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2020, SI SALVINI CHI PUO’ – MATTIOLI: L’ANNO CHE VERRA’ SARA’ DECISIVO MA TUTTO DIPENDE DA UNA DOMANDA: SI ANDRA’ A VOTARE O NO? SALVINI ASPETTA LA CADUTA DI CONTE TEMENDO UN'OFFENSIVA DEI GIUDICI -I CASI GREGORETTI E METROPOL POTREBBERO OSTACOLARE IL CAMMINO DI SALVINI – LA BATTAGLIA DURA MA NON IMPOSSIBILE IN EMILIA E IL NUOVO VOCABOLARIO: IL CAPITONE VUOLE DARE UN’IMMAGINE PIÙ MODERATA E MENO ARREMBANTE.

ALBERTO MATTIOLI per la Stampa

 

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Dire che nel 2020 Matteo Salvini si giochi tutto, è troppo. Dire che si giochi molto, è troppo poco. L' anno che verrà sarà decisivo, ma tutto dipende da una domanda: si andrà a votare o no? Il governo «più poltrone più balle» (copyright del segretario leghista) perde pezzi e i suoi membri non sono d' accordo su nulla, tranne sulla necessità di tenerlo in piedi.

 

Ma i leghisti più scafati pensano senza dirlo che un governo morente non è necessariamente un governo morto. «Ci sono agonie lunghissime. E non è detto - parola di un cacicco importante - che se il Conte II cade si vada a votare. Sono così terrorizzati dalle urne che potrebbero inventarsi di tutto e di più».

 

Apparentemente, nel '20 Salvini potrebbe quindi starsene tranquillo sulla riva del fiume aspettando di veder passare il cadavere politico della strana coppia giallorossa e soprattutto quello del detestatissimo Conte. Confortato dai sondaggi: l' ultimo dà la Lega appena sotto il 33%, in pratica come Pd e M5S messi insieme. In realtà, non sarà così. Intanto, c' è una tornata elettorale intensa: il 26 gennaio si vota in Emilia-Romagna e in Calabria, in primavera in altre sei regioni: Veneto, Campania, Liguria, Puglia, Toscana e Marche.

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Sfide e minacce La madre di tutte le regionali è, ovviamente, quella emiliana: per Lucia Borgonzoni la battaglia è dura ma non impossibile. L' ultimo sondaggio la dà sotto del 3%, quindi la partita è giocabile. I leghisti cinici dicono che, tutto sommato, andrebbe bene anche una sconfitta di misura: se la Lega vince in ER, ragionano, le urne ce le scordiamo.

 

Salvini invece è determinatissimo. Farà un gran comizio il 18 a Maranello, tutto un simbolo (do you know Ferrari?) poi in piazza Maggiore a Bologna. E sogna un clamoroso «en plein» di primavera, dato che i sondaggi, sempre loro, danno la Lega primo partito anche nell' ex rossissima Toscana.

 

Qualche minaccia però c' è.

 

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In primo luogo, quella giudiziaria. Il 20 gennaio la Giunta per le autorizzazioni a procedere deciderà sull' incriminazione di Salvini per il caso della nave Gregoretti. Non sarebbe un guaio irrimediabile: un Salvini sotto processo per non aver fatto sbarcare i migranti è tutto carburante per la propaganda sulla difesa dei sacri confini. Più grave quel che il delicato naso leghista sta fiutando: si teme un' offensiva prossima ventura delle procure, magari sulla Russia connection. In casa Lega, sono convinti che la magistratura stia per entrare a gamba tesa nella politica: «Non sarebbe certo la prima volta».

 

Un nuovo vocabolario Secondo problema: rinnovare le parole d' ordine. Fateci caso, ormai Salvini parla poco di abolizione della Fornero o della flat tax, e tutto sommato meno anche dell' immigrazione. La prossima offensiva mediatica sarà sull' economia, il lavoro, le piccole e medie imprese. E poiché in politica la propaganda è sostanza, Salvini vuole dare di sé un' immagine più moderata e meno arrembante. La lezione dell' anno al Viminale è che l' Italia non si può governare contro tutti i poteri forti, dall' Europa alla Chiesa, e che specie all' estero, a Bruxelles ma anche a Washington, bisogna mostrare senso di responsabilità.

 

«Senza tradire noi stessi», dicono in via Bellerio, ora serve una Lega meno di lotta e più di governo. «Dobbiamo essere pronti per quando andremo a governare, nel '20 o nel '23 cambia poco.

 

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Con i temi giusti e le persone giuste, quelle che abbiamo e quelle che arriveranno», spiega annunciando nuovi arruolamenti Lorenzo Fontana, l' ex ministro della Famiglia che, con Giancarlo Giorgetti, è uno dei pochi leghisti a pensare alla strategia e non solo alla tattica. Anche perché automoderarsi è il sistema per contrare la crescita, che inizia a essere fastidiosa, di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli. Finora, ragionano i leghisti, FdI ha cannibalizzato Fi, non noi; una svolta «responsabile» ci farebbe magari perdere qualche voto a destra, ma ce ne farebbe trovare molti di più al centro.

 

«E poi - dice un altro leghista anonimo riferendosi a Meloni & Co. - renderebbe evidente che, a differenza loro, noi una classe dirigente, locale e nazionale, e un' esperienza di governo le abbiamo. Non siamo improvvisati». Questo, nei salotti buoni della finanza e della diplomazia, può fare la differenza.

 

Insomma, di motivi di meditazione, Matteo Salvini ne avrà molti, a Capodanno. Lo passerà al solito a Bormio, con Fontana e pochi altri, forse il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo. Va bene postare le foto con i regali di Natale (tipo una maxi confezione di «Pasta del capitano») o con i tortellini, tutto fa brodo, ma ogni tanto fermarsi a riflettere non è male.

matteo salvini a quarta repubblicaSALVINI NIBRAS

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