IL CAMALE-CONTE E’ TORNATO - IL GIORNO DOPO LE POLEMICHE SULL’ENDORSEMENT DEL LEADER M5S A TRUMP (CHE LO RIBATTEZZO’ “GIUSEPPI”), GIUSEPPE CONTE VA ALLA FONDAZIONE LA MALFA E FA DIETROFRONT: “SONO EUROPEISTA, MAI DETTO CHE L’AMERICA DEVE DETTARE LE CONDIZIONI. IL GOVERNO È PRONO A TRUMP” – POI CONTE SI MOSTRA DIALOGANTE SU PUTIN: “FU UN ERRORE AVERLO DEFINITO BESTIA E SUBUMANO INVECE DI VENIRCI A PATTI QUANDO SAREBBE STATO IL MOMENTO”
Ugo Magri per “la Stampa” - Estratti
Giuseppe Conte, l'Europeista con la maiuscola: con quest'abito che non ti aspetti si presenta all'incontro riservato promosso verso sera dalla Fondazione Ugo La Malfa, lo statista repubblicano, dietro Largo di Torre Argentina. Altro che megafono di Donald Trump come l'hanno etichettato due giorni fa per la fiducia riposta nel presidente americano («lasciamo fare gli Usa sull'Ucraina» aveva detto a margine di una conferenza stampa, sollevando punti interrogativi perfino nella sinistra di Avs).
È esattamente il contrario, precisa Conte a porte chiuse: quelle parole non erano affatto una manifestazione di giubilo, semmai «un grido di dolore» per l'assenza dell'Unione dal tavolo delle trattative di pace, per i nostri leader diventati «afoni», che sperano soltanto di guadagnare tempo prolungando le sofferenze della povera gente in Ucraina.
Una capriola, si dirà, una correzione di rotta da autentico camaleonte che, specie in un santuario della cultura occidentale e liberal-democratica, con Giorgio La Malfa padrone di casa seduto accanto a lui, non poteva esprimersi in altro modo. Però l'ex premier non ci sta a recitare la parte del trumpista. «Mai detto che l'America deve dettare le condizioni» sull'Ucraina, replica alle domande che gli rivolge l'ambasciatore Rocco Cangelosi, già capo della rappresentanza diplomatica italiana a Bruxelles.
E per dimostrare di quanto «certi farisei» l'abbiano voluto fraintendere, il presidente dei Cinque Stelle si auto-definisce paladino del MEGA anziché del MAGA, ovvero di un'Europa di nuovo grande da costruire attraverso decisioni forti. Chiede di superare le ambiguità stabilendo la rotta geopolitica del Vecchio continente, oggi allo sbando.
Dipendesse da lui chiuderebbe tutti i governanti Ue a chiave in una stanza «anche per mesi», precisa, facendoli uscire «solo dopo un accordo sulla difesa comune» che farebbe risparmiare una immensa quantità di risorse.
Poi convocherebbe una grande Conferenza europea per adottare immediatamente il voto a maggioranza, superando i poteri di veto che paralizzano le decisioni rendendoci impotenti. E quando Trump aveva annunciato i suoi dazi, l'ex premier gli avrebbe risposto a muso duro con altri dazi non meno feroci, così assicura, che avrebbero colpito i consumatori americani invece di correre in pellegrinaggio alla Casa Bianca per pietire trattamenti privilegiati come in tanti hanno fatto, incominciando da Giorgia Meloni.
Ecco, se c'è qualcuno che china la schiena davanti al presidente Usa è proprio la nostra premier, contrattacca Conte.
Mentre Trump irrideva quei leader europei i quali «andavano a baciargli il deretano», espressione ormai diventata iconica, Meloni «ha accettato di elevare le spese militari del nostro Paese dal 2 al 5 per cento senza nemmeno attendere che si chiudesse la trattativa» sulle tariffe. Stesse genuflessioni sul gas, inoltre «avete visto come ci siamo accomodati con Amazon» riducendo la multa inflitta al colosso dell'e-commerce. «Se Musk non fosse caduto in disgrazia, saremmo stati ai piedi anche di un privato cittadino», ironizza l'ex premier.
Ciò non toglie che l'Europa sia nel torto quando si illude di poter vincere contro Putin, trascurando l'arte del dialogo.
Fu un errore averlo definito «bestia» e «subumano» invece di venirci a patti quando sarebbe stato il momento. Adesso l'accordo di pace sarà a condizioni più svantaggiose per l'Unione. Non tutti nel pubblico ben selezionato (ex ambasciatori, giuristi, professori di economia) ne sembrano convinti.
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