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1. DOVE FINISCE LA “REVOLUCIÓN”, INIZIA IL “MARCHETTON”: ANCHE CON PAPA BERGOGLIO, FIDEL CASTRO NON HA TRADITO IL LOOK ADIDAS, IL GENEROSO SPONSOR TEDESCO CHE FORNISCE DA ANNI MATERIALE TECNICO ALLA NAZIONALE OLIMPICA CUBANA 2. ALL’UOMO-ADIDAS, IL PAPA ARGENTINO HA IMPARTITO UNA UMILE LEZIONE DI POLITICA: “NON SI SERVONO LE IDEOLOGIE, MA LE PERSONE”

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1. HASTA L’ADIDAS SIEMPRE!

Da “time.com”

Fidel Castro è un uomo Adidas. Apparentemente l’ottantenne castiga-yankees, un tempo fanatico delle durezze militaresche, adesso apprezza l’abbigliamento comodo che solo il produttore di attrezzatura sportiva tedesco può offrire.

Mentre si ristabiliva da un’operazione nel 2006, Castro mise da parte il camicione standard dei pazienti d’ospedale e decise di mostrare la sua buona salute indossando una tuta sportiva rossa, bianca e blu con il logo Adidas.

 

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“Non facciamo particolare attenzione a queste cose”, minimizzò Travis Gonzolez, responsabile delle relazioni esterne di Adidas, quando il “New York Times” gli chiese contodell’apparente endorsement del leader cubano per la casa tedesca. “Non è un fatto positivo o negativo. Noi siamo una marchio sportivo. Facciamo prodotti per atleti, non per i leader”. Adidas infatti ha fornito materiale tecnico alla nazionale olimpica Cubana nel 2004 e nel 2008.

 

2. FRANCESCO INCONTRA FIDEL E A PIAZZA DELLA REVOLUCIÓN “BISOGNA SERVIRE LE PERSONE NON LE IDEOLOGIE”

Marco Ansaldo per “la Repubblica”

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Fidel e Francesco. Uno davanti all’altro. Il Comandante della Revolución cubana e il Papa della riforma nella Chiesa. Il Líder maximo che ha sconfitto il generale Fulgencio Batista e il Pontefice argentino che attacca i conservatori della Curia. Non poteva non esserci questo incontro all’Avana. Ora sono qui, nella residenza del Jefe, con i familiari di Castro intorno, la moglie e i figli, mentre Jorge Bergoglio ha con sé il nunzio vaticano a Cuba, monsignor Giorgio Lingua e alcuni cardinali.

 

FIDEL CASTRO CON LA TUTA ADIDASFIDEL CASTRO CON LA TUTA ADIDAS

Ma la cordiale stretta di mano fra i due leader latinoamericani, il gesuita diventato Papa, e il rivoluzionario un tempo allievo dei gesuiti, solo dieci anni di differenza uno dall’altro, è più che ideale. È una consonanza di vedute, di passato e di prospettive. Nel rispetto della diversità e della storia personale di ognuno, ovvio. E difatti il discorso spazia fluido, dalla politica all’ambiente, dalla letteratura alla religione.

 

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Senza interpreti. Non c’è bisogno. Tutto in spagnolo. E così i regali. Francisco ha portato la sua Enciclica “Laudato Sì” in lingua castigliana. E altri tre libri, ognuno tradotto e pronto da leggere. Anche Castro ha preparato un dono: il saggio del teologo brasiliano Frei Betto Fidel e la religione .

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Il Comandante lo apre sulla prima pagina. Prende una penna, verga la sua dedica: «Por Papa Francisco / in occasione della sua visita a Cuba/ con l’ammirazione e il rispetto del popolo cubano».

 

«Un incontro in un clima familiare, una conversazione dai toni informali», lo definisce il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. Avviene dopo la messa nella Plaza de la Revolución, con un’omelia ricca di riferimenti politici e spirituali, che Fidel ha seguito alla tv senza perdersi una parola del Papa. Di che cosa parlano? Fidel, nell’ormai abituale tuta blu, fa molte domande, come avvenuto tre anni fa, sempre qui, con Benedetto XVI.

 

E se allora l’intesa intellettuale fra il Líder cubano e il Pontefice tedesco aveva funzionato, con un Castro che chiedeva a Joseph Ratzinger di mandargli por favor dei libri di teologia, ieri l’incontro non ha mancato di toccare argomenti politici e pastorali. «La conversazione tra il Papa e Fidel — conferma Lombardi — ha riguardato i temi della riflessione e del magistero di Francesco sull’umanità, il suo futuro, la situazione mondiale oggi, la crisi ambientale».

 

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Castro è assetato di letture religiose. Bergoglio lo sa. Nella sua borsa nera ha portato, assieme all’Enciclica scritta di suo pugno, due volumi in edizione spagnola del sacerdote italiano Alessandro Pronzato, esperto di catechesi, di Bibbia e di divulgazione teologica: «La nostra bocca si aprì al sorriso» (citazione da un salmo), testo sul valore dello humour e dell’allegria in relazione alla fede, e Vangeli scomodi .Poi una raccolta di discorsi e prediche, con registrazione acclusa in due cd («trovati a fatica», ammette Lombardi), di padre Armando Llorente, che fu insegnante di Ca- stro qui a Cuba, al collegio dei gesuiti di Belen.

 

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Quaranta minuti di botta e risposta che scorrono veloci. Fidel è felice. Francesco sorride. Un’atmosfera familiare e informale. “Fraterna”, la descrive Lombardi. Il Vaticano decide di non diffondere nessuna immagine dell’incontro. «Per rispetto della riservatezza di questa visita». Lo fa invece, più tardi, il regime cubano. La salute di Fidel è argomento sempre delicato. Castro, ora 89enne, aveva lasciato il potere nel 2006 per qualche accenno di malattia. Ieri l’argomento delle dimissioni di Benedetto XVI nel 2013, nemmeno un anno dopo il suo viaggio a Cuba, e di una eventuale rinuncia accennata da Francesco non ha avuto il tempo di essere affrontato.

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Al mattino, il Papa aveva trovato una piazza sufficientemente gremita: mezzo milione di persone. E in un luogo altamente simbolico per Cuba come Plaza de la Revolución, ha detto che «non si servono le ideologie, ma le persone». Parlava all’ombra di due evidentissime immagini stilizzate del Che Guevara e dell’altro leader rivoluzionario, Camilo Cienfuegos, e sotto un’enorme bandiera di Cuba.

 

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Ma anche sotto una grande immagine di Gesù. Così, davanti all’attuale capo dello Stato, Raul Castro, e in prima fila all’ormai onnipresente Presidenta argentina Cristina Kirchner (freddina oggi la stretta di mano del Papa), Francesco non ha lesinato parole legate ai temi politici.

 

Sulla Colombia, che vorrebbe visitare il prossimo anno, lancia un appello sul negoziato andato male tra il governo e i guerriglieri delle Farc: «Per favore, non possiamo permetterci un altro fallimento in questo cammino di pace e riconciliazione. Bisogna mettere fine alla notte di violenza». Il cardinale Jaime Ortega — unico arcivescovo ad aver ricevuto la visita di tre Papi — a conferma dell’importanza dell’isola caraibica per il Vaticano, accenna al disgelo fra l’Avana e Washington: «Non rimanga ai livelli alti politici, ma arrivi ai popoli di entrambe le nazioni».

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Poi all’Angelus il Papa fa riflessioni di carattere più spirituale. E trova una bellissima frase: «Bisogna riconoscere Gesù nell’uomo sfinito sulla strada». Che continua: «In ogni fratello affamato o assetato, che è spogliato o in carcere o malato». È la sua riflessione sugli ultimi: «La grandezza di una nazione si misura dal servizio ai più deboli. Bisogna capovolgere la logica del potere, sulle élite prevalgano gli umili».

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A lui si richiamano in serata le Damas de blanco , il movimento di opposizione la cui leader, Berta Soler, viene fermata con alcune compagne e il marito, il dissidente politico Angel Moya, mentre vanno alla messa. «Siamo usciti dalla sede delle Damas de blanco in 23, e con Moya, alle 5 del mattino per andare nella piazza e siamo stati arrestati tutti», spiega Soler dopo essere tornata a casa dopo un fermo di qualche ora in un commissariato. Non è riuscita a vedere, come voleva, el Papa argentino.

Ma a quell’ora, Francesco si era già incontrato con Fidel.

 

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