LA CINA TIENE IL MONDO PER LE PALLE – IL CASO DI JIMMY LAI, IL FONDATORE DEL QUOTIDIANO DI HONG KONG, “APPLE DAILY”, CHE POTREBBE ESSERE CONDANNATO ALL’ERGASTOLO DALLA CINA, È LA PROVA CHE NESSUNO VUOLE DISTURBARE XI JINPING. LAI, CHE HA 78 ANNI ED È IN CARCERE DA 1800 GIORNI, È UN CITTADINO BRITANNICO. EPPURE IL GOVERNO DI KEIR STARMER, CHE HA SPALANCATO LE PORTE AI CINESI, NON STA FACENDO NIENTE PER SALVARLO – LA STORIA INCREDIBILE DI LAI: ARRIVÒ RAGAZZO NELL’ALLORA COLONIA BRITANNICA E FECE FORTUNA CON L’INDUSTRIA TESSILE. POI ARRIVÒ IL MASSACRO DI PIAZZA TIENANMEN E LANCIÒ IL SUO GIORNALE DEMOCRATICO, FATTO CHIUDERE NEL 2021 DAL REGIME COMUNISTA…
LA PARABOLA DI UN UOMO E DELLA EX COLONIA CHE AVEVA DIFESO SUL GIORNALE E IN PIAZZA
Estratto dell’articolo di Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera”
Il caso Jimmy Lai riassume la storia recente di Hong Kong e dà una dimensione umana al dramma politico. Lai è un rifugiato cinese che aveva costruito dal niente il proprio successo nell’industria tessile della colonia britannica e a un certo punto della vita decise di investire il capitale nella stampa, spiegando che «l’informazione è libertà».
[…] Nato in Cina nel 1947 da una famiglia di possidenti terrieri del Guangdong punita dal nuovo governo comunista, era arrivato da ragazzo nella colonia britannica per lasciarsi alle spalle il pauperismo eretto a sistema di governo sociale da Mao. Negli Anni 70 aprì a Hong Kong un’industria tessile e impose anche sul mercato cinese il suo marchio di abbigliamento economico ispirato alla moda occidentale.
LA COPERTINA DI TIME SULLA RIVOLUZIONE DEGLI OMBRELLI DI HONG KONG (JIMMY LAI NEL CERCHIO GIALLO)
Era già milionario, nel 1989, quando lo sdegno per il massacro di piazza Tienanmen lo spinse in politica. Scrisse un articolo su una rivista hongkonghese nel quale definiva il primo ministro cinese Li Peng «un figlio di buona donna». Il suo futuro come industriale in affari anche sul mercato della Repubblica popolare era segnato. Jimmy Lai decise di dedicarsi solo alla stampa e fondò Apple Daily , giornale democratico che voleva difendere e allargare le «libertà speciali» dell’ex colonia britannica.
Il lungo ritorno di Hong Kong alla Cina era cominciato nel 1984, quando Pechino e Londra (potenza coloniale dal 1841 dopo aver vinto la Guerra dell’oppio) firmarono la Joint Declaration per la restituzione, fissandola al 1997.
Il saggio Deng Xiaoping disse alla signora Thatcher: «Anche con noi comunisti, nella City le azioni rimarranno calde in Borsa, i ballerini continueranno a danzare nella notte e i cavalli galopperanno sempre all’ippodromo».
Oltre la battuta, Deng accettava il principio fondamentale: la gente di Hong Kong avrebbe governato Hong Kong, almeno per 50 anni, dal 1997 al 2047. Con l’impegno a garantire «un Paese e due sistemi» (autoritarismo cinese accanto alla quasi democrazia dell’isola), il Piccolo timoniere aveva forse in mente una sperimentazione liberale. O più probabilmente voleva prendere tempo in attesa che la Repubblica popolare diventasse superpotenza.
Nel 2014 e poi nel 2019, Xi Jinping temette di perdere il controllo degli hongkonghesi, che scendevano in corteo a milioni per difendere il loro sistema politico. Il giornale di Lai appoggiava la mobilitazione dei giovani e contestava la Legge di sicurezza cinese imposta nell’estate 2020. Apple Daily testimoniò anche l’arresto del suo editore ma nel 2021 fu costretto a chiudere.
arresto di jimmy lai a hong kong
Jimmy Lai ha un passaporto britannico. Avrebbe potuto andare in esilio a Londra. Non lo ha fatto. «Mio padre dice che Hong Kong gli ha dato l’opportunità di emergere quando arrivò fuggiasco dalla Cina e non ha voluto tradirla. Ha detto che se fosse andato via avrebbe fatto perdere al movimento democratico parte della sua integrità», ha spiegato al Corriere il figlio Sebastien.
Donald Trump ha promesso di «fare il massimo» per ottenere la liberazione del prigioniero. Il presidente americano sarà a Pechino da Xi ad aprile e potrebbe tentare il «beau geste» dell’intercessione. Nel 2017, nonostante una grande campagna internazionale, il governo cinese decise di lasciar morire in carcere il premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo.
JIMMY LAI, UN SIMBOLO
Estratto dell’articolo di Giulia Pompili per “il Foglio”
Ieri l’ufficio di collegamento di Pechino a Hong Kong, cioè l’ufficio che dovrebbe rappresentare l’ipocrita finzione dei due sistemi distinti fra Repubblica popolare cinese e l’ex colonia inglese, ha fatto sapere che la sentenza contro Jimmy Lai è “un severo avvertimento” destinato alle forze “anti cinesi”.
Non c’era bisogno di riaffermarlo: che il caso costruito contro l’imprenditore, editore ed eroe della rivoluzione democratica di Hong Kong fosse del tutto politico era già chiaro da tempo.
Ieri il tribunale di West Kowloon lo ha riconosciuto colpevole di cospirazione finalizzata alla collusione con forze straniere e di sedizione, al termine di un procedimento durato quasi due anni. La sentenza verrà pubblicata forse a gennaio.
Secondo il collegio dei tre giudici – Alex Lee, Esther Toh e Susana D’Almada Remedios –, l’obiettivo delle azioni di Jimmy Lai era quello di “provocare la caduta del Partito comunista cinese”, anche a costo “degli interessi dei cittadini” di Hong Kong e della Repubblica popolare, e per questo potrebbe essere condannato all’ergastolo.
jimmy lai arrestato a hong kong 1
L’imprenditore avrebbe compiuto un reato chiedendo alla comunità internazionale di applicare sanzioni economiche contro chi voleva imporre un regime autoritario all’ex colonia inglese, spingendo per un rovesciamento del regime, ma molte delle accuse contro di lui non si configuravano nemmeno come reati prima dell’entrata in vigore della legge sulla sicurezza nazionale del 2020.
Intanto Jimmy Lai, divenuto una figura simbolo della lotta al regime cinese, ha compiuto 78 anni in carcere la scorsa settimana, è detenuto dal dicembre 2020 e ha trascorso oltre 1.800 giorni in custodia: ieri ha ascoltato il verdetto in aula, sorridendo solo un attimo verso sua moglie Teresa, suo figlio Lai Shunyan e verso il cardinale Joseph Zen, suo amico personale e altra figura simbolo del movimento democratico di Hong Kong.
Ventiquattro ore prima del verdetto contro Lai, il Partito democratico di Hong Kong, che per oltre trent’anni ha rappresentato la principale forza dell’opposizione moderata all’autoritarismo di Pechino, ha votato ufficialmente il proprio scioglimento e l’avvio della liquidazione.
[…] In un’intervista con il Foglio due mesi fa, il figlio dell’editore, Sebastien Lai, si era detto ottimista sulla capacità di intercessione da parte del presidente americano Donald Trump per tentare di liberare suo padre. E in effetti Trump di recente ha menzionato il caso Lai almeno tre volte nei suoi post sui social network, e aveva promesso che ne avrebbe parlato personalmente con il leader Xi Jinping.
Trump è anche parzialmente responsabile per la vicenda Lai: nella sentenza i giudici hanno citato i viaggi di Lai a Washington nel 2019 e gli incontri con alti funzionari della prima Amministrazione Trump, tra cui l’allora vicepresidente Mike Pence e il segretario di stato Mike Pompeo, come prova di un’attività di lobbying volta a ottenere pressioni e sanzioni internazionali contro Pechino.
Era il periodo in cui il presidente americano era circondato da falchi anticinesi.
Oggi è il Congresso americano quello che più si è mobilitato pubblicamente per Jimmy Lai, ma una fonte parlando con il Foglio rivela la frustrazione dei membri del Congresso per lo scarso coinvolgimento del governo di Londra: del resto, Jimmy Lai è un cittadino britannico.
[…] Da tempo si parla di un ammorbidimento delle posizioni di Starmer su Pechino, così come del cambio di strategia di Trump: dentro alla leadership del Partito comunista cinese si sta diffondendo l’idea – l’ha scritto per esempio qualche giorno fa sul canale WeChat della Greater Bay Area Review MengWeizhan, ricercatore dell’Università di Fudan – che il documento sulla strategia della Sicurezza nazionale di Washington sia “interamente rivolto alla Cina, solo in forma più implicita”.
Trump sembra voler costruire “una strategia relativamente a basso costo, sostenibile nel lungo periodo, invece di una contrapposizione ad alta intensità e ad ampio spettro come in passato”. Sebbene legato al tycoon di Hong Kong per ragioni di affinità biografiche, Trump potrebbe decidere di sacrificarlo in nome di una “svolta verso il realismo”, per far sì che l’America non si senta più vincolata “da regole condivise, ma al tempo stesso sia più cauta nel provocare avversari di forza paragonabile come Cina e Russia. Per molti paesi, un’America realista può risultare più comprensibile: una volta deposta la maschera dei valori, le richieste di Washington diventano molto lineari – soldi, potere, risorse”.







