donald trump mueller

AMERICA FATTA A MAGLIE - IL MEMO PUBBLICATO CONFERMA GLI ELEMENTI CHE AVETE LETTO (SOLO) SU QUESTO MODESTO SITO: SENZA IL DOSSIER FARLOCCO PAGATO DAI DEMOCRATICI E SCRITTO DA UNA SPIA INGLESE, L'FBI NON AVREBBE POTUTO METTERE SOTTO CONTROLLO I MEMBRI DELLA CAMPAGNA TRUMP, E IL CAN CAN DEL RUSSIAGATE NON SAREBBE MAI PARTITO - LA CRISI NERA DEI DEMOCRATICI, CHE GIUDICANO TRUMP 'PESSIMO' MA NON TROVANO UNO STRACCIO DI ALTERNATIVA

Maria Giovanna Maglie per Dagospia

 

Si può continuare a chiamarlo ancora soltanto del fumo, mentre contemporaneamente, e con sprezzo della coerenza, si tuona sull’oltraggio alla sicurezza nazionale e all'equilibrio dei poteri, e ostentare stupore se la commissione Intelligence, che avrebbe dovuto restare neutrale e rispettosa dei poteri per indagare sui quali è stata istituita, neanche fosse una inutile super commissione all'italiana insomma, ha invece usato i propri poteri e le leggi della maggioranza contro dei democratici con i quali non si può spartire neanche una nocciolina, tanto sono talebani e privi di idee per il Paese.

 

trump a davos

Cosi’ strillano i disinformatori americani del mainstream e gli zelanti imitatori italiani. Ma basta leggere con mente sgombra le quattro paginette del memorandum preparato da Devin Nunes per capire che c'è stato un attacco violento al sistema, e che qualcuno invece di stare zitto ha deciso di denunciarlo, appena ha avuto qualche prova in mano.

L'aveva detto Donald Trump? Sì l'aveva detto dall'inizio, invece hanno messo sotto indagine lui. Lo aiuta la nuova offensiva a pensare seriamente alla possibilità di licenziare un procuratore speciale che si ostini ad andare avanti con una indagine viziata dall'origine?

 

DEVIN NUNES

 Lo vedremo, chi conosce la capacità di Donald Trump di negoziare quando è possibile, di rompere clamorosamente quando lo ritiene necessario, non si stupirebbe.

 Oltretutto il presidente e’ forte, anche se la verità viene taciuta. Il suo indice di popolarità, tenuto schiacciato per mesi, è tra il 49 e il 50 per cento. Nell'arco di una settimana ha avuto un grande successo internazionale con gli operatori economici più influenti del mondo a Davos, dove un presidente americano non andava dal 2000, e con un discorso sullo Stato dell'Unione apprezzato dal 75% degli americani.

 

Certo, da fastidio a molti che i Repubblicani del Congresso finalmente alzino il capino troppo a lungo reclinato in difesa del loro presidente. Il nuovo rapporto è stato chiaro proprio la sera del discorso sullo Stato dell'Unione, quando sui volti dei deputati, dei senatori, del governo, dei militari, degli ospiti espressione della società che sta a cuore alla dottrina Trump, c'era la gioia di aver capito di essere tornati a vincere combattendo. È una metamorfosi, quello è lo stesso partito che Trump non lo voleva e che si è fatto del male per scongiurarne l'elezione.

christopher wray

 

Pollster e studiosi democratici americani cominciano a dovere ammettere che la crisi di quel partito è profonda, colpito dalla folgore di una sconfitta che invece credevano vittoria annunciata senza ombre, ancora attaccati al mito di Barack Obama, molto offuscato per la verità, ormai dopo più di un anno.

 

A The Hill Solis Doyle dice che la principale ragione di ansia dei democratici è proprio il presidente. Sentite la dichiarazione, una prova in più che la coerenza non appartiene a chi fa opposizione solo con la pancia e il risentimento.” La gente si agita così precocemente proprio perché Trump è così pessimo. Continuiamo a guardarlo e a dirci: chi potrebbe essere il migliore per sconfiggerlo? Chi è abbastanza carismatico? Chi può vincere con lui in un dibattito a due?”

 

Quindi Trump è pessimo, “so bad”, ma non si riesce a trovare uno in grado di affrontarlo per carisma e capacità di eloquio e di convincimento. Bella coerenza, vero?

Altri più corretti spiegano che Trump ha anche rivoluzionato il concetto di chi può fare il presidente, lasciando la gente a chiedersi se il prossimo leader del Partito Democratico potrà provenire non dal Senato o dalla sede di un governatore, ma dall'industria dello spettacolo o dal mondo degli affari.

 

Lo stesso entusiasmo frenetico per una Oprah Winfrey, che ha poi fatto sapere di non essere interessata, almeno per ora, o il ricorso alla cieca a un giovane della famiglia Kennedy, Joe, per rispondere al discorso sullo stato dell'Unione, denotano debolezza.

oprah reese witherspoon vanity fair annie leibovitz 2

 

Ma la mancanza di una linea certa, tra la sinistra radicale e il centro moderato, e la difficoltà a reperire almeno per ora un leader degno di questo nome, sono nulla nel cahier de doléance dei democratici se paragonate a corruzione, imbrogli, collusioni con la Russia, connivenza eversiva con strumenti dello Stato, colpe e accuse per più di un anno agitate pesantemente come armi per minare autorevolezza e legalità della presidenza Trump, e ora pronte per essere rivolte contro gli accusatori moralisti, il mondo democratico.

 

 Dice proprio cosi’ il protagonista del famoso memorandum sugli imbrogli dell' FBI, che “ci sono chiare prove della collusione con la Russia, certamente, ma da parte della campagna Clinton e del Comitato Nazionale Democratico”. E allora su che cosa sta indagando il procuratore speciale Robert Mueller?

 

Trump non si fa mancare nulla giustamente della soddisfazione di questo risultato, e twitta come un pazzo su quelli che dovrebbero vergognarsi di aver trasformato in uno strumento politico il bureau federale di polizia, difendendo la sua scelta di far prevalere l’interesse pubblico, altro che attacco la sicurezza nazionale o un regalo al suo amico Putin, sostiene in modo sempre più delirante Nancy Pelosi.

ROD ROSENSTEIN

 

I democratici tuonano infatti sulla crisi costituzionale aperta da un presunto mancato rispetto da parte della commissione Intelligence della Camera, su base strettamente repubblicana ,e da parte dell'Amministrazione. Rispetto di cosa?

 

C’e’ un presunto luogo sacro che non avrebbe dovuto essere toccato, quindi secondo loro il presidente per non destabilizzare l’Fbi e le sensibilita’ del “deep state”, avrebbe dovuto rinunciare a denunciare come e quanto hanno cercato di fregarlo.

 

I democratici sostengono inoltre che c'erano altre prove ed elementi di analisi da loro esibiti, e che i repubblicani hanno votato di non rendere noti, sostanzialmente che la testimonianza di MacCabe e stata male interpretata, e concludono che il memorandum è fuorviante, e accusano I repubblicani di tentare di minare l’investigazione del consigliere speciale .

 

Quindi alla fine del lungo tortuoso ragionamento, che si tratti solo di fumo non lo sostiene nessuno, con buona pace dei giornali italiani che ci si sono invece buttati sopra.

Vediamole quelle tre pagine e mezzo rese note venerdì per autorizzazione del presidente, nonostante la furiosa opposizione dell' Fbi, la complice tiepidezza del dipartimento di Giustizia, editoriali tuonanti di New York Times, Washington Post, CNN eccetera. Conferma peraltro gli elementi che avete letto molte volte su questo modesto sito.

ANDREW MCCABE

 

Il memorandum asserisce che l'ex vicedirettore dell'FBI, Andrew McCabe, ora rimosso, ha testimoniato a porte chiuse che, senza il dossier anti Trump , l’ FBI non sarebbe stata in grado di ottenere nel 2016 l'autorizzazione di sorveglianza contro i componenti della campagna, primo il volontario esperto di politica internazionale, Carter Page; che tanto l’Fbi quanto il Dipartimento di giustizia sapevano che in realtà il dossier era stato commissionato e pagato dal Comitato nazionale Democratico e dalla campagna di Hillary Clinton. Emerge che Steele era una fonte dell’Fbi e che il Bureau interruppe il rapporto dopo che lui svelò senza autorizzazione ai media nel 2016 i suoi legami con gli agenti federali.

 

Sostiene inoltre che l’autore del dossier, l’inglese Christopher Steele, che lo aveva confezionato insieme a spie russe, aveva espresso sentimenti personali di disprezzo per Trump. Pregiudizio condiviso con l’Fbi e con il Dipartimento di Giustizia.

Il tutto è avvenuto naturalmente con responsabili del Bureau e del Dipartimento di Giustizia legati e nominati dalla precedente Amministrazione, ma ci sono anche personaggi rimasti nella nuova, come Rod Rosenstein, numero 2 del Dipartimento di Giustizia, che ha avuto carta bianca sul Russiagate, visto che l’attorney general, Jeff Sessions si e’ fatto da parte.

christopher steele

 

Ora, alzano alti lai quegli stessi giornali che hanno tentato di impedire la pubblicazione del memorandum, accompagnati da giornali italiani dolenti, come per esempio la Stampa o l'Ansa, (dai vari TG citerò soltanto in casi eccezionali) sarebbe incerto il futuro del direttore dell'Fbi, Christopher Wray, nominato ad agosto da Trump al posto di James Comey, coinvolto in modo gravissimo negli imbrogli che hanno portato all'inchiesta sul Russiagate, ma anche nella copertura del brutto affare delle mail di Hillary Clinton.

 

Ma se il nuovo direttore dell' FBI non è in alcun modo coinvolto, perché dovrebbe risentirsi? Se invece ha ritenuto di difendere l'agenzia oltre il dovuto e il ragionevole, quindi di non tener fede al patto di fedeltà verso il Dipartimento di Giustizia e verso il presidente, che è il capo di tutta la baracca, è bene che se ne vada, inutile tenere personaggi ambigui.

 

Certo, Christopher Wray non aveva ritenuto di prendere misure contro il numero due dell'Fbi Andrew McCabe, la cui moglie corse per un seggio in Senato con cospicui fondi di un alleato dei Clinton, o gli agenti-amanti Peter Strzok e Lisa Page, che lavoravano al Russiagate e si scambiavano sms anti-Trump. Se sono tutti a casa ora, è solo merito dei repubblicani del Congresso come Nunes.

ROBERT MUELLER JAMES COMEY

 

 Trump ai giornalisti che gli chiedevano se ha ancora fiducia nel vice ministro di Giustizia, Rod Rosenstein, che supervisiona l'indagine dell'Fbi sul Russiagate, ha risposto: “ ci potete arrivare da soli “.

 

Apriti cielo, a lasciar trapelare quel che è naturale, ovvero che non ci sarebbe stato il Russiagate senza questi imbrogli.

 

 Ora - ci racconta con dolore un dispaccio dell'Ansa- Trump e i repubblicani possono tentare di spacciare il Russia Gate per un’inchiesta nata da un atto illegale e di parte, avvalorando la loro teoria cospirativa di un “deep state” manovrato dai democratici contro di lui”. Poi rassicurano:

 

“ L’opposizione è sul piede di guerra. I vertici del partito hanno ammonito Trump a non usare come pretesto il memo per screditare l’inchiesta o per licenziare Rosenstein o lo stesso Mueller, minacciando altrimenti una crisi costituzionale”.

“Spacciare”. “Pretesto”. “Ammonito Trump”.

Chiamate un’ambulanza.

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni maurizio belpietro francesco saverio garofani sergio mattarella

DAGOREPORT - IL “PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE MELONI” NON ESISTE: LO “SCOOP” DELLA “VERITÀ” È STATO CONFEZIONATO CON L’OBIETTIVO DI PRENDERE DI MIRA SERGIO MATTARELLA, COME MASSIMA RAPPRESENTANZA DI QUEL "DEEP STATE" CHE I CAMERATI DI PALAZZO CHIGI HANNO SUL GOZZO – LA STATISTA DELLA SGARBATELLA SOGNA L’EGEMONIA ISTITUZIONALE: BOCCIATO IL PREMIERATO, VUOLE CAMBIARE CON LA FORZA IL SISTEMA MODIFICANDO LA LEGGE ELETTORALE E INSERENDO IL NOME DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SULLA SCHEDA (COSI' DA BYPASSARE DI FATTO I POTERI DI NOMINA DEL PREMIER CHE SPETTANO AL COLLE) - MA NON TUTTO FILA LISCIO: LEGA E FORZA ITALIA SI OPPONGONO PERCHE' NON VOGLIONO ESSERE CANNIBALIZZATI DA FDI E IN CAMPANIA E PUGLIA SI PROSPETTA UNA BATOSTA PER IL CENTRODESTA - DA QUESTO DERIVA QUEL NERVOSISMO, CON VITTIMISMO PARACULO ANNESSO, CHE HA SPINTO GIORGIA MELONI A CAVALCARE IL “COMPLOTTO DEL COLLE” – E SE FDI, PER BOCCA DI BIGNAMI E MALAN, NON AVESSE RINCULATO, DAL QUIRINALE SAREBBE PARTITO UN SILURO A TESTATA MULTIPLA...

francesco saverio garofani sergio mattarella giorgia meloni maurizio belpietro

DAGOREPORT - MA QUALE “COMPLOTTO DEL QUIRINALE CONTRO GIORGIA MELONI”! DIETRO ALLA DIFFUSIONE DELLE PAROLE DI FRANCESCO SAVERIO GAROFANI ALLA “VERITÀ” DI BELPIETRO C'E' UNA “GOLA PROFONDA” UN PO’ PASTICCIONA, CHE SI E' FATTA SGAMARE IN MEZZA GIORNATA - DAGOSPIA È IN GRADO DI AGGIUNGERE ALCUNI DETTAGLI SULLA CENA DI GIOVEDÌ 13 NOVEMBRE ALLA TERRAZZA BORROMINI. A TAVOLA C’ERANO SEDICI PERSONE: OLTRE ALL’ORGANIZZATORE, LUCA DI BARTOLOMEI E A FRANCESCO GAROFANI, C’ERANO MANAGER, CONSULENTI, UN AD DI UNA BANCA, DUE CRONISTI SPORTIVI E…UN GIORNALISTA CHE IN PASSATO HA LAVORATO IN UN QUOTIDIANO DI DESTRA, GIA' DIRETTO DA BELPIETRO. SARÀ UN CASO CHE LA MAIL A FIRMA “MARIO ROSSI”, DA CUI È NATO LO “SCANDALO”, SIA STATA INVIATA ANCHE AL MELONIANO "IL GIORNALE" (CHE PERO' L'HA IGNORATA)? - IL CONTESTO ERA CONVIVIALE, SI PARLAVA DI CALCIO E DEL PD, MA GAROFANI NON HA MAI PRONUNCIATO LA PAROLA “SCOSSONE”, CHE INFATTI NELLA MAIL ORIGINALE NON C’È - L’AUDIO? ANCHE SE CI FOSSE, BELPIETRO NON POTREBBE PUBBLICARLO PERCHÉ SAREBBE STATO CARPITO ILLEGALMENTE...

maurizio belpietro giorgia meloni la verita

DAGOREPORT - IL GIOCO DI PRESTIGIO DI MAURIZIO BELPIETRO: LO "SCOOP" SUL PRESUNTO “PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE LA MELONI” È BASATO SULLE PAROLE “PROVVIDENZIALE SCOSSONE”, CHE IL CONSIGLIERE DEL COLLE, FRANCESCO SAVERIO GAROFANI, AVREBBE PRONUNCIATO ALLA CENA DOPO L’EVENTO IN RICORDO DI AGOSTINO DI BARTOLOMEI. MA NELLA MAIL ANONIMA CHE SEGNALA LA VICENDA A "LA VERITA'" QUELLE DUE PAROLE NON SONO VIRGOLETTATE: SEMBRANO ESSERE UN RAGIONAMENTO DELL’AUTORE, IL MISTERIOSO "MARIO ROSSI" – “LINKIESTA”: “PER CAPIRE COSA PENSI MELONI BISOGNA LEGGERE ‘LA VERITÀ’, ESATTAMENTE COME PER CAPIRE COSA PENSI GIUSEPPE CONTE BISOGNA LEGGERE ‘IL FATTO’. QUANTI SI BEVONO OGGI LA FAVOLA DELLA SVOLTA ATLANTISTA ED EUROPEISTA DI MELONI, FAREBBERO BENE A LEGGERE ‘LA VERITÀ’, SMACCATAMENTE FILO-PUTINIANO, NO VAX E NO EURO. LA VERITÀ DEL GOVERNO MELONI STA LÌ”

tommaso cerno antonio giampaolo angelucci alessandro sallusti il giornale

FLASH! – COME PREVISTO, ANTONIO E GIAMPAOLO ANGELUCCI HANNO DECISO CHE, A PARTIRE DAL PRIMO DICEMBRE, AVVERRÀ IL CAMBIO DI DIREZIONE DE “IL GIORNALE” CON L’ARRIVO DI TOMMASO CERNO CHE, A SUA VOLTA, VERRÀ RIMPIAZZATO A “IL TEMPO” DA DANIELE CAPEZZONE – MALGRADO LA PROPOSTA DI ANDARE ALLA DIREZIONE EDITORIALE DE “IL GIORNALE”, AL POSTO DI VITTORIO FELTRI, CHE PASSEREBBE A QUELLA DI “LIBERO”, ALESSANDRO SALLUSTI NON L’HA PRESA BENE: IL BIOGRAFO DI GIORGIA MELONI LO CONSIDERA UNA DIMINUTIO PER IL SUO PRESTIGIO E MIREREBBE A DARE VITA A UN PROGETTO MEDIATICO CON NICOLA PORRO…