NELLE GROTTE DI COLLE OPPIO L'ARMATA BRANCA-MELONI. NELLE MARCHE IL PD-ELLY SUBISCE IL SORPASSO DELLE SORELLE D'ITALIA - QUELLO CHE INQUIETA È LO SQUILIBRIO DELLA DUCETTA DEL NAZARENO NELLA COSTRUZIONE DELLE ALLEANZE, TUTTO IN FAVORE DI UN'AREA DI SINISTRA (M5S E AVS) IN CUI LEI STESSA SI È FORMATA E A CUI SENTE DI APPARTENERE, A SCAPITO DI QUELLA MODERATA, SPAZIO SUBITO OCCUPATO DALLA SCALTRISSIMA DUCETTA DI VIA DELLA SCROFA, CHE HA LANCIATO AMI A CUI HANNO ABBOCCATO LA CISL E COMUNIONE E LIBERAZIONE - CHE ELLY NON POSSIEDA VISIONE STRATEGICA, CAPACITÀ DI COMUNICAZIONE, INTELLIGENZA EMOTIVA, PER FRONTEGGIARE IL FENOMENO MELONI, E' LAMPANTE - OCCORRE URGENTEMENTE, IN VISTA DELLE POLITICHE 2027, RISPEDIRE ELLY SUI CARRI DEI GAY-PRIDE, PUNTANDO, DOPO LE REGIONALI D'AUTUNNO, SU UNA NUOVA LEADERSHIP IN SINTONIA COI TEMPI TUMULTUOSI DI OGGI

raoul bova beatrice arnera

DAGOREPORT: RAOUL, UN TRIVELLONE ''SPACCANTE''! - DAGOSPIA PIZZICA IL 54ENNE BOVA ATTOVAGLIATO ALL'ORA DI PRANZO AL RISTORANTE “QUINTO”, A ROMA, IN COMPAGNIA DELLA FASCINOSA TRENTENNE BEATRICE ARNERA, CON CUI RECITA NELLA FICTION “BUONGIORNO, MAMMA”, ATTUALMENTE IN ONDA SU CANALE5 – GLI AVVENTORI DEL RISTORANTE NON HANNO POTUTO FARE A MENO DI NOTARE L'AFFETTUOSA INTIMITÀ TRA I DUE ATTORI: BACI GALEOTTI, ABBRACCI E CAREZZE FURTIVE FINO A UN INASPETTATO E IMPROVVISO PIANTO DI BOVA – DOPO LO SCANDALO DEGLI AUDIO PICCANTI INVIATI A MARTINA CERETTI, DIFFUSI DA FABRIZIO CORONA, CHE HANNO TENUTO BANCO TUTTA L’ESTATE, ORA QUEL MANZO DI BOVA SI RIMETTE AL CENTRO DELLA STALLA…

beatrice venezi

DAGOREPORT: VENEZI, IL "MOSTRO" DELLA LAGUNA – COME USCIRANNO IL MINISTRO "GIULI-VO" E IL SOVRINTENDENTE COLABIANCHI DAL VICOLO CIECO IN CUI SONO FINITI CON L’INSOSTENIBILE NOMINA DELLA “BACCHETTA NERA”? – IL “DO DI STOMACO” DEGLI ORCHESTRALI DEL TEATRO LA FENICE HA RICEVUTO LA SOLIDARIETÀ DEI PIÙ IMPORTANTI TEATRI LIRICI, DA LA SCALA DI MILANO AL SAN CARLO DI NAPOLI: CHE FARE? – CHISSÀ SE BASTERÀ LA MOSSA ALL’ITALIANA DI “COMPRARSI” LE ROTTURE DI COJONI COL VIL DENARO, AUMENTANDO LO STIPENDIO DEGLI ORCHESTRALI? – L’ARMATA BRANCA-MELONI DEVE FARE I CONTI NON SOLO CON IL FRONTE COMPATTO DEL MONDO SINDACALE LIRICO, MA ANCHE CON I 48MILA VENEZIANI RIMASTI A SOPRAVVIVERE NELLA CITTÀ PIÙ FATALE DEL MONDO. ABITUATI AD ALTI LIVELLI DI DIREZIONE D’ORCHESTRA, DA ABBADO A CHUNG, I LAGUNARI SONO SCESI SUL PIEDE DI GUERRA CONTRO LO SBARCO DELL’”ABUSIVA” VENEZI (I LAVORATORI DELLA FENICE HANNO ORGANIZZATO UN VOLANTINAGGIO CONTRO LA BIONDA VIOLINISTA)E GIULI E COLABIANCHI FAREBBERO BENE A RICORDARSI CHE I “VENESIAN” SONO POCHI MA IRRIDUCIBILI: I PRINCIPI NON SI COMPRANO. COME SI È VISTO NELLA LORO VITTORIOSA GUERRA CONTRO IL PASSAGGIO DELLE GRANDI NAVI DA CROCIERA NEL CUORE DELLA CITTÀ…- VIDEO