AFFONDATI I CANDIDATI-CIVETTA, È ARRIVATO BERGOGLIO

1 - QUEL NOME SPUNTATO A SORPRESA NELLA PRIMA VOTAZIONE
Carlo Marroni per "Il Sole 24 Ore"

Eleggere il gesuita, che ha scelto di chiamarsi come il poverello d'Assisi, è la scelta più forte che il Sacro Collegio della Chiesa cattolica poteva compiere per la successione di Benedetto XVI. Il suo nome è rimasto coperto fino a due giorni fa, quando, nella prima votazione - la prima sera - un pacchetto di cardinali ha manifestato con il proprio voto (neppure troppo a sorpresa, dicono ora persone vicine ad ambienti ecclesiastici) la preferenza per il presule dei "poveri", l'arcivescovo delle periferie di Buenos Aires, ma anche il teologo rigoroso che contese a Ratzinger - senza mai combatterlo - l'elezione a Sommo Pontefice nel 2005.

La cronaca di questo Conclave - se mai verrà scritta nel dettaglio - è di sicuro molto diversa dal precedente, quando il nome del cardinale tedesco fu sin dall'inizio il più forte e il più stimato. Questa volta i nomi su cui sembravano addensarsi i consensi erano quelli di Angelo Scola, di Marc Ouellet, di Peter Erdo, forse di Odilo Pedro Scherer. Il suo non è mai emerso, se non in circuiti molto ristretti, con il chiaro intento di non scoprire questo asso. E lui non ha mai fatto nulla per apparire in pubblico, non ha rilasciato interviste, non è neppure andato domenica scorsa a celebrare la messa nella sua chiesa titolare, la parrocchia di San Roberto Bellarmino, dedicata al grande gesuita del '500 compagno di studi di San Luigi Gonzaga.

È rimasto in disparte nella residenza del clero romano messa a sua disposizione nei dintorni del Vaticano, ha partecipato diligentemente sin dall'inizio alle congregazioni generali. Rimanendo in disparte, ma avendo contatti con tutti i confratelli, con continuità ma senza clamori. Poi l'intervento in congregazione generale, giovedì scorso. E lì ci sarebbe stata la svolta: un discorso breve ma molto "alto", denso, forte, dove ha affrontato temi dell'evangelizzazione e delle vocazioni (e non sullo Ior...).

Discorso che ha raccolto i complimenti di molti porporati, molto più di quanto non sia stato per altri. Il suo nome a quel punto è circolato con insistenza nei colloqui serali tra cardinali. Altro momento chiave è stata l'omelia del cardinale decano, Angelo Sodano, nella messa "pro eligendo pontifice": il cardinale ha parlato apertamente della necessità di un Pastore del mondo, un uomo di misericordia. Insomma, un Papa in cui il mondo dei cattolici possa riconoscersi senza dubbi. Una guida.

Al primo voto i consensi sono andati a Scola, Ouellet e Bergoglio (con un numero di consensi stimato un po' più basso degli altri due), e nella notte il suo nome è progressivamente salito. Poi ieri, nella mattina, la svolta: i voti per il gesuita sarebbero saliti progressivamente, senza strappi, ma in modo chiaro per indicare quale fosse la strada verso cui si stavano incamminando i cardinali. Poi il pranzo, gli ultimi colloqui tra i grandi elettori, il tentativo (forse) di far risalire qualche candidato espresso dalla Curia - andando a pescare tra il parco di qualche favorito che era in deciso calo - e poi la svolta nel pomeriggio, al quinto voto.

Per lui hanno votato sin dall'inizio qualche cardinale latino americano, ma anche europeo del fronte progressista, in particolare tedesco. Poi si sono girati verso Bergoglio i voti del grande centro ratzingeriano, quello che sosteneva Scola, ma anche Ouellet, che ha alle spalle un passato in Sud America e dove quindi è molto conosciuto e apprezzato.

In particolare i sostenitori del presule canadese - quando è stato chiaro che i consensi non salivano - hanno appoggiato con forza Bergoglio, e lo stesso ha fatto Scola. Anche qualche americano avrebbe dato il suo appoggio prima dell'ultimo voto, cui si sono accodati altri, anche se l'area di Bergoglio non è certo quella dei conservatori Usa (a parte Wuerl di Washington). In Curia non molti gli appoggi: a quanto risulta sarebbe in buoni rapporti con Fernando Filoni, presidente di Propaganda Fide, che ha grandi legami con il suo Paese.

C'è già chi punta su Filoni come possibile futuro segretario di Stato, avendo un bagaglio diplomatico e una conoscenza della Curia tra i più significativi. Ma è anche in buoni rapporti con il brasiliano Joao Braz de Aviz - capo delle congregazioni religiose - che è stato molto duro con il camerlengo Tarcisio Bertone sulla gestione dello Ior. Amico del mondo ebraico in Argentina (ha visitato la grande Sinagoga della capitale ma ha anche rapporti continui e proficui), e molto aperto al dialogo con tutte le altre religioni, compresa l'Islam.

La storia di Bergoglio degli ultimi anni è il simbolo di come in seguito visse la "sconfitta" in Conclave sostenuto dal fronte progressista, che si riconosceva in Carlo Maria Martini. In questi anni è venuto molto poco a Roma: incontrò Benedetto XVI nel 2009 - alla vigilia del celebre viaggio in Africa, per una tradizionale visita "ad limina" - e poi è tornato poche altre volte. La sua lezione - rileva un monsignore di Curia - è un segnale che i cardinali mandano al mondo: dopo le difficoltà della Curia, le lotte interne e le varie crisi che si sono succedute nel corso degli ultimi anni (e che Ratzinger ha cercato di contrastare) è arrivato il momento di una svolta.

Un estraneo alla Curia, quindi, che potrebbe veramente avviare un'opera di rinnovamento e "pulizia", ma senza strappi o fughe in avanti. Il suo essere gesuita è racchiuso nello spirito missionario e quello di riformare la Curia e avviare un'opera a favore della collegialità è certamente un impegno gravoso.

Ma la sua elezione è rivoluzionaria anche per il fatto stesso di essere un gesuita, un figlio del grande Sant'Ignazio di Loyola. E fu proprio Ignazio a imporre ai suoi confratelli oltre ai tre voti e quello aggiuntivo di obbedienza al Papa, anche il divieto chiaro e netto di far "carriera" nella Chiesa. E infatti sono abbastanza limitati i vescovi di origine gesuita (soprattutto in terre di missione) e ancora meno sono i cardinali: Bergoglio era l'unico in Conclave; l'altro era Martini, di recente scomparso.

E la scelta di chiamarsi Francesco, il santo che fece della povertà un mezzo di santificazione, ha anche un significato sottile dentro la Chiesa visto che i due grandi ordini gesuita e quello francescano sono tra i più antichi, i più forti, i più presenti nelle terre di missione, e in qualche modo un po' in rivalità, per ragioni che affondano nella storia.

Peraltro c'è chi ha fatto notare che per la prima volta i rappresentanti dei due grandi ordini sono stati in qualche modo candidati a diventare Papa, visto che era girato (senza mai avere una reale forza elettorale ma solo un grande consenso dai media) quella del cardinale-cappuccino americano di Boston Sean O'Malley.

Ma perché Bergoglio non fu eletto nel 2005? Le ricostruzioni rivelano che ha sempre tallonato a distanza Ratzinger, che al primo scrutinio prese 47 voti e lui 10 (9 Martini), alla seconda votazione Ratzinger 65 e Bergoglio 35, alla terza il rapporto era passato 72 a 40, il consenso massimo ricevuto.

Ma era la prima votazione del pomeriggio: a pranzo i grandi elettori di quello che sarebbe diventato Papa Benedetto XVI avevano raccolto nuove adesioni e a quel punto Bergoglio fece capire che non aveva intenzione di rimanere "candidato", posizione che peraltro non aveva mai cercato ma gli era stata in qualche modo imposta dai suoi sostenitori. E anche Martini fece sapere di votare Ratzinger, che in ogni caso fu eletto con 84 voti, non esattamente un plebiscito visto che il quorum era a «quota 77» come questa volta.

Come sarà il suo pontificato è la domanda che si fanno tutti, dai cattolici ai vescovi, ma anche nelle cancellerie di tutto il mondo. L'elezione di un Papa può cambiare i destini del mondo, e come lo è stato per Karol Wojtyla, anche per Bergoglio le attese sono molto alte. Un Papa che «viene da lontano» - anche se è di origini italiane, piemontesi - è la risposta ai problemi della Chiesa. Un pastore che viaggia senza autista nei "barrios", ma anche un presule coraggioso, capace di criticare duramente il governo del suo Paese. Le cronache raccontano che nel 2001 vede dalla finestra gli scontri violenti della polizia contro i risparmiatori che aveva perso molto denaro dal fallimento del Paese (truffa arrivata in Italia con i tango-bond).

Era la fine di dicembre e i gas lacrimogeni della polizia entrarono fin dentro la sua stanza, in arcivescovado. Lui si affacciò e vide una signora manganellata a sangue da un agente e, allora, impugnato il telefono chiamò il ministro degli Interni, con toni irritati: «La polizia, la vostra polizia - disse - sappia almeno distinguere tra i facinorosi e i disperati che hanno perso tutti i loro risparmi».

Il ragazzo che viene dal quartiere Flores, vicino alla baraccopoli, gira da solo, aiuta i poveri, drogati, bimbi abbandonati, tutte realtà di emarginazione che stanno crescendo a dismisura in questo periodo di grave crisi per il Paese sudamericano. Un "Papa del Popolo", dicono i preti di base, che salutano la sua elezione con un filo di speranza. Il quorum sembra sia stato alto, sopra ai 77 voti, un consenso che serviva per una scelta molto forte.

2 - COSÌ È NATO IL NOME A SORPRESA PER RAGGIUNGERE I DUE TERZI
Gian Guido Vecchi per "Il Corriere della Sera"

È come se Joseph Ratzinger avesse calcolato e previsto tutto, sin dall'inizio. L'ultima svolta nella storia, una sequenza iniziata l'11 febbraio con la «rinuncia» dichiarata da Benedetto XVI, è un gesuita vestito di bianco, il primo dalla fondazione della Compagnia, che si affaccia dalla loggia di San Pietro: lo stesso confratello cardinale che fu l'antagonista «progressista» di Ratzinger nel conclave del 2005 e poi, fermo a una quarantina di voti, scelse con Carlo Maria Martini di dirottare il sostegno su colui che sarebbe diventato Benedetto XVI.

I cardinali nella Sistina si sono sciolti in un applauso quando Bergoglio ha superato i 77 voti, ha raccontato ieri sera Timothy Dolan, e il Papa ha sorriso: «Che Dio vi perdoni!». L'elezione di Francesco è anzitutto una sorpresa che nasce dalla necessità di trovare una soluzione condivisa tra i 115 elettori.

Una necessità spirituale e tecnica: Ratzinger aveva voluto che il quorum di elezione restasse sempre di due terzi - anche all'eventuale ballottaggio dopo undici giorni - perché la Chiesa non si può spaccare, tantomeno sul Papa. E una sorpresa generale che ha colto alla sprovvista pure la Cei: per portarsi avanti, aveva già preparato un comunicato che esprimeva «la gioia e la riconoscenza dell'episcopato e dell'intera Chiesa italiana» per l'«elezione del Card. Angelo Scola a Successore di Pietro», un testo inviato per sbaglio pochi minuti dopo l'elezione e poi prontamente corretto col nome giusto.

La piccola gaffe è rivelatrice, perché tutti si aspettavano Scola, o il canadese Marc Ouellet, o uno statunitense, o il brasiliano Scherer. Soprattutto gli arcivescovi di Milano e di San Paolo partivano in vantaggio, nelle preferenze «potenziali» prima dell'ingresso nella Sistina. Ma un conclave sfugge alle logiche degli schieramenti, non è un congresso politico, gli scrutini si accompagnano alle preghiere e si vota davanti al Cristo del Giudizio universale di Michelangelo.

L'unica cosa chiara, fin da prima della Sede vacante, era la spinta crescente fra i cardinali a guardare «oltre l'Europa» e «oltre Oceano», verso il continente che raccoglie la metà dei fedeli del pianeta. Così il confronto principale si annunciava quello tra l'europeo Scola e un «candidato americano», Scherer in testa.

Solo che la regola del conclave, oltre al suo spirito, rende impossibile che un nome possa essere imposto anche da una solida maggioranza relativa. Occorrevano almeno 77 voti per eleggere il Papa e questo rendeva più facile «bloccare» un papabile. Scherer doveva fronteggiare i malumori di chi lo etichettava come «curiale» per il sostegno dei cardinali di estrazione diplomatica. Scola scontava la sua estrazione ciellina («è come avere due peccati originali») che gli attirava il sospetto, anzitutto, di molti italiani. Un candidato può partire bene e crescere, ma se dopo due o tre scrutini resta allo stesso punto si passa a un altro, le alternative sono già meditate.

Così si può immaginare che nel blocco reciproco dei favoriti, dopo il terzo scrutinio di ieri mattina, i cardinali a pranzo abbiano pensato a un'alternativa da tentare nel quarto scrutinio del pomeriggio. Ha prevalso la volontà di avere il primo Papa latinoamericano. Ma soprattutto ha prevalso una soluzione che, in termini laici, si potrebbe definire geniale (un credente parlerebbe dello Spirito Santo). Jorge Mario Bergoglio, con il cardinale Martini già affetto dal Parkinson («La Chiesa non ha bisogno di un altro Papa malato, aveva detto»), nel conclave del 2005 radunò su di sé i voti dei «progressisti» che si opponevano al «conservatore» Ratzinger.

Ma in questo conclave la già logora distinzione tra conservatori e progressisti è saltata: e c'erano cardinali «martiniani» che argomentavano preoccupati sulla necessità di proseguire l'impulso riformista voluto da Ratzinger e affidato dal Papa dimissionario a un successore che avesse più «vigore» di lui, e al quale ha già promesso «reverenza e obbedienza».

A fronteggiarsi, piuttosto, erano la linea «raztingeriana» e quella di chi, in fondo, non l'aveva mai condivisa. Bisognava ripartire, dopo i troppi veleni degli ultimi anni. La Chiesa doveva ritrovare la sua unità. La candidatura di Bergoglio e la prima affermazione forte al quarto scrutinio, l'elezione di Francesco al quinto: alla fine il cerchio si è chiuso. Quasi il Papa emerito, in nome di una riforma condivisa, avesse passato il suo testimone al suo vecchio e stimato antagonista.

 

 

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