“NOI DEL CENSIS ABBIAMO RACCONTATO IL CETO MEDIO AFFRONTANDO IL DISGUSTO DI ESPONENTI DELLA CULTURA ALTA COME PASOLINI CHE CI ACCUSAVA DI DARE IMPORTANZA ALL'ITALIA PEGGIORE” – GIUSEPPE DE RITA: “QUANDO NEGLI ANNI SETTANTA PARLAMMO DI CETOMEDIZZAZIONE DELL'ITALIA, CI PRESERO A PESCI IN FACCIA. SE, PERÒ, NON ABBIAMO I CASSEUR IN STRADA COME IN FRANCIA, O SE NON ABBIAMO LE DISUGUAGLIANZE CHE PESANO NEGLI USA È GRAZIE AL CETO MEDIO CHE SMORZA LE VIOLENZE E CHE RESISTE” – “L'ITALIA DELLA CULTURA È UNO STRAZIO. LA CULTURA DI MASSA È VITTIMA DI UNA SPETTACOLARIZZAZIONE CHE FA SÌ CHE LE PERSONE PREFERISCANO OCCUPARSI DELLE PROPRIE COSE”
Estratto dell’articolo di Flavia Amabile per “la Stampa”
giuliano amato giuseppe de rita
Giuseppe De Rita, lei ha firmato mezzo secolo di rapporti Censis. […] Dall'ultimo rapporto emerge un quadro cupo di quello che avete definito un Paese selvaggio, che ha fiducia negli autocrati, che sembra sempre più in balia dell'istinto, della paura, dell'ignoranza. È un'Italia senza speranza?
«[…] a noi preme dare il senso del film, non fermarci alla fotografia».
Qual è il senso del film?
«È il senso dinamico della società italiana e non è così disastroso come appare se ci si ferma alle singole fotografie. Venti anni fa abbiamo iniziato a raccontare che l'Italia era malata di presentismo, cioè che si accontentava del presente. Oggi non è più così.
Nel presente l'italiano lavora, dimostra una resistenza giorno per giorno alle tante difficoltà e questo non crea avvilimento ma una nuova tonicità del sistema e del ceto medio».
Cioè il ceto medio non è in declino?
«Se si considerano le fotografie anno per anno lo è ma se invece si prende in considerazione l'evoluzione si trovano degli elementi di novità».
Quali?
«Seguiamo da cinquant'anni il ceto medio […] Lo abbiamo […] raccontato affrontando il disgusto di esponenti della cultura alta come Pasolini che ci accusava di dare importanza all'Italia peggiore. Oggi vediamo che, dopo tanti anni, il ceto medio ha subito la paura del declino, ha resistito e ora sta facendo dei passi avanti. Lentamente cresce e cerca di mantenere il suo stile di vita. Viaggia, per esempio, in classe economica e a volte concedendosi un lusso».
Quindi, come racconterebbe gli italiani?
«[…] La classe media italiana affronta difficoltà ogni giorno e resiste. Questo accumulo di difficoltà che, prese singolarmente, sembrano un declino, osservate in modo dinamico mostrano un rafforzamento delle difese, una maturazione, una 'struggle of life', una lotta per la vita che noi italiani abbiamo sempre avuto».
Più del resto d'Europa?
«L'Europa sembra schiacciata tra Putin e Trump e incapace di resistere […] L'Italia, invece, dà il meglio nei periodi più neri proprio per questo cumulo di germi di resistenza che ha creato un corpo tutto sommato sano che, per esempio, permette di avere un'industria capace di reggere ancora alle follie dei dazi americani. […]».
giuseppe de rita foto di bacco (3)
Che Italia era quella che ha iniziato a raccontare con il Censis?
«Il primo rapporto è del 1967. Quella era un'Italia di appartenenza in cui stava diffondendosi il germe della dimensione personale e individuale […] Stava finendo il film delle appartenenze».
Quali erano?
«Lo stare dentro alle culture collettive come quella ecclesiastica, quella comunista, la democristiana, l'imprenditoriale. Dicemmo che i ceti sociali stavano scomparendo, quindi diventava difficile ragionare in termini di scontro di classe».
Un discorso difficile per l'epoca. Quale fu la reazione?
«Mi accusarono di essere un autonomo individualista, un terrorista democristiano e cattolico non avevano capito niente di chi fossi né di quello che stava accadendo […]».
[…] «Quando negli anni Settanta parlammo di cetomedizzazione dell'Italia, ci presero a pesci in faccia. Se, però, non abbiamo i casseur in strada come in Francia, o se non abbiamo le disuguaglianze che pesano negli Usa è grazie al ceto medio che smorza le violenze e che resiste».
giuseppe de rita foto di bacco (2)
Come è cambiata l'Italia della cultura, invece?
«È uno strazio. Questo resistere sul piano economico insieme con la tendenza all'individualismo non dà spazio alla cultura. La cultura di massa è vittima di una spettacolarizzazione che fa sì che le persone preferiscano occuparsi delle proprie cose. Si crea una perdita in termini di appartenenza di vita, di traguardi collettivi».
È anche per questo motivo che non si va più a votare e si ha fiducia negli autocrati?
«Se non ho la percezione di essere dentro un processo reale ma di vivere in un processo governato da poche persone finisco per non andare a votare e affidarmi ai pochi che hanno il potere» […]

